Filippo Baroncini: la grinta, la crono, l’Avenir e la Trek-Segafredo

28.07.2021
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Filippo Baroncini lo avevamo lasciato al Giro d’Italia U23, prima, e al campionato italiano contro il tempo poi. Il corridore della Colpack-Ballan era stato uno degli scudieri di Juan Ayuso nella corsa rosa, ma al tempo stesso era stato autore della vittoria nella cronometro, mostrandosi uno di quei calibri pesanti. Il tutto lo ha poi confermato qualche settimana dopo al campionato italiano di specialità, conquistando il tricolore.

Finita? Neanche per sogno. Perché il suo palmares ha continuato ad “appesantirsi” con la vittoria all’Etoile d’Or, ottenuta da campione navigato. Filippo era lanciato a 55 all’ora da solo verso l’arrivo. Il gruppo dietro di pochi secondi e lui che trovava persino il tempo di fare un gesto col pugno per festeggiare l’imminente vittoria. Grinta assoluta.

E un corridore così non poteva passare inosservato ai grandi team. E puntuale ecco che la Trek-Segafredo di Luca Guercilena lo ha chiamato a rapporto.

Filippo Baroncini (classe 2000) conquista il tricolore contro il tempo. Eccolo con lo staff della Colpack
Filippo Baroncini (classe 2000) conquista il tricolore contro il tempo. Eccolo con lo staff della Colpack
Filippo, raccontaci come è andata la trattativa con la Trek…

Ci ha lavorato il mio procuratore, Luca Mazzanti. Ci siamo presentati all’italiano dei pro’ che non era troppo lontano da casa mia, Massa Lombarda. Guercilena mi ha detto che avevo fatto un bel risultato nella crono dell’italiano e nella Pessano-Roncola. E poi ho visto che lui lavora molto bene con i giovani. Gli lascia il giusto spazio e non li fa tirare e basta che neanche finiscono le gare. E questo dà morale. Per me, almeno, è molto importante.

Antonio Tiberi viene dalla Colpack ed è andato alla Trek, lo hai contattato? Gli hai chiesto qualche consiglio?

Più che altro ho provato a contattarlo, ma non ci sono riuscito. Così ho fatto da me. Comunque io e lui non siamo stati insieme alla Colpack. Io arrivavo dalla Beltrami e lui andava alla Trek appunto.

Baroncini esulta per la vittoria della Pessano-Roncola
Baroncini esulta per la vittoria della Pessano-Roncola
All’Etoile d’Or, una gara 2.2 in Francia, hai vinto la seconda tappa. Come è andata?

E’ stata una vittoria che mi ha dato tanto morale, ottenuta per di più con la maglia della nazionale. Non conoscevo Amadori, anche se è delle mie zone. Mi è servita per prendere consapevolezza dei miei mezzi, per prendere le misure con certi tipi di gare. Poi quel giorno c’era tanto vento, le strade erano strette… insomma era una corsa nervosa e sono contento. Ho corso, abbiamo corso, bene.

Come mai la Trek? Avevi avuto anche altre richieste?

Avevo avuto già delle richieste un anno fa, ma non mi sentivo pronto per il passaggio ed ho preferito aspettare.

Ed erano di squadre World Tour?

No, professional. Anche per quello ho voluto attendere. Approdare in una WorldTour è sempre stato il mio obiettivo.

Filippo (a destra) a Livigno con i compagni della Colpack, Gomez e Verre
Filippo (a destra) a Livigno con i compagni della Colpack, Gomez e Verre
All’Etoile d’Or hai vinto con un colpo da finisseur: che corridore pensi di essere?

Un Van Aert del futuro…

Però! Hai scelto un corridorino…

Beh, col tempo è chiaro! Però ho dimostrato di andare forte su tutti i terreni (Baroncini è molto veloce, ndr) e non vorrei snaturami cercando chissà quale specializzazione.

Farai anche il Tour de l’Avenir ci ha detto Amadori…

Adesso sono in altura, a Livigno, proprio per preparare l’Avenir. Sono qui con Gomez e Verre. Inoltre fra l’europeo e il mondiale farò qualche gara da stagista con la Trek.

Quell’olandese spettacolare che mise paura ai nostri azzurrini

11.07.2021
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Eravamo a Stoccarda, nell’ormai lontano 2007. La nazionale italiana era tutta stretta attorno a Bettini che si accingeva a vincere il secondo mondiale, preceduto dall’iride di Marta Bastianelli. Fra gli under 23, guidati da Sandro Callari, c’era poca fiducia, vista la fresca apertura ai professionisti. I nostri erano stati da poco al Tour de l’Avenir, vinto da un olandese che non aveva fatto che scattare. «Si chiama Mollema – disse un mattino nel piazzale dell’hotel il dottor Daniele, medico degli azzurri – è davvero spettacolare. Piazzava certi scatti, come non se ne vedevano da tempo».

California 2009, tappa durissima di Santa Rosa: 1° Mancebo, 2° Van de Walle, 3° Nibali, 4° Brajkovic, 5° Armstrong. Bauke (23 anni) è 13°
California 2009 a Santa Rosa: 1° Mancebo, 2° Van de Walle, 3° Nibali, 4° Brajkovic, 5° Armstrong. Bauke è 13°

Uomo in fuga

Quel mondiale lo vinse Velits, già professionista. I nostri finirono nelle retrovie. Il dottor Daniele di lì a qualche anno sarebbe diventato ed è tuttora uno dei medici della Trek-Segafredo. E quel corridore dall’attacco spettacolare se lo è ritrovato in squadra. I suoi scatti non gli sono più serviti per vincere grandi corse a tappe, ma non si può dire che la carriera di Mollema sia stata banale. Ha vinto le sue corse e raramente lo ha fatto in volata.

Fra le più grandi vale la pena ricordare la Clasica San Sebastian del 2016, con 17” su Gallopin. Il Lombardia del 2019 con 16” su Valverde. Le due tappe del Tour, quella di ieri e quella del 2017, a capo di lunghe fughe. E con una punta di nazionalismo, l’ultimo Trofeo Laigueglia, vinto con 39 secondi su Bernal.

A San Sebastian nel 2016 arriva con 17″ su Gallopin
A San Sebastian nel 2016 arriva con 17″ su Gallopin

Lucidità infallibile

Con i suoi 34 anni, il ragazzone di Groningen ieri ha dimostrato forza fisica, ma soprattutto una lucidità spaventosa nel prendere vantaggio sfruttando le caratteristiche delle strade.

«La maggior parte delle mie vittorie – ha raccontato dopo la vittoria – sono fughe solitarie, si tratta solo trovare il momento giusto per attaccare. Quando ho sentito che non c’era nessuno alla mia ruota, ho pensato che fosse il momento e ho preso subito un bel vantaggio. Penso che non molti si aspettassero un attacco lì, ma una volta che prendo tre o quattro secondi, è piuttosto difficile venirmi a prendere. Ho la capacità di andare molto forte in quelle prime fasi e ho sfruttato molto bene le curve per sparire alla loro vista. In quei casi, bisogna essere pronti a reagire per colmare il divario. Sapevo che se non lo avessero fatto subito si sarebbero guardati e io avrei avuto strada libera».

Traguardo sulla salita

Strada libera è un bel modo di dire che una volta da solo si è trovato davanti 41 chilometri di caldo e fatica fino Quillan, con un traguardo parziale e decisivo in cima al Col de Saint Louis, ultima asperità di giornata: 4,6 chilometri al 6,8 per cento di pendenza media.

«E’ stata una giornata super dura – ha confermato – ci sono voluti 90 chilometri prima che la fuga partisse. Come squadra non ce ne siamo persa nessuna. C’era un bel gruppo davanti, ma non c’era collaborazione. Io mi sentivo bene. E ho pensato: “Partiamo da lontano”. Ho fatto 41 chilometri in solitaria, è stata dura, ma avevo la sicurezza di pedalare da solo e sentivo che con quell’andatura sarei potuto andare avanti per molto tempo. Sapevo di avere ottime possibilità di farcela, quindi sono andato a tutto gas e non ho perso troppo. Con più di 50 secondi in cima all’ultima salita e 20 chilometri ancora da fare, ero abbastanza sicuro di vincere la tappa. E’ stato spettacolare».

La prima non si scorda

La vittoria di Quillan è la seconda di Mollema al Tour, in una carriera che come dicevamo in apertura sembrava da predestinato e lo ha visto invece ricavarsi un ruolo da luogotenente di lusso, a disposizione anche di Nibali, con la licenza di ritagliarsi lo spazio per le sue fughe. A uno così nelle squadre si vuole un gran bene e non è per caso che il suo sia stato uno dei primi contratti ad essere rinnovati.

«La mia prima vittoria al Tour fu nel 2017 – ha raccontato – ma è davvero difficile confrontarle. Si arrivava a Le Puy en Velay e la tappa era abbastanza simile, anche se l’ultima salita era più lontana dal traguardo. Fu la mia prima vittoria di tappa al Tour, arrivai dopo 30 chilometri da solo con 19 secondi su un gruppetto con Ulissi, Gallopin e Roglic. Essendo la prima, forse è stata la più speciale, ma questa è stata decisamente super bella. Soprattutto perché la fuga è stata ancora più lunga. Non sono un corridore che vince cinque o dieci gare ogni anno quindi ogni vittoria è speciale per me. E se parliamo del Tour de France, lo è ancora di più».