Si sblocca Dalla Valle: doppietta e fiducia ritrovata

15.08.2022
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«Se incontrassi il Dalla Valle che correva alla Bardiani – dice sorridendo – gli direi di non mollare e di insistere. Che si può arrivare dove si vuole».

Nicolas Dalla Valle, 24 anni da Cittadella, vincitore di due tappe al Tour of Szeklerland. La prima e l’ultima. Lo Szeklerland è una regione nel cuore della Romania e i suoi abitanti, gli Szekler, hanno origini ungheresi, al punto che si è spesso dibattuto sulla loro origine. Alcuni riscontri storici e leggende popolari dicono che siano discendenti diretti di Attila. Si dice che il principe Csaba fosse figlio di Attila, re degli Unni.

Dopo la vittoria nella prima tappa, per Dalla Valle è arrivata anche la maglia di leader
Dopo la vittoria nella prima tappa, per Dalla Valle è arrivata anche la maglia di leader

Voglia di riscatto

Ci eravamo lasciati con l’intervista di metà luglio, quando dopo il Sibiu Tour, assieme alla condizione erano venuti il morale e la sensazione che la vittoria fosse in arrivo. Mancava da anni, da quando, lasciata la Colpack e fatto uno stage con la UAE Emirates, Nicolas si era accasato al Tyrol KTM Cycling Team. Era stato un anno positivo, al punto che per il 2020 aveva firmato il contratto con la Bardiani, senza sapere del Covid in arrivo e di andare incontro a due anni di poche corse e magre soddisfazioni.

«Vincere due tappe non è da tutti i giorni – racconta – già a Sibiu era andata bene. Sapevo che si trattava di restare concentrati e di lavorare bene. Vincere dà qualcosa in più, sono stimoli importanti. La condizione sale. Vengo da due anni in cui non sono riuscito a dimostrare chi sono. Ora vedo la possibilità di riscatto. Sono nella squadra giusta, un ambiente familiare in cui si può parlare di tutto».

Nel 2019 correva ancora con il Tyrol Cycling Team e ha corso la Adriatica Ionica Race con la nazionale
Nel 2019 correva ancora con il Tyrol Cycling Team e ha corso la Adriatica Ionica Race con la nazionale
La Giotti Victoria-Savini è una squadra che punta al rilancio dei suoi corridori, qual è la tua speranza oggi?

Quella di salire un altro gradino. Non ho un procuratore, ma Stefano (Giuliani, ndr) mi sta dando una mano a trovare una squadra più grande. I risultati sono arrivati.

Raccontaci qualcosa in più della corsa…

Ho trovato percorsi quasi tutti alla mia portata, a parte il quarto giorno che c’era l’arrivo in salita. La prima tappa l’ho vinta in volata. Il secondo giorno sono rimasto tagliato fuori per un problema meccanico. Ma l’ultimo giorno, visto che avevo più fiducia, anziché aspettare la volata sono partito all’inizio dell’ultimo giro. Il gruppo non mi ha lasciato spazio, ma ho vinto lo stesso.

La tua squadra ha matrice rumena, come sono state accolte le vittorie?

E’ stata una bella vetrina, gli sponsor sono di lì, quindi la vittoria in casa vale doppio.

Per la GIotti Victoria-Savini, squadra rumena, due vittoria in casa valgono doppio
Per la GIotti Victoria-Savini, squadra rumena, due vittoria in casa valgono doppio
Quali differenze ci sono fra Dalla Valle di oggi e quello degli ultimi due anni?

Sicuramente anno dopo anno c’è stata una crescita. Vengo da due anni in cui ho corso poco (63 giorni fra 2020 e 2021, 44 finora nel 2022, ndr) ed è difficile essere competitivi al massimo senza gareggiare. Sicuramente queste corse sono la base da cui ripartire. I vantaggi di un anno ben fatto li trovi soprattutto nella stagione successiva.

A luglio dicesti che il grande obiettivo saranno le classiche in Veneto di fine stagione, confermi?

Sicuramente sì. Infatti entro un paio di giorni salirò a Livigno per fare 12-13 giorni di preparazione ben fatti. Voglio lavorare bene per il finale di stagione.

Come avete festeggiato dopo la seconda vittoria?

In modo sobrio, anche perché nel pomeriggio ha cominciato a piovere. Però una pizza ce la siamo concessa.

Prima tappa a Debrecen, Dalla Valle batte Daniel Skerl, del CT Friuli
Prima tappa a Debrecen, Dalla Valle batte Daniel Skerl, del CT Friuli

Rimettersi in gioco

La chiosa spetta a Stefano Giuliani, comandante di lungo corso, capace di leggere in fondo agli occhi dei suoi corridori e tirare fuori quello che altrove è passato inosservato.

«Nicolas è un ragazzo in possesso di ottime qualità tecniche – spiega – bisogna avere la costanza per arrivare al massimo risultato. La speranza è che qualche squadra professional possa notare le sue performance. La nostra filosofia è quella di far salire nelle categorie superiori chi merita e nel nostro piccolo queste vittorie danno morale non solo all’atleta ma alla squadra e allo staff. Abbiamo la costanza di non mollare e questo ci fa ben sperare per il finale di stagione. L’appetito vien mangiando!».

Dalla Valle e Monaco: alla Giotti Victoria per ritrovarsi

14.01.2022
4 min
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«Io sono un Bastian contrario nel ciclismo, ho le mie idee e nessuno me le toglie». A parlare è Stefano Giuliani, diesse e non solo della Giotti Victoria. Il suo è un team continental “atipico”, così lo definisce. La personalità non gli manca, chi lo conosce bene lo sa.

«Ho un mio modo di vedere e di intendere il ciclismo, non piace a tutti, ma a me sì. Anche con i corridori ho un rapporto diverso. Sulla bici non ci sono alibi o scusanti, anche io sono stato corridore, è una categoria che tende a nascondersi dietro a tante scuse…»

Il Team Giotti Victoria al via del Trofeo Laigueglia del 2020 (foto Scanferla)
Team Giotti Victoria al via del Trofeo Laigueglia 2020 (foto Scanferla)
Partiamo dal principio, come mai vi ritenete un team atipico?

Puntiamo su un calendario di corse internazionali legate alla categoria elite. Non disputiamo gare under 23, è una cosa che non ci interessa.

Come mai?

Io arrivo da tanti anni di esperienza nel professionismo, sono sempre stato abituato a lavorare in un certo ambiente, non riuscirei a rendere allo stesso modo. Mi piace lavorare con i corridori che hanno qualcosa da dimostrare, che vogliono rilanciarsi, con gente che ha fame.

E’ nata con questo intento la squadra?

Le situazioni che hanno contribuito alla nascita di questa squadra sono tante e delle più disparate. Volevo fare un team mio dove applicare i metodi che ritengo più giusti. Abbiamo sempre avuto corridori più grandi o maturi, ma con una caratteristica di base: la voglia di rivincita.

Stefano Giuliani ha sempre avuto una personalità esuberante
Stefano Giuliani ha sempre avuto una personalità esuberante
Come Dalla Valle e Monaco?

C’è da fare una premessa importante: noi non cerchiamo nessuno, sono i corridori a chiedermi di venire qui. Sono uno che parla apertamente e non si nasconde dietro false promesse per accaparrarsi il giovane di turno.

Come si allestisce la squadra?

Prima cosa conosco i corridori, ci parlo e faccio subito capire come si lavora qui. Io non obbligo nessuno a restare o a fare le cose, sono molto aperto, faccio correre i ragazzi come meglio credono. Devono essere loro a capire che l’unione fa la forza e che a volte è meglio aiutare un compagno che cercare un risultato. Siamo una squadra piccola che lotta con le grandi, bisogna remare tutti dalla stessa parte e chi non lo fa può scendere dalla barca, questo i miei corridori lo sanno.

Perché andare a lottare con i più grandi?

Come detto prima: a me piace recuperare i corridori che si sono “persi” o che vogliono dimostrare al mondo che valgono. Sono uno che ama le sfide, a volte mi fermo e penso ma chi me lo fa fare. La risposta è un po’ di sana follia e tanta, anzi, tantissima passione. Il ciclismo oggi è un po’ impazzito, non è possibile che a 23 anni un corridore smetta, e qui rispondo alla domanda di prima: perché Monaco e Dalla Valle.

Ritiene quindi che si stia esagerando nella ricerca dei talenti?

I corridori giovani quando vincono da junior o under 23 si sentono tutti dei fenomeni, poi ti scontri con la realtà e fa male. Da me i corridori non vengono trattati come campioni, ma come degli esseri umani… A volte sono rigido ma cerco di essere sempre un buon diesse, una figura paterna quando serve.

Quindi loro due, Monaco e Della Valle, li ritiene validi?

Sì, altrimenti non sarebbero qui. Dalla Valle ha fatto uno stage con una WorldTour (UAE Emirates, ndr) e poi due anni con una professional (Bardiani, ndr). Fa strano pensare non abbia trovato una squadra… Monaco, invece, ha corso poco nel 2020, poi ha preso il covid la scorsa stagione, ma alla Adriatica Ionica Race era andato forte e così dopo due giorni di colloquio qui a Pescara ho capito che avrebbe fatto al caso nostro.

Stefano Giuliani prima di fondare il team Giotti Victoria è stato diesse della Nippo Vini Fantini, qui al Giro d’Italia 2015
Giuliani prima di fondare il team Giotti Victoria è stato diesse della Nippo
Un calendario ampio ed internazionale come si costruisce?

E’ sempre più complicato, la cancellazione delle corse ha obbligato le squadre WorldTour a ripiegare su altre gare e per le professional o le continental c’è sempre meno spazio. Trovare gli sponsor è, anche questo, un lavoro difficile. Le aziende hanno altri problemi, poi le squadre WorldTour hanno alzato ancor di più l’asticella.

Più investimenti per loro vuol dire farne di più anche per gli altri per rimanere al passo.

E’ evidente, prima le squadre continental o professional se la cavavano con un budget più ristretto. La forbice si sta allargando, è come nel calcio, le prime 6-7 squadre hanno un budget e fanno un certo tipo di lavoro, le altre si arrangiano.

Tamponi ancora più salati se la squadra è piccola

16.11.2021
4 min
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Il Covid non molla ancora del tutto la sua presa, anzi… e in qualche modo non intralcia solo la vita dei normali cittadini, ma anche quella delle squadre. A cominciare dalla gestione delle trasferte, del personale e dei tamponi soprattutto.

E più la squadra è piccola e più tutto ciò incide, specie sui costi, non solo sulla logistica. Lo sa bene Stefano Giuliani direttore sportivo e team manager della Giotti Victoria- Savini Due, squadra continental composta da nove atleti e (mediamente) cinque persone dello staff. Mediamente perché il numero variava a seconda delle corse. Se si schieravano sei o sette atleti cambiava il numero di diesse e staff al seguito.

Stefano Giuliani, è manager e diesse della Giotti Victoria – Savini Due
Stefano Giuliani, è manager e diesse della Giotti Victoria – Savini Due

Tamponi salati…

Se per alcune WorldTour, che però hanno uno staff molto grande, si sono superati importi a sei cifre, per la Giotti la spesa, seppur inferiore, è anche più salata.

«In effetti – dice Giuliani – per noi è già una fatica andare avanti in situazioni normali, visto il budget ridotto, figuriamoci con i tamponi da fare. Questa è stata una spesa che ha inciso moltissimo. Parliamo di quasi 40.000 euro e oltre un migliaio di tamponi effettuati nel corso della stagione. Per molte gare di fatto servivano tre tamponi ad atleta: quello fatto 72 ore prima di arrivare alla gara o per il viaggio, quello a ridosso del via e quello per rientrare.

«E questo ha inciso ancora di più in considerazione del fatto, lo ammetto, che uno sponsor per esempio proprio a causa del Covid ad inizio stagione si è tirato indietro».

Mediamente un tampone rapido costa (adesso) 15 euro, un Pcr anche 70 euro. E spesso ai team era richiesto quest’ultimo
Mediamente un tampone rapido costa (adesso) 15 euro, un Pcr anche 70 euro. E spesso ai team era richiesto quest’ultimo

La macchina Covid

Il tecnico pescarese ha sempre cercato, riuscendoci, di far correre la sua squadra nelle gare più importanti possibili e alla portata del suo team. Pertanto si è trovato spesso a viaggiare per l’Europa: Turchia, Slovenia, Bulgaria, Ungheria, Portogallo… Ma anche in Italia, chiaramente.

«Una cosa stressante per esempio è che si faceva il tampone (il molecolare, ndr) e ci si metteva in viaggio verso la località dove gareggiare, non conoscendo le risposte chiaramente, ma avendo delle tempistiche da rispettare. Tu quindi affrontavi delle spese, programmavi tutto, poi magari quando eri arrivato ecco che ti chiamavano per dirti che c’era un positivo.

«E questo è quel che è successo al Trofeo Laigueglia – spiega Giuliani – Dall’Abruzzo alla Liguria. Siamo arrivati, abbiamo preso possesso dell’hotel, i ragazzi hanno fatto la sgambata, io avevo fatto la punzonatura e alle 18 mi è arrivata la telefonata: un corridore era risultato positivo.

«A quel punto abbiamo fatto una “macchina Covid” e siamo tornati a casa… alle tre di notte. Due ragazzi sono rimasti per due settimane a casa mia: uno al piano di sopra e uno al piano di sotto in attesa di tornare negativi. E anche al Giro di Ungheria abbiamo avuto il nostro bel da fare. In quel caso fu Gergely Szarka a prendere il virus».

Emil Dima ha vinto la terza frazione del Sibiu Tour
Emil Dima ha vinto la terza frazione del Sibiu Tour

Compartimenti stagni

Giuliani parla di un’organizzazione spesso ideata a “compartimenti stagni” tra personale e atleti. Niente ritiri, allenamenti separati… in questo modo se ci fosse stato un positivo non avrebbero fermato tutta la squadra.

«Noi abbiamo un laboratorio di riferimento, ma spesso i ragazzi facevano i tamponi per conto proprio a casa loro, anche per esigenze di tempistiche da rispettare in base a gare, aerei… Bisogna pensarle tutte, anche perché quando siamo stati fermi è stata una bella botta morale».

«Però tutto sommato – conclude Giuliani – siamo riusciti a portare a casa una buona stagione: quattro vittorie e potevano essere il doppio con qualche piccola attenzione in più. Quattro vittorie che per un team come il nostro non sono poche. Siamo sessantesimi nella classifica Uci, se penso che ci sono 19 WorldTour e più di 20 professional che hanno budget decine e decine di volte superiore al nostro… non è neanche male».

Guardini dice basta, restano i ricordi e le giuste osservazioni

14.11.2021
7 min
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Questa volta basta davvero, la malinconia è stemperata dalla rassegnazione. Già lo scorso anno Andrea Guardini era stato a un soffio dal dire basta e se non fosse stato per le due vittorie al Giro di Romania a fine 2020, lo avrebbe probabilmente fatto. Quelle due fiammate invece gli fecero cambiare idea, come ci aveva già raccontato all’inizio di questa stagione. Ma adesso, con il Covid che ha tolto di mezzo l’attività orientale di cui era il re incontrastato, trovare un motivo per andare avanti è diventato più duro delle salite di cui sono zeppe le corse europee. Per il veronese, che per costituzione fisica e natura delle fibre è uno degli ultimi velocisti puri in circolazione, questo ciclismo è diventato impraticabile.

«Ho cercato squadra fra le professional – dice – speravo che quello fra le continental fosse stato solo un passaggio, ma dopo il Covid hanno tutte mantenuto gli organici che avevano. Dopo quelle due vittorie non potevo smettere e devo dire grazie a Stefano Giuliani per avermi aperto ancora una volta le porte. Abbiamo fatto i salti mortali per avere un buon calendario, abbiamo chiuso al Giro di Sicilia. Voi non avete idea quanto pesi sulle squadre più piccole il costo dei continui tamponi…».

Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012
Giro d’Italia 2012, tappa di Vedelago: Guardini vince e Cavendish s’infuria
Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012
Giro d’Italia 2012, tappa di Vedelago: Guardini vince e Cavendish s’infuria

Scinto, amore e odio

La favola di Guardini era iniziata in pista: velocista come Bianchi e come quegli specialisti estinti che si sta cercando di ricostruire in vista delle Olimpiadi. Solo che al tempo la cultura della pista era ai minimi termini e negli anni in cui Guardini era under 23 sotto la guida di Gaetano Zanetti (2008-2010), il velodromo di Montichiari era stato appena terminato. Il richiamo della strada fu più forte, la pista non garantiva assegni a fine mese e così Andrea passò professionista con Scinto. Era velocissimo, ma sulle salite faceva troppa fatica. Un modo per passarle però Scinto lo trovava sempre, in gruppo se ne rideva, e alla fine ci scappò anche una tappa al Giro d’Italia davanti a Mark Cavendish, che non la prese proprio bene.

«Lui si arrabbiò – dice – più con se stesso. Per tenere la maglia rossa della classifica a punti, aveva voluto fare un traguardo volante che non era proprio piatto. Riuscì a vincerlo, ma spese troppo e in finale vinsi io. Un ragazzino. Quel giorno non mi ero staccato e non ero dovuto rientrare. Ma se quel Giro lo avessi finito, la maglia nera non me l’avrebbe tolta nessuno. Dio solo sa quanti chilometri feci da solo nelle retrovie. Con Scinto avevo un rapporto di amore e odio. Tante volte lo odiavo, perché mi diceva le cose in faccia. Con Luca ho formato il mio carattere…».

Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
In Oman nel 2015 vince la prima tappa e poi combatte con le salite
Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
In Oman nel 2015 vince la prima tappa e poi combatte con le salite

L’Astana e Zanini

Convinti di poterci lavorare, lo presero all’Astana, affidandolo alle cure di Zanini e inaugurando un periodo molto positivo in termini di vittorie. Furono 18 in quattro stagioni: parecchie al Tour de Langkawi, ma anche all’Eneco Tour e al Giro di Danimarca. Finché gli organizzatori disegnavano le tappe di volata pensando alla velocità, Guardini trovata pane per i suoi denti. Quando si iniziò a pensare che 2.500 metri di dislivello fosse il minimo sindacale, per lui e quelli con le sue caratteristiche, l’unico approdo felice rimasero le corse dell’Asia, fra la Malesia e la Cina. Dalla Astana passò per un anno alla UAE Team Emirates senza vincere, di lì alla Bardiani per due anni e 5 successi.

«Ormai il ciclismo è come la Formula Uno – dice – ci sono squadroni con budget enormi, per cui è praticamente impossibile combattere ad armi pari per le professional, figurarsi per le continental. L’altro giorno commentando un vostro articolo su Facebook, ho proposto il budget-cap, il tetto al budget, che hanno imposto proprio in Formula Uno, che forse sarebbe opportuno anche qua. Altrimenti la forbice è destinata ad ampliarsi ulteriormente. Se corri in una continental, non hai uno stipendio che ti permetta di pagarti i ritiri. E se devi fare le cose al 70 per cento, non ne vale più la pena. Non vinci, impossibile. E io adesso mi sento pronto per dire basta».

Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Guardini si lascia alle spalle Daniele Bennati e Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Guardini si lascia alle spalle Daniele Bennati e Tom Boonen

L’anima dilaniata

Questa volta c’è lucidità, l’anno scorso c’era la paura. Ma tutto sommato, con una bimba di due anni e mezzo che ormai capisce tutto, una casa pagata in Valpolicella e con i risparmi giusti per guardarsi intorno senza paura del futuro, in un giorno di fine stagione Andrea si è guardato allo specchio e ha preso la decisione.

«Prima o poi si deve scendere di sella – dice – e imparare un mestiere. Ho smesso con tanta voglia di stare in bici e continuare a farne il mio lavoro. Voglio prendere la tessera da guida cicloturistica. Un pizzico di rammarico c’è, ma non mi sono dilaniato l’anima come l’anno scorso, quando non riuscivo a concepire di non trovare una sistemazione adatta al caso mio. Ora smetto con serenità. Mi hanno chiuso l’Asia, circa il 60 per cento del mio calendario con almeno 30 volate l’anno adatte a me. Qui rimane Cavendish, ma anche lui si era perso e c’è voluta la Deceuninck-Quick Step per ridargli smalto. Stando così le cose, ho perso il mio potere contrattuale, non cercano più il velocista puro, ma uno che sia resistente. Uno come Grosu, che merita di andare avanti perché è più completo di me, anche se probabilmente meno veloce. Non è una decisione presa a cuor leggero…».

Mister Langkawi

L’Oriente gli mancherà, ne parla come di una seconda patria e solo chi è stato a correre laggiù o c’è andato per raccontarne le gare può capire la passione della gente su quelle strade umide e caldissime.

«Ho vinto cinque volte la tappa di Kuala Lumpur al Malesia – dice – come cinque volte Parigi al Tour, facendo le ovvie proporzioni. Smetto con un piccolo record di 24 tappe vite al Tour de Langkawi. La cosa bella di laggiù è che quando passi, vedi intere scolaresche a bordo strada, ti rendi conto della passione di un’intera Nazione. Mi dispiace non esserci più tornato dal 2019, se avessi potuto scegliere una corsa in cui dire addio, avrei scelto quella. Mi sono divertito tantissimo. Quando arrivavo al foglio firma, mi chiamavano “Mister Langkawi”».

Ormai i percorsi sono diventati molto duri e arrivare in volata era improbabile
Ormai i percorsi sono diventati molto duri e arrivare in volata è sempre più difficile

La Roubaix e la galera

Nel raccontare aneddoti, salta fuori quella volta con la Uae in cui si ritirò durante la Roubaix, ma siccome non c’era posto sull’ammiraglia dei massaggiatori, gli fu detto di andare al traguardo in bici. Sfinito com’era e volendosi risparmiare i tratti in pavé, impostò la destinazione sul Garmin e si mise a pedalare. Le auto gli suonavano all’impazzata. Finché arrivò un furgone della Gendarmerie, che lo fermò.

«Va bene eroe dell’Inferno del Nord – gli disse il gendarme – ma lei sta pedalando in autostrada».

Lo caricarono a bordo. Lo portarono al commissariato. Ma Andrea non aveva documenti e neppure il cellulare: era tutto sul pullman a Roubaix. Perché lo rilasciassero, serviva qualcuno che venisse a garantire per lui. Per fortuna ricordò a memoria il numero di sua moglie e riuscì a chiamarla. E lei, contattando su Facebook le mogli di altri corridori della squadra, alla fine trovò il riferimento di un massaggiatore e quello andò a liberare il malcapitato corridore arrestato in autostrada. Cui l’indomani Het Nieuwsblad dedicò un’intera pagina.

Per costruire il futuro, Andrea riparte dalla famiglia e dalla casa in Valpolicella (foto Instagram)
Per costruire il futuro, Andrea riparte dalla famiglia e dalla casa in Valpolicella (foto Instagram)

Sono schegge che il tempo metterà in ordine, perché possa raccontarle a sua figlia e agli amici. Cala il sipario, restano nella memoria i primi articoli a casa sua. La cameretta con le coppe dei primi successi. Sua madre. I suoi occhi buoni che in volata diventavano quelli del peggior felino. E i tanti chilometri in cerca di fortuna, fino a diventare come Marco Polo, l’uomo dell’Oriente. In qualche modo anche “Guardia” ha fatto un pizzico di storia di questo sport. Se un giorno passeremo dalle sue parti in Valpolicella, davanti a un bicchiere di vino, siamo certi che altri aneddoti da raccontare salteranno ugualmente fuori. Per ora, buona fortuna Andrea. E buona strada.

Giuliani ci presenta Grosu: «Un vero duro»

22.02.2021
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Eduard-Michael Grosu è uno di quei corridori alla “carta vetrata”, un vero duro, uno che non molla un metro. Il rumeno quest’anno si è già fatto vedere al Tour de la Provence, quando è stato spesso all’attacco nelle tappe di pioggia e vento. Classe 1992, è una vecchia conoscenza del ciclismo italiano. A scoprirlo è stato Stefano Giuliani, oggi diesse della Giotti Victoria Savini Due. 

Raggiungiamo Giuliani al telefono mentre è in Turchia con i suoi ragazzi. Stanno facendo delle gare, andando a caccia delle volate.

«Abbiamo il treno più forte, ma non riusciamo a concretizzare (Guardini aveva fatto quarto, ndr). Siamo in quattro e se facessero la volata da soli arriverebbero tutti tra i primi cinque. E allora mi chiedo, e gli chiedo: possibile che non si riesca a fare un treno da veri professionisti? Gli ho dato una strigliata l’altro giorno… però poi la sera gli ho portato una birra. Il ciclismo, il mio almeno, deve essere anche divertimento. Il gruppo deve essere una famiglia».

Grosu con Giuliani in ammiraglia
Grosu con Giuliani in ammiraglia

Orso e cicloamatore

Con Giuliani, si passa a parlare di Grosu. Il tecnico racconta. E ascoltarlo è un piacere.

«Lo conobbi – racconta Giuliani – in una corsa di otto o nove anni fa (in realtà era il 2013, ndr). Non chiedetemi quale anno di preciso perché per me con le gare sono tutti uguali! Stavamo sistemando le bici, i materiali in questa pensioncina al Giro di Romania, quando da dietro mi sento chiamare: “buonasera signor Giuliani”, in un buon italiano. Mi volto e vedo questo ragazzo che sembrava un cicloamatore. Avete presente un orso? Gamboni grossi così, muscoli lunghi, bacino largo, barba scura. E anche qualche chilo di troppo a dire il vero. Io indaffarato com’ero non gli diedi troppa attenzione. Però mi fece subito una buona impressione. In quel giro vinse una tappa e si piazzò in altre. Lo tenni d’occhio».

Grosu conquista la quinta tappa al Giro di Croazia 2019
Grosu conquista la quinta tappa al Giro di Croazia 2019

Una grappa per guarire

Giuliani è fatto così: è diretto e le persone le sa leggere. Atteggiamenti, linguaggi del corpo, sguardi: Giuliani li capisce così i suoi atleti. E spesso ci azzecca.

«Il giorno di quell’incontro – dice il tecnico abruzzese – eravamo tra gli U23. L’anno dopo facemmo la continental con la Nippo Fantini e mi battei per prenderlo. Grosu si mostrò subito ambizioso e anche in gruppo era un “avvocato”, anche perché spesso doveva sfidare i pregiudizi degli altri atleti. In generale non ci stava a perdere.

«Una volta al Tour of Hainan cadde, ma cadde di brutto perché lui non si tira mai indietro quando c’è da lottare. A fine tappa gli mancavano i pezzi di carne. Io ero convinto che non sarebbe ripartito il giorno dopo. Stavo per cercargli un antidolorifico, quando mi fa: puoi trovarmi della grappa? E dove la trovo io la grappa in Cina? Fatto sta che alla fine la rimedio e gliela dò. Ne bevve qualche sorso come anestetico e poi se la buttò sulle ferite. Il giorno dopo ripartì e fece sesto. Capii che avevo di fronte un animale, nel senso buono del termine».

Giuliani poi racconta dell’amicizia e della rivalità con Grega Bole, dello smacco di aver perso la tappa al Giro d’Italia 2016 quando gli mancavano solo 400 metri dal traguardo. Della lotta per finire quel Giro nelle ultime frazioni, cosa che avvenne anche grazie all’aiuto di Stacchiotti… Insomma la storia di un “bello ma dannato”.

Con il tempo Grosu in Italia diventava sempre più corridore, grazie anche a Giuliani stesso. Si fece vedere e quando arrivarono i procuratori lo stesso Stefano lo segnalò ad Alex e Johnny Carera. Che poi lo fecero approdare alla Delko quando la Nippo Fantini chiuse i battenti.

Eduard Grosu vince il Turul Romaniei 2020
Eduard Grosu vince il Turul Romaniei 2020

Grosu da Roubaix

Grosu è un corridore completo secondo Giuliani. Di certo non è uno scalatore aggiungiamo noi.

«Ma se sta in giornata fai fatica a staccarlo anche in salita. Va molto forte con il freddo. Non si lascia intimorire dalle condizioni avverse come pioggia e vento, anzi… Non va male a crono (ha vinto due titoli nazionali, ndr). Io lo vedo come un corridore da Roubaix senza contare che è anche velocissimo.

«Per me – dice Giuliani – Grosu deve ancora scoprire realmente tutto il suo potenziale. Sono convinto che ne sentiremo parlare però deve anche smussare il carattere. Eduard è un po’ impulsivo, mentre di testa è un vincente e un leader. Se un giorno vorrà approdare in qualche WorldTour dovrà rivedere questo aspetto. Anche il fatto della barba, degli orecchini… sono cose che in qualche modo contano in quel mondo. E anzi che è migliorato sotto l’aspetto alimentare. E’ dimagrito e infatti va meglio. Credo che questa sua maturazione sia dovuta anche dal fatto che si sia sposato ed abbia avuto una bambina. Tra i tanti corridori che ho avuto lui lo sento mio. Anche se, devo ammetterlo, negli ultimi periodi non ci siamo più sentiti molto.

«Accadde un fatto in una corsa nella sua Romania, quando era già alla Delko. Anche in virtù della nostra tattica lui perse molti minuti e uscì di classifica. A fine gara mi disse che lo avevamo fatto perdere noi. In realtà noi facemmo solo la nostra corsa».

Per la cronaca, quella stessa competizione, il Turul Romaniei, Eduard Grosu la vinse l’anno dopo, nel 2020. Si portò a casa due tappe e la generale. Capito che caratterino?

La sfida di Giuliani: corridori alla riscossa

08.01.2021
4 min
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Stefano Giuliani è certamente un personaggio del ciclismo italiano. Ex corridore, direttore sportivo ed ora manager. Istrionico, simpatico, deciso, ma soprattutto competente. Lui il ciclismo lo mastica per davvero. Spesso è stato criticato per i suoi metodi “alternativi” o per avuto troppo feeling con i ragazzi. Ma chi lo conosce lo sa: Giuliani (foto in apertura) è così: pane al pane, vino al vino. 

L’abruzzese si è rimesso in gioco con la Giotti Victoria Savini Due, una Continental costruita con criteri quantomeno alternativi: non è la squadra dei giovani dilettanti e neanche quella dei “vecchi”, ma come dice Giuliani stesso: «E’ la squadra di chi ha ancora fame e voglia di riscattarsi».

Emil Dima è stato tra i più attivi. Ha preso parte anche agli europei
Emil Dima è stato tra i più attivi. Ha preso parte anche agli europei

Una vita nel ciclismo

Da corridore Giuliani era un attaccante nato. Ci provava sempre. «Mi emozionavo ad emozionare – racconta con passione – non esisteva una corsa non adatta a me e forse per questo avrei potuto vincere di più. Mi sono rimesso in discussione con la Mtb e con il ciclocross. E quando stavo per smettere mi richiamò persino Tony Rominger, ma io ormai ero felice così e non ritornai».

Questo carattere mai domo Giuliani lo vuol passare ai suoi corridori. Negli anni ne ha tirati e ritirati su in tanti: Ivan Quaranta, Ongarato, Nocentini e più recentemente Stacchiotti, Filosi. Gli ultimi della lista sono Guardini e Simion.

«Ma è successo anche con Grosu o Bole. Grosu non lo volevano, ma lui è un leader, un corridore vero. Bole è ritornato addirittura nel WorldTour. Io cerco di capire chi ha ancora voglia, chi ha fame, e soprattutto carattere. Cerco di conoscere i ragazzi prima di prenderli. E li responsabilizzo. Vuoi la pizza? Okay, basta che poi vai forte. Se ti serve per la testa è giusto che la mangi, che problema c’è?».

Guardini ha vinto due tappe all’ultimo Turul Romaniel
Guardini ha vinto due tappe all’ultimo Turul Romaniel

Ultimo stadio? Anche no

Giuliani è parte attiva poi del Trofeo Matteotti, è motore dell’organizzazione. In tal senso è un vulcano. Il primo bike park in Italia fu lui a crearlo e le idee non gli sono mai mancate. E la sfida con la Giotti è solo l’ultima in ordine cronologico delle tante della sua vita.

«Non nego – riprende Giuliani – che si faccia molta fatica ad andare avanti. I budget sono ridotti e ai miei ragazzi ho parlato chiaro. Sanno bene cosa posso e non posso dare loro. Non vado a prendere i giovani o i dilettanti, altrimenti mi faccio ridere dietro. Se è bravo me lo portano via in un attimo e farei poi fatica ad andare avanti. E se non va, mi dicono che è… un bravo ragazzo. Ma neanche voglio corridori all’ultimo stadio, come si pensa. Se così fosse avrei una squadra numerosa. Non immaginate quanti corridori, anche di livello, mi abbiano cercato».

Non c’è l’ufficialità ma il Laigueglia, Larciano e la Coppi e Bartali dovrebbero farle e chiaramente saranno presenti al Matteotti.

«Abbiamo un settore medico che ci segue per quel riguarda il passaporto biologico, così da poter prendere parte alle Pro-Series (le corse in cui partecipano anche le Professional, ndr) e per questo abbiamo fatto richiesta all’Uci.

Un giovane Simion impegnato in pista
Un giovane Simion impegnato in pista

Guardini e Simion: le punte

La Giotti Victoria-Savini Due conta otto corridori, le cui stelle sono Andrea Guardini e Paolo Simion, c’è anche un altro italiano: Adriano Brogi. 

«Guardini e Simion stanno riflettendo anche sugli errori fatti in passato. Guardