Red Bull-Bora: la storia delle nuove divise raccontata da Sportful

11.07.2024
5 min
Salva

I colori e le immagini del gruppo al Tour de France hanno una nuova sfumatura al loro interno, è quella della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Il team di Primoz Roglic ha cambiato pelle proprio in occasione della Grande Boucle. Sulle strade francesi abbiamo visto per la prima volta i due tori, simbolo del famoso marchio di bevande energetiche, appoggiarsi sul petto dello sloveno e dei suoi compagni. La firma, in alto a destra, è sempre la stessa: Sportful. Il marchio veneto ha realizzato le divise e le ha fornite al team in tempo record (in apertura foto JM Red Bull-Bora).

«E’ stato un processo lungo mesi di lavoro – racconta Federico Mele, Head of Global Marketing di Sportful – anche perché Red Bull è entrata in prima persona nel team. Ne sono diventati proprietari, acquistando il 51 per cento delle quote. La notizia del passaggio di proprietà era arrivata già prima della Strade Bianche e il lavoro è stato il solito ma comunque frenetico».

La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)
La divisa della Red Bull-Bora è simile a quella usata dal team di Formula 1 (foto JM Red Bull-Bora)

Stesso stampo

Quando un marchio così grande come Red Bull entra in un team, e in uno sport, gli equilibri si spostano, cambiano. Molti hanno notato, infatti, che la divisa della Red Bull-Bora sia molto simile a quella del team di Formula 1. 

«E’ così – continua Mele – non abbiamo avuto molta voce in capitolo nel decidere il design della divisa. Anche perché il blu Red Bull è un marchio di fabbrica, quasi come il Rosso Ferrari. Difficile cambiare qualcosa di così radicato. La parte delicata è stata quella di inserire tutti gli sponsor all’interno della divisa e di far approvare anche a loro il nuovo design. Ma siamo abituati a lavorare con tante realtà importanti, quindi si è trattato di trovare il giusto equilibrio e di decidere le dimensioni del logo».

La parte più difficile del lavoro è stata questa?

Sì, anche se non la definirei difficile. Noi come Sportful abbiamo poi voluto darci una scadenza per realizzare il tutto ed era quella della presentazione ufficiale a Salisburgo. Volevamo arrivare con il materiale pronto: divise, completi invernali, e accessori. Sia per il team che per il merchandising. 

Come ha risposto il pubblico?

Siamo andati soldout dopo poche ore dal lancio. Un effetto così grande non lo abbiamo mai visto. I prodotti sono esauriti in pochissimo tempo sia sul nostro sito che su piattaforme terze come Deporvillage o All4Cycling. 

Avevate fatto delle previsioni di vendita?

Come sempre, ed erano in linea con quanto prodotto e venduto solitamente. L’effetto Red Bull però ha ampliato il tutto, sono stati esauriti 25.000 prodotti in un giorno. Appena capito che sarebbe andato tutto soldout ci siamo messi all’opera per riassortire la collezione.

Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Pochi giorni dopo, la divisa è stata mostrata al grande pubblico per il via del Tour de France
Per i corridori ci sono stati dettagli particolari?

In realtà no. Non sono stati fatti fitting o altre misurazioni. I tessuti utilizzati sono gli stessi della divisa di inizio anno. Chiaramente non tutti i prodotti realizzati per il team sono andati in vendita. Ad esempio il body corto e quello lungo non sono disponibili. 

Hai detto che avevate l’obiettivo di preparare il tutto per la presentazione ufficiale, com’è andata?

C’è stata una parte importante di organizzazione del lavoro per quanto riguardava le tempistiche e le quantità. Quando entra un marchio come Red Bull vuoi dare il massimo e così abbiamo fatto. Avere tutto in ordine per il lancio, gli shooting fotografici e la presentazione del Tour era importante. E’ stato delicato anche gestire la grande attenzione mediatica. Tutti gli addetti ai lavori e all’informazione erano curiosi e tenere segreta la nuova divisa è stato difficile. 

Quando avete visto la presentazione ufficiale, con tutti i prodotti pronti, cosa avete pensato?

E’ stata una grande emozione. Non capita tutti i giorni di lavorare con un marchio come Red Bull, ti rendi conto che il team e il ciclismo stanno cambiando. Come in ogni sport in cui Red Bull mette piede, tutto aumenta: visibilità, attenzione mediatica e tecnica. Me ne sono reso conto nelle prime tappe del Tour. 

In che senso?

Amici, conoscenti, ma anche noi stessi, continuavamo a cercare i colori della nuova divisa in gruppo. E’ anomalo, Roglic è sempre uguale, ma con la maglia Red Bull sembra avere un cerchio rosso intorno. Passatemi il termine ma “fa figo”, è di moda e tutti cercano quel particolare, quei due tori rossi.

Pogacar sbaglia i tempi e adesso Vingegaard ci crede

10.07.2024
6 min
Salva

Da dove iniziare? Dallo scatto di Tadej Pogacar o dal recupero di Jonas Vingegaard? O forse sarebbe meglio partire dalla volata? L’undicesima tappa, quella del Massiccio Centrale, è ancora superba. Ci ha riproposto il duello dei duelli: il danese contro lo sloveno.

Ha vinto Vingegaard e per di più sul terreno di Pogacar: lo sprint in salita. Questa frazione va scomposta, a nostro avviso in quattro grandi “fotografie”, quattro spunti tecnici determinanti sia per questo arrivo di Le Lorian che per il resto del Tour de France.

Analizziamoli passo, passo.

Sul Pas de Peyras forcing violento della UAE Emirates che forse si autoelimina anticipatamente anche Ayuso a Almeida
Sul Pas de Peyras forcing violento della UAE Emirates che forse si autoelimina anticipatamente anche Ayuso a Almeida

Lo scatto di Pogacar

Nelle salite del Pas de Peyrol e del Pertus, le più dure, Tadej Pogacar è davanti. In particolare sulla scalata del Peyrol scatta. Vingegaard in effetti non ci era sembrato super. Un paio di volte si era alzato sui pedali, cosa che fa rarissimamente, e aveva fatto qualche impercettibile smorfia.

Tadej scatta, fa il vuoto ma intelligentemente non è a tutta. Tanto che si soffia il naso come sul Grappa al Giro d’Italia, ma tiene una cartuccia per il falsopiano dopo il Gpm. Lì scava il vero vuoto. Perfetto… sin qui.

Vola via. Guadagna. Sembra fatta. Sul Pertus all’inizio ha un bel rapporto, la gamba è in spinta. Poi inizia ad andare un po’ più agile. Cerca la macchina: non c’è. Gli offrono l’acqua: non la prende. Fruga nelle tasche: nulla. Smette di guadagnare. Ma neanche perde terreno.

Sul Pertus Tadej non è più lo stesso. Lui lo sa e inizia a voltarsi. Dice di aver atteso Vingegaard
Sul Pertus Tadej non è più lo stesso. Lui lo sa e inizia a voltarsi. Dice di aver atteso Vingegaard

Il calo di Tadej

L’ammiraglia Visma-Lease a Bike se ne accorge. Vingegaard traffica con la radiolina e alza il ritmo. Toglie di ruota prima Evenepoel e poi Roglic. Si gasa e recupera molto. 

Jonas nella discesa dal Pas de Peyras aveva mangiato. Lo aveva fatto proprio al termine del falsopiano, mentre Pogacar spingeva come un forsennato. Ricordiamo che questa frazione è stata micidiale. Partenza folle per 80 chilometri. I corridori, sono arrivati in netto anticipo. Hanno bruciato più energie del previsto. A questo si aggiunge un dislivello di 4.300 metri.

Che nel finale si sarebbe arrivati stremati era quindi quasi una certezza. O quantomeno il rischio era altissimo.

Quante volte i nutrizionisti sentiti in questi anni ci hanno detto dell’importanza delle calorie spese nella prima parte di gara quando il fisico è pieno di zuccheri? Alla fine quel dispendio presenta il conto… 

Vingegaard rintuzza Pogacar. Il danese è andato forte, ma il ritmo dei due cala e infatti Remco recupera circa 30″
Vingegaard rintuzza Pogacar. Il danese è andato forte, ma il ritmo dei due cala e infatti Remco recupera circa 30″

Il recupero di Jonas

Sul Pertus, per la prima volta in questo Tour de France, Vingegaard va più veloce di Pogacar. Che sia l’inversione di tendenza tanto temuta dal clan della UAE Emirates? Questo lo scopriremo, ma è chiaro che qualcosa è successo.

E a testimoniare il calo di Tadej, e contestualmente uno stato di adrenalina di Vingegaard, sono i distacchi nei confronti degli altri. Alla fine sono rimasti quelli. E lo stesso Vingegaard non ha avuto la forza di staccare Pogacar.

Ma attenzione, quello del danese resta un numero pazzesco. Ricordiamoci sempre dov’era a partire dal pomeriggio dello scorso 4 aprile… E non è un caso che i suoi occhi di ghiaccio abbiano perso delle lacrime.

«Siamo ormai a metà del percorso – ha detto il manager dei gialloneri, Plugge – e aver aver tagliato questo traguardo così ci dà molta fiducia. Ci aspettavamo l’attacco di Pogacar, lo avremmo fatto anche noi se avessimo avuto un corridore con caratteristiche tanto esplosive. Questa è la nostra prima vittoria di tappa e stiamo anche recuperando secondi. Alla fine conta chi arriverà in giallo a Nizza, ma certo questa è una grande spinta».

Dallo spettacolo del Massiccio Centrale è emersa una frazione corsa a ritmi folli che nel finale ha fiaccato tutti
Dallo spettacolo del Massiccio Centrale è emersa una frazione corsa a ritmi folli che nel finale ha fiaccato tutti

Lo sprint

Uno sprint a due in salita Tadej lo perde solo contro Van der Poel… forse. A Le Lioran sbaglia tutto quel che può sbagliare. Lancia la volata con il 38, quindi con la corona piccola. Chiaramente è troppo agile. Si risiede a passa al 55. Riperde quel metro. Si rilancia alzandosi, ma poi si risiede ancora. Segno di scarsa lucidità. E di fatica.

Più che in classifica questa tappa lascia risvolti nelle teste degli atleti. Il barometro di Vingegaard volge al bello, quello di Pogacar al nuvoloso. Certo, se si appurasse che per lo sloveno si è trattato di una crisi di fame le cose cambierebbero. La botta sarebbe nettamente attutita.

Il danese compie l’impresa: batte Pogacar allo sprint e torna al successo 97 giorni dopo la caduta ai Baschi
Il danese compie l’impresa: batte Pogacar allo sprint e torna al successo 97 giorni dopo la caduta ai Baschi

E ora?

Ora ci godremo la sfida, una sfida totale. Una lotta forse più sul filo di nervi che di gambe, che ovviamente serviranno. E basta riflettere sulle parole dei diretti interessati per capirlo. Uno non ammette la sconfitta e l’altro continua a parlare della sorpresa di sue certe prestazioni. 

«La nostra squadra ha fatto un ottimo lavoro – ha detto Pogacar, che ha anche indossato la maglia a pois – Mi sentivo bene durante la prima dura salita, quindi ho attaccato. Tuttavia, Jonas è tornato forte sulla scalata successiva. Ora possiamo davvero parlare di una lotta alla pari. Jonas è in ottima forma. Mi ha anche battuto nello sprint.

«Mi sentivo bene in discesa, ma poi la mia bici ha sussultato improvvisamente e da lì ho perso un po’ di energia. Non stavo male ma Jonas stava meglio così l’ho aspettato, a quel punto sapevo che sarebbe rientrato. Non penso di aver perso una battaglia mentale. Okay, lui ha vinto lo sprint, ma penso che siamo alla pari. Sarà una battaglia così fino alla fine. Nei Pirenei ci aspettano salite diverse, ma sono più preparato per quelle che non per queste scalate esplosive». E quest’ultima frase è la stessa che Matxin ha detto al microfono Rai di Silvano Ploner.

«Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la mia famiglia – replica Vingegaard – Questa vittoria significa molto per me, dopo tutto quel che ho passato. Sono così felice della vittoria di oggi che non ci avrei mai creduto tre mesi fa».

«Quando è scattato Pogacar non riuscivo a tenere il passo. E’ stato davvero molto potente. Ho lottato e non pensavo di poterlo riprendere. Sono anche un po’ sorpreso di essere riuscito a batterlo nello sprint. Battaglia mentale a me? Non ci ho pensato. Ma ora arrivano le grandi salite», conclude sornione il danese.

Lidl-Trek e ASO, i giubbini del ghiaccio sono customizzati

10.07.2024
5 min
Salva

A Firenze, nel giorno in cui il Tour de France partiva dall’Italia, Stefano Devicenzi di Santini ha richiamato la nostra attenzione davanti al pullman della Lidl-Trek. Voleva mostrarci i giubbini del ghiaccio della squadra americana, realizzati con i colori del team. Qualcosa di nuovo, a ben vedere, dato che spesso i gilet coprono le maglie, togliendo visibilità agli sponsor. Un guizzo all’italiana, che era giusto sottolineare. Poco oltre, anche i corridori della Ineos Grenadiers sfoggiavano un capo simile, ma Andrea Scolastico, referente italiano di Gobik, ci ha spiegato come si sia trattato di un’iniziativa della squadra, che li ha fatti realizzare altrove.

Le grafiche dei team

I gilet del ghiaccio, chiamiamoli così, sono ormai nell’uso comune. Visto l’innalzamento delle temperature, in certi giorni verrebbe la voglia di indossarli anche solo per sedersi al computer. I corridori se ne servono in due occasioni: la mattina per andare alla firma e nel riscaldamento prima delle cronometro. Soprattutto nella prima fase, passano attraverso le schiere dei tifosi e poi salgono sul palco su cui vengono presentati. Quanto è brutto, conoscendo gli sforzi per sistemare al meglio i vari elementi grafici sulle maglie, che i corridori salgano là sopra infagottati dentro quei gilet?

A Firenze, ad esempio, gli atleti della Visma-Lease a Bike a un certo punto se ne sono accorti e hanno aperto la lampo, mostrando le maglie griffate per il Tour che partiva dall’Italia.

Non solo per sollievo

Perché indossare il gilet del ghiaccio? La spiegazione ce la fornì ottimamente il dottor Magni e fu subito chiaro che il sollievo prodotto non è limitato al senso di fresco, ma è strettamente connesso con la prestazione.

«La contrazione muscolare – ha spiegato – è un procedimento complesso e passa attraverso diversi sistemi. Tra questi quello forse più importante è quello enzimatico. Gli enzimi sono sostanze proteiche, in questo caso actina e miosina, che contribuiscono alle reazioni biochimiche le quali danno il meglio quando la temperatura esterna del corpo va da 36 a 37 gradi. Quando questi enzimi lavorano in un ambiente più caldo la contrazione muscolare avviene, ma con un’efficacia ridotta.

«Ed ecco perché lo scopo di un atleta è quello di restare il più fresco possibile. O di tenere la temperatura il più vicino possibile a quella normale. Quando si parla di crono, alcuni ragazzi preferiscono indossarlo già sul bus. Altri lo mettono qualche minuto dopo, anche a riscaldamento iniziato, per sentire lo shock termico che dà piacevoli sensazioni e che risveglia anche un po».

Per Lidl e per ASO

Il gilet del ghiaccio in realtà altro non è che una serie di tasche, più o meno grandi, che contengono dei panetti ghiacciati. Ne esistono vari modelli, che si differenziano prevalentemente per la durata. Quelli standard restano freddi fino a un’ora e mezza. Il funzionamento è semplice. I panetti, liquidi o ripieni di una polvere secca, vengono tenuti nel freezer e da qui si infilano nelle apposite tasche. Hanno temperatura prossima allo zero. E’ importante che venga raffreddata la zona del torace, davanti e dietro in modo da agire sul 40 per cento del corpo.

Il gilet realizzato da Santini per Lidl-Trek è confezionato in lycra e tessuti leggerissimi simil garza (sempre sintetici) per essere il più traspiranti possibile, al pari di tanti altri capi della collezione Lidl-Trek. E’ molto aderente, tanto che da lontano non si ha neppure la percezione dello strato aggiuntivo. I panetti sono liquidi e vanno refrigerati in freezer, prima di essere collocati intorno al torace. Sono forniti da Inuteq, che ha collaborato alla realizzazione del gilet. L’ultima annotazione riguarda le maglie di leader del Tour, prodotte appunto dalla stessa Santini. Anche per loro l’azienda bergamasca ha fornito gli stessi gilet nei colori ufficiali: il giallo, il verde, a pois e il bianco

Rebel: un esordio in grande stile per il nuovo casco di Rudy Project

10.07.2024
4 min
Salva

Il Tour de France non è solo una vetrina per i migliori ciclisti al mondo, ma lo è anche per le aziende, che ogni anno presentano prodotti nuovi proprio in concomitanza con la Grande Boucle. E’ il caso di Rudy Project, marchio trevigiano produttore di caschi e occhiali, il quale presenta Rebel l’ultima innovazione nel campo dei caschi da ciclismo su strada. Un prodotto nuovo che farà parte della collezione del 2025 ma che sulle strade del Tour è stato indossato per la prima volta dagli atleti del team Bahrain Victorious

Poels e altri corridori del Team Bahrain Victorious hanno usato il casco Rebel nella tappa del Galibier
Poels e altri corridori del Team Bahrain Victorious hanno usato il casco Rebel nella tappa del Galibier

Prestazioni top

Un prodotto così speciale e curato nei minimi dettagli non poteva trovare miglior red carpet se non quello della Grand Depart di Firenze. Rudy Project ha creato un casco innovativo, sostenibile e dalle prestazioni elevate, come richiesto dai ciclisti più esigenti. La performance sportiva passa anche dall’utilizzo di prodotti selezionati e studiati, così Rebel trova, di diritto, il suo posto nel mondo del WorldTour. 

La sua caratteristica principale, che salta subito all’occhio è la presenza di ben 22 fori per la ventilazione. Il casco Rebel assicura all’atleta un flusso d’aria continuo e un ricambio all’interno della calotta costante. In questo modo sarà possibile superare anche le giornate più calde e afose senza compromettere la prestazione atletica. Rebel ha uno spessore ridotto rispetto a prodotti rivali, questo perché Rudy Project ha utilizzato degli inserti in carbonio, una novità nel settore, per ridurre il peso. La taglia S/M ferma la bilancia a solo 250 grammi, segnando un nuovo punto di riferimento.

Rebel introduce il nuovo divider Ergo che offre al viso un comfort ineguagliabile; il tutto è completato dalla chiusura magnetica Fidlock. Questo meccanismo semplifica il processo di fissaggio e rilascio del casco, consentendo agli atleti di non perdere concentrazione nelle fasi cruciali della corsa.

Al millimetro

Una caratteristica particolare del casco Rebel è la possibilità di regolare la chiusura posteriore, la RS Micro 11 al millimetro. Si tratta di un sistema che rende il casco aderente alla testa del corridore e ne aumenta la sicurezza. Le particolarità non finiscono e Rebel è pronto a stupire ulteriormente grazie al nuovo spoiler anteriore. Un’applicazione utile per gestire al meglio l’aria in ingresso per regolarizzare la temperatura interna. Non manca la classica rete anti insetto.

Rudy Project, inoltre, ha voluto porre l’accento anche sulla sostenibilità. La calotta del casco Rebel è realizzata con policarbonato riciclato, così come le cinghie e le imbottiture. Questo impegno garantisce comunque il massimo delle prestazioni, nel rispetto dell’ambiente.

Il casco Rebel sarà disponibile per la vendita da settembre 2024 e verrà distribuito in due taglie: S/M e L. I colori, invece, saranno tre: rosso cometa, bianco opaco e nero opaco.

Prezzo a partire da 299 euro.

Rudy Project

Philipsen di rabbia. Il belga si sblocca e attacca la verde

09.07.2024
5 min
Salva

«Sapevamo di non essere partiti al massimo della forma, ma stiamo tutti crescendo e ci sono ancora belle tappe da vincere», Jasper Philipsen, re dell’ultima Sanremo, di fatto continua il suo urlo anche dopo l’arrivo. In quel suo sprint c’erano rabbia e frustrazione. E chiaramente tanti watt.

Chi avrebbe mai detto, prima di questo Tour de France, che all’inizio della decima tappa il tabellino del corridore della Alpecin-Deceuninck  sarebbe stato ancora a zero dopo il predominio assoluto dell’anno scorso?

Tappa piatta in ogni senso, che ha vissuto in attesa dello sprint e di un maltempo finale che non c’è stato

Piattone francese

La Orléans-Saint Amand Montrond non prevede Gpm e come già accaduto in molte altre frazioni di questa Grande Boucle si è corso “da Giro d’Italia”, con la bagarre che è esplosa solo nel finale. Anche qui al Tour dunque non si fa più la fuga per far vedere la maglia, quando prima la si cercava a tutti i costi? C’è molto meno nervosismo del solito in gruppo, tanto è vero che i ritiri sono stati pochissimi sin qui, appena quattro.

Ma torniamo a Philipsen. Ieri aveva cercato di recuperare il più possibile. La sgambata con i compagni, gli autografi ai fan… ma mancava qualcosa. Secondo posto al campionato nazionale e ancora due piazze d’onore in questo Tour, più una squalifica, altrimenti sarebbero stati tre.

«Tutto sembrava andare contro di me nella prima settimana – ha detto Jasper ai media belgi – posso dirvi che non sono rimasto positivo per tutto il tempo, c’è stata delusione. Ho cercato solo di rimanere concentrato, di mantenere la calma e fare quello che dovevo. Non penso di essere meno forte dell’anno scorso. A volte è solo questione di opportunità».

E questa tappa senza Gpm era l’opportunità perfetta. E lo era anche perché una fuga, che tra l’altro ricordiamo neanche c’è stata, non avrebbe fatto paura. Si sarebbe potuti correre tranquilli, risparmiando energie… Energie quanto mai preziose quando si è in certe condizioni di tensione.

Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti
Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti

Jasper di rabbia

Neanche il maltempo o il vento, tanto attesi, ci mettono lo zampino. E il duo delle meraviglie può scatenarsi. Sembra di tornare indietro di un anno. Ai 700 metri si mette in moto il “TVP”, Treno Van der Poel”.  Mathieu schiaccia l’acceleratore. Il gruppo si allunga e Philipsen lo segue ad un centimetro (anche questa è una dote a certe velocità).

L’iridato si sposta. Come un gatto Jasper si alza sui pedali e scarica a terra tutta la sua potenza. Il tempismo e l’aerodinamica di questo momento sono perfetti. Un gesto eseguito così bene che alle sue spalle si apre immediatamente un varco. Girmay deve così lottare improvvisamente con più aria: passa dalla terza alla seconda ruota e con Philipsen già sui pedali incassa mezzo metro di distacco. In un attimo si ritrova con un buco di una bici.

«Ho già detto più volte che l’anno scorso quasi ogni sprint è stato un successo – ha ribadito Van der Poel dopo l’arrivo – tutto andava perfettamente, ma non è sempre così. Oggi eravamo tutti estremamente motivati. Ci sono poche opportunità per noi come squadra. E sono felice che ora siamo sulla buona strada. Dubbi su Philipsen? Mai avuti e neanche lui dovrebbe averne».

E dopo l’urlo la liberazione di Philipsen: «Sono molto felice per la squadra che ha continuato a crederci e ha ottenuto una meritata vittoria. Non era facile dopo cinque sprint non vinti».

L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen
L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen

Maglia verde

Questa vittoria di Philipsen riapre i giochi per la maglia verde. E lo fa non tanto per i 20 punti rosicchiati all’eritreo, ma per quel click che è avvenuto nella testa dello sprinter numero uno al mondo.

«Ci sono ancora diverse occasioni per noi velocisti e tanti punti in palio – ha detto Philipsen – Biniam ha tanti punti di vantaggio ma con la squadra in crescita ci proveremo. Oggi i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Jonas Rickaert ha iniziato bene, Robbe Ghys e Mathieu Van der Poel mi hanno poi portato in posizione perfetta sul rettilineo finale».

Tuttavia non sarà facile battere Girmay. Anche oggi ha fatto secondo, è in una fase di sicurezza importante e lo testimonia la sua costanza di rendimento e il fatto che a Troyes sia arrivato con i big.

La lotta per la maglia verde pertanto è più accesa e intensa che mai e sembra un discorso a due. Anche se, visto il percorso del Tour, Girmay ci sembra leggermente favorito. In salita tiene meglio di Jasper. Ma adesso Philipsen è in fiducia.

L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello
L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello

Big o fuga?

Infine uno sguardo a domani. Tappa ideale per le imboscate da fuga ma anche per la classifica. Il Massiccio Centrale è una trappola continua.

Probabilmente i big torneranno alla ribalta verso Le Lioran. Se oggi è stata calma piatta è auspicabile che domani se le daranno di santa ragione, tanto più visto il dislivello complessivo che li attende: oltre 4.000 metri.

Le parole forti delle conferenze stampa del giorno di riposo sembrano un lontano ricordo. Forse proprio perché già si pensava a domani. Gli ultimi 35 chilometri in particolare sono senza respiro. C’è anche un abbuono in palio sul penultimo Gpm (Col de Pertus) e il Col de Font Cère è a soli tremila metri dall’arrivo.

Ultimate Exceed “Fleur de Lys”: la “limited” di Nimbl al Tour

09.07.2024
3 min
Salva

Il brand italiano Nimbl, in collaborazione con il Team Visma-Lease a Bike, ha recentemente svelato con orgoglio una nuova edizione limitata della sua celebre scarpa da ciclismo, la Ultimate Exceed, intitolata “Fleur de Lys”. Questa scarpa non è solo un prodotto di eccellenza tecnica, ma anche un omaggio al Rinascimento, un’epoca che ha segnato profondamente la storia dell’arte e della cultura europea.

Nimbl ha voluto celebrare la partenza italiana del Tour con un modello dedicato di Ultimate Exceed
Nimbl ha voluto celebrare la partenza italiana del Tour con un modello dedicato di Ultimate Exceed

La nuova Ultimate Exceed è il risultato di una sinergia tra due mondi: quello dell’artigianato italiano e l’innovazione sportiva olandese. Firenze, la culla del Rinascimento, è il contesto ideale per il lancio di questa edizione limitata, che si ispira alla magnificenza storica della città. Così come Caterina de’ Medici, sposando Enrico di Valois e diventando regina di Francia nel 1547, ha unito Italia e Francia, questa scarpa celebra lo storico legame tra Firenze e Parigi attraverso il ciclismo.

Il Team Visma-Lease a Bike partecipa al Tour de France indossando un completo completamente dedicato al Rinascimento. Questo evento rappresenta un’occasione unica per celebrare la storia e la cultura attraverso uno sport amato da milioni di persone. La “limited edition” nata dalla collaborazione tra Nimbl e il team olandese è caratterizzata da un design che richiama l’eleganza del Rinascimento. La Ultimate Exceed “Fleur de Lys” presenta sulla tomaia l’iconico giglio, simbolo per eccellenza del Rinascimento, accompagnato da delicate decorazioni che richiamano le atmosfere classiche dell’epoca.

Sulla tomaia troviamo stampato il giglio, simbolo di Firenze e del Rinascimento
Sulla tomaia troviamo stampato il giglio, simbolo di Firenze e del Rinascimento

Design e tecnologia all’avanguardia

Il design della Ultimate Exceed “Fleur de Lys” è stato curato nei minimi dettagli per offrire una calzatura non solo esteticamente piacevole ma anche altamente funzionale. Ogni dettaglio è pensato per rievocare le atmosfere classiche, mantenendo uno stile pulito, caratteristica distintiva della filosofia di Nimbl. La tecnologia alla base della Ultimate Exceed è un esempio dell’autentico artigianato italiano, che ha sempre puntato sulla qualità e l’innovazione. La scarpa è progettata per ottimizzare la trasmissione di potenza, adattandosi perfettamente al piede e garantendo una posizione ottimale durante la pedalata. La leggerezza e la velocità della scarpa sono ulteriormente migliorate grazie alla suola a conchiglia monoscocca in grado di offrire una calzata davvero superlativa.

Il Team Visma-Lease a Bike indosserà la nuova edizione limitata della Ultimate Exceed per tutte le tre settimane della Grande Boucle. Questa scarpa non è solo un tributo estetico al Rinascimento, ma anche un prodotto che incarna le virtù chiave del ciclismo di alto livello: una calzata impeccabile e un trasferimento di potenza ineccepibile.

Francesco Sergio, cofondatore e CEO di Nimbl
Francesco Sergio, cofondatore e CEO di Nimbl

Passato e presente si incontrano

Oltre cento corridori WorldTour hanno scelto Nimbl Ultimate Exceed. Il connubio tra arte e tecnologia, tra passato e presente, rende la Ultimate Exceed “Fleur de Lys” un simbolo di eccellenza e ingegno. Nimbl e il Team Visma-Lease a Bike hanno saputo creare non solo una scarpa, ma una vera e propria opera d’arte, pronta a conquistare i cuori degli appassionati di ciclismo e a lasciare un segno indelebile nella storia del Tour de France.

La Ultimate Exceed “Fleur de Lys” è molto più di una semplice scarpa: è un tributo alla bellezza, all’arte e alla cultura che il Rinascimento ha portato nel mondo, reinterpretata attraverso la lente dell’innovazione sportiva. Questo progetto rappresenta una celebrazione dell’eredità storica e dell’eccellenza tecnica, dimostrando che il passato e il presente possono incontrarsi per creare qualcosa di veramente straordinario.

Nimbl

Pedivelle più corte: secondo FSA l’onda è già partita

09.07.2024
6 min
Salva

I professionisti aprono la strada e il mercato si mette a ruota. La difficoltà semmai è prendere la fuga giusta, ma quando a dettare il passo ci sono riferimenti come Pogacar, la direzione è obbligata. La tendenza a ridurre a lunghezza delle pedivelle ha nello sloveno uno degli sponsor di maggior convinzione, anche se probabilmente fra i big è stato Evenepoel a ridurre le leve già un paio di anni fa. Si pensò che fosse legato alla statura invece, come ha da poco confermato Alessandro Colò, è la nuova frontiera della biomeccanica. Ed è per questo che i tecnici di FSA-Vision si sono dovuti rimboccare le maniche e intensificare le lavorazioni su leve di lunghezza inferiore, come racconta Edoardo Girardi, quattro anni da professionista alle spalle, in questi primi giorni di Tour de France (in apertura foto FSA).

«Stiamo avendo una richiesta abbastanza importante di accorciare le pedivelle – spiega – perché ci sono sempre più corridori e squadre che sponsorizziamo orientati in questo modo. E adesso sembra che la stessa richiesta stia arrivando già anche a livello aftermarket. Diciamo ancora in modo timido, però sta arrivando. Fra le squadre invece è una tendenza quasi… prepotente. Fino a due anni fa, prevedevamo una cinquantina di braccetti di pedivelle da 165 per coprire tutti i team, la proiezione per l’anno prossimo è già di 300 pezzi. Non siamo noi in primo battuta a fare i test, ma raccogliamo il loro feedback tecnico. E il parere è univoco. C’è un miglioramento dell’efficienza meccanica della pedalata. Il muscolo lavora con un travel non nella massima estensione e questo permette di risparmiare energie, con un vantaggio misurabile in termini di watt».

Questo incide sulla biomeccanica più in generale ovviamente?

Assolutamente, non si riduce al mettere soltanto una pedivella più corta. Sicuramente c’è un lavoro con il biomeccanico, in cui si stravolgono le regole del gioco. Se si guarda anche l’arretramento della sella, in questi ultimi anni sono tutti a zero e anzi addirittura qualcuno è positivo, con la sella in avanti. E’ un insieme che si sta assestando in modo diverso. I manubri sono più stretti e gli attacchi si sono allungati, perché portando più avanti il bacino, hanno la necessità di allungarsi in avanti. Cambia tutta la posizione, cambia il dislivello fra sella e manubrio. Con la pedivella più corta, posso alzare la sella. Sono cose soggettive, ovviamente, ma a quanto ci dicono la variazione di altezza di sella non coincide con la misura della nuova pedivella. Si resta più bassi e questo pare che porti a una migliore efficienza.

Si tratta di riduzioni drastiche o graduali?

Anche questo è molto soggettivo. C’è chi passa da 172,5 a 170, si abitua e prosegue. E chi invece fa subito il passaggio da 172,5 a 165 o addirittura a 160. Per consentire di avere la giusta gradualità e per individuare misure che possano accontentare tutti, abbiamo in gamma anche le pedivelle da 167,5. Ci sono da parecchio, ma fino allo scorso anno nessuno ce le aveva mai chieste. L’anno scorso qualche squadra ha iniziato volendo fare delle prove sulle bici da crono e adesso sta diventando, non dico uno standard, ma una misura comune. Per questo pensiamo che le 160 e soprattutto le 165 possano diventare un trend forte.

Con la possibilità illimitata di fare test, ormai è abbastanza immediato valutare se la scelta dia buoni frutti…

Infatti ormai tutti sono in grado di valutare e comparare l’efficienza della pedalata, anche solo con un allenamento. Se faccio sempre le ripetute sulla stessa salita, è un attimo per un atleta di alto livello, che è sempre tirato con una corda di violino, capire se c’è un miglioramento e se il miglioramento è meccanico.

Da FSA segnalano l’aumento di richieste di guarniture con pedivelle più corte da parte dei team sponsorizzati
Da FSA segnalano l’aumento di richieste di guarniture con pedivelle più corte da parte dei team sponsorizzati
Quanto incide l’emulazione rispetto a quello che fanno i campioni?

E’ fondamentale. Sicuramente adesso è sotto gli occhi di tutti perché Pogacar le ha utilizzate in diverse corse ed è come uno spot in prima serata su un canale televisivo. Tutti aprono gli occhi. E anche se non è solo questo ad avergli permesso certi risultati, se uno del suo calibro fa una scelta del genere, vuol dire che qualcosa di oggettivo c’è per forza. Quindi tanti, incuriositi, ci provano e si buttano. Sarebbe diverso se lo vedessero in altri corridori, che magari hanno fatto la stessa scelta da anni, però sono lontani dalla luce dei riflettori. Noi da parte nostra indaghiamo e ci stiamo rendendo conto che questo orientamento tecnico stia portando davvero a dei miglioramenti. Per cui sappiamo che il mercato a breve prenderà la stessa direzione.

Dal punto di vista della produzione cambia qualcosa?

Cambia nel senso che abbiamo dovuto introdurre una misura di pedivella più corta, perché non basta semplicemente spostare l’inserto in alluminio nella pedivella in carbonio. Intervieni proprio sulla lunghezza del braccio, anche perché questo ti dà anche un vantaggio in curva. Il braccio più corto significa che puoi continuare a pedalare anche quando sei in piega, puoi giocarti 5 millimetri in meno. Può sembrare poco, invece significa un angolo importante. E a questi livelli non perdere la pedalata in discesa può fare la differenza.

Si può parlare anche di risparmio di peso?

C’è del materiale in meno, ma non è quello il motivo di maggior interesse, anche se è innegabile che fra una 172,5 e una 165 la differenza ci sia.

Una pedivella più corta di 5-7 millimetri permette di pedalare anche quando si è in piega
Una pedivella più corta di 5-7 millimetri permette di pedalare anche quando si è in piega (immagine FSA)
Hai parlato di nuova misura.

Avremo una 155 e il bello è che ce la chiedono anche atleti di grossa taglia, che vogliono estremizzare il gesto della pedalata corta. Resta ovviamente una misura più votata al ciclismo femminile o anche magari anche alle categorie giovanili, ma è singolare che ce la chiedano anche corridori di altezza medio/alta. E’ una tendenza generale che vediamo con le nostre squadre, ma sondando il terreno anche team che montano materiali di altri brand ci confermano che questo è l’orientamento più o meno marcato, sicuramente un trend forte.

I rapporti però non cambiano?

Avendo a disposizione diversi mezzi per fare analisi e approfondimenti, vediamo che mantenendo la stessa rapportatura, quindi senza intervenire sulle corone, le velocità in gruppo aumentano. Evidentemente riduci il braccio di leva, però cambiando posizione e tutto il resto riesci comunque ad esprimere una potenza superiore. Oppure mantieni lo stesso output a livello di potenza, compensi con la cadenza. Aumentando di qualche pedalata la frequenza, probabilmente esprimono la stessa potenza con qualche battito in meno. Ed è lì che fanno la differenza. Vanno alla stessa velocità di prima, tenendo però qualcosina in più da giocarsi nel finale. Oppure, al contrario, possono spendere di più al momento di fare selezione.

Le vostre squadre al Tour hanno ridotto la lunghezza delle pedivelle?

Abbiamo Bahrain, Ef Education e Israel e tutti hanno ridotto la misura delle pedivelle. Non so dirvi ora quali corridori abbiano deciso di provare, perché le squadre chiedono un tot di pedivelle e poi sono loro a gestire queste prove. Ogni corridore ha 3-4 bici e di volta in volta fanno qualche test. Quando poi alla fine la squadra ci fa i suoi report, abbiamo modo di approfondire con i casi singoli.

Derek Gee pedala più basso grazie alle pedivelle, mantenendo potenza con superiore frequenza
Derek Gee pedala più basso grazie alle pedivelle, mantenendo potenza con superiore frequenza
Credi che tutto questo arriverà anche sul mercato?

In parte sta già accadendo, sia pure a livello di aftermarket. Se poi ci sarà un cambiamento vero di abitudini lo scopriremo se domani un costruttore sceglierà di fare il primo montaggio con pedivelle da 179 o 165 piuttosto delle classiche 172,5. Questo significherebbe che lo standard delle misure è cambiato, come è successo con i manubri, che di serie ormai vengono montati più stretti e con attacchi mediamente più lunghi.

Q36.5, una maglia speciale per i 10 anni dal Tour di Nibali

09.07.2024
3 min
Salva

Sono passati dieci anni dalla vittoria del Tour de France da parte di Vincenzo Nibali. Una decade è una bella ricorrenza e il marchio bolzanino Q36.5 ha deciso di festeggiarla con una nuova maglia celebrativa, la Gregarius Pro Roi Nibalì (con l’accento sulla i). La nuova maglia, sviluppata sulla base del modello Gregarius Pro, si ispira alla prima pagina della Gazzetta dello Sport che nel 2014 annunciava la vittoria del corridore italiano alla fine della corsa a tappe più importante del mondo. Andiamo a vederla nel dettaglio.

Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France
Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France

Estetica celebrativa

Nibali, lo sappiamo, è uno dei soli sette ciclisti nella storia ad aver vinto tutti e tre i Grandi Giri: la Vuelta nel 2010, il Giro nel 2013 e nel 2016 e, appunto, il Tour nel 2014. Per ricordarlo, la grafica della maglia presenta sotto la base azzurra quattro fasce – rossa, rosa, gialla e rosa – che avvolgono il torso, a simboleggiare quei successi

Ma la vera chicca si trova sulla tasca posteriore centrale. Lì Q36.5 ha stampato una riproduzione (ovviamente in scala) della prima pagina della Gazzetta dello Sport del 28 luglio 2014. Quella uscita, per l’occasione, in giallo. 

Sul petto, le tre fasce dei colori cherimandano alle vittorie di Nibali al Giro, la Vuelta e il Tour
Sul petto, le tre fasce dei colori cherimandano alle vittorie di Nibali al Giro, la Vuelta e il Tour

Tutta la qualità della Gregarius Pro

Come accennato la nuova maglia Roi Nibalì si basa sulla Gregarius Pro, la jersey aereo di Q36.5. Si tratta di una maglia studiata per non avere tessuti che possano causare irritazioni e resistenza, con le maniche realizzate in materiale a coste leggere che lascia i movimenti delle braccia più liberi possibili.

La Gregarius Pro è pensata per l’utilizzo prettamente estivo, infatti il pannello posteriore è costituito da una rete a nido d’ape, mentre quello anteriore con un materiale microforato ultra-traspirante. Q36.5 dichiara che la combinazione di questi materiali e tecnologie garantisce la stabilità della temperatura corporea a 18°C. Per quanto riguarda la composizione generale è al 79% in poliestere e al 21% in elastan.

Sistema-tasche a rete elastica

Le tasche della Gregarius Pro Roi Nibalì meritano un accenno particolare. Si tratta delle tre tasche classiche (con in aggiunta un taschino con chiusura a zip), realizzate però in una rete leggera che offre tutto lo spazio sufficiente per riporre gli oggetti necessari. La particolarità di questa speciale rete è che si espande quando viene utilizzata, per tornare poi ad aderire perfettamente alla schiena quando le tasche sono vuote. 

La maglia Gregarius Pro Roi Nibalì è estremamente leggera, solo 112 grammi. Essa è disponibile sul sito di Q36.5 e nei migliori negozi di ciclismo al prezzo suggerito al pubblico di 130,00 euro.

Q36.5

La lotta psicologica contro Tadej. Ma lui è una roccia

09.07.2024
4 min
Salva

Come di consueto nei grandi Giri i giorni di riposo diventano i giorni delle conferenza stampa. E ieri ad Orleans, nel cuore della Francia, è sembrata andare in scena una sorta di sequel della frazione degli sterrati. Sono intervenuti tutti e tre i protagonisti: Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel. Che in modo più o meno diretto si sono risposti l’un con l’altro.

Vingegaard ha mandato a dire ad Evenepoel che il suo non collaborare non era mancanza “di palle”, ma d’intelligenza tattica. Remco dal canto suo si è ricreduto da una parte, dicendo che è stato un peccato che il danese non abbiano insistito, ma ha aggiunto anche che avrebbero potuto guadagnare 3′-4′ se Jonas avesse contribuito all’azione.

E’ da Bologna che Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel stanno dominando il Tour
E’ da Bologna che Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel (che s’intravede in primo piano) stanno dominando il Tour

Parla Tadej

E poi c’è lui, sua maestà Tadej Pogacar. E’ sua la conferenza stampa più attesa. Pogi ha affrontato la giornata di riposo con grande tranquillità a quanto sembra. La sgambata, il caffè con i compagni… e uno stuolo di giornalisti e fotografi al seguito.

«Sono abbastanza contento – ha detto l’asso della UAE Emirates – di come sia andata sin qui. L’anno scorso dovevo colmare il gap in questo momento. Al massimo sono arrivato a 9” dalla maglia gialla, adesso ne ho 33” di vantaggio su Remco. Non è troppo. Ma stanno arrivando le grandi battaglie e anche Jonas e Primoz (Roglic, ndr) sono vicini e i distacchi faranno presto a cambiare con le tappe che ci aspettano, specie dalla quindicesima in poi».

Sguardo rilassato, capello moderatamente spettinato… la semplicità e la naturalezza di questo gigante sono tutte qui.

Semplicità che resta intatta anche quando, inevitabili, arrivano le domande su Vingegaard.

«Io e Remco – ha detto Tadej – volevamo vincere verso Troyes, Jonas no. L’ho visto molto concentrato su di me. Quando si muoveva Remco, Jonas non si preoccupava. Penso che abbia un po’ paura. Vedremo come andranno le cose nelle tappe di montagna».

E poi la risposta delle risposte: «Se sento la sua pressione psicologica? Se provano a battermi mentalmente non ci riescono», ha tuonato laconico Pogacar con quella naturalezza di cui dicevamo, ma con una determinazione da far paura. Erano gli stessi occhi della mix zone dopo Valloire. Gli occhi di chi non è appagato.

«Gli altri stanno lottando anche per se stessi. Corrono contro di me. Ci sono abituato. Non mi fa male, io devo solo essere quello che posso essere».

Tadej Pogacar e a ruota Jonas Vingegaard: il film di questo Tour
Tadej Pogacar e a ruota Jonas Vingegaard: il film di questo Tour

Il piano di Vingegaard

Come ha scritto anche il nostro direttore domenica sera dopo la frazione di Troyes: “Pogacar attento, la trappola di Vingegaard è già scattata”, si parla di questo piano. Piano che lo stesso danese più volte ha menzionato. Un piano già iniziato probabilmente. Ed è quello dell’attesa. Attesa delle tappe giuste e di una condizione che, come ha ribadito lo stesso Vingegaard, va in crescendo.

«L’anno scorso i Visma erano fiduciosi per il finale – ha detto Pogacar – adesso stanno giocando la stessa carta. Puntano tutto sull’ultima settimana. La cosa non mi disturba. Ma quest’anno sono più fiducioso anche io. Ho la maglia gialla, di cui sono contento, e se tutto andrà come dovrebbe andare avrò buone gambe anche nella terza settimana e nelle ultime tre tappe in particolare». Le ultime tre tappe, quelle che dovrebbero far scattare il piano di Vingegaard e della Visma – Lease a Bike.

«Non sono affatto stupito della sua condizione- ha proseguito lo sloveno riferendosi a Vingegaard – Quando ho saputo che sarebbe venuto al Tour, mi era chiaro che sarebbe stato ben preparato. Poi ho capito dalla seconda tappa che era prontissimo. Abbiamo scalato il San Luca più veloce della storia, abbattendo il record di ben 20”. E Jonas ha resistito bene. Lui è molto concentrato e questo si vede quando siamo in gruppo».

Pogacar ed Evenepoel, tra i due sembra esserci un bel feeling
Pogacar ed Evenepoel, tra i due sembra esserci un bel feeling

Voglia di montagna

Più volte Pogacar ha parlato dell’attesa e della voglia di affrontare le montagne. Davvero sembra si diverta quando corre, nonostante le pressioni. Per esempio ha detto che parla spesso con Remco e che si sta divertendo a gareggiare con lui in questo Tour de France.

Come per il Giro d’Italia e come per gli altri Tour de France, qualcuno gli imputa che sta sprecando troppe energie. Ma è anche vero che sin qui l’unico scatto davvero “forzato” è stato proprio quello di Troyes. Ci stava che a Bologna volesse testare il grande rivale, che da parte sua oggettivamente poteva non essere al top in una frazione che richiedeva esplosività e che da tanto tempo non gareggiava. Tanto è vero che quando Tadej ha visto che Vingegaard era lì, non ha insistito fino alla fine. Ma a quel punto sapeva con chi aveva davvero a che fare. 

«Non ho visto tutte le prossime tappe – ha concluso Pogacar – ma conosco alcune delle salite che ci aspettano sui Pirenei. Pavel Sivakov vive lì e non vede l’ora di scalare il Plateau de Beille. E lo stesso Adam Yates. Anche io non vedo l’ora che arrivino i Pirenei, mi hanno sempre fatto bene. Si preannuncia un fine settimana davvero scoppiettante».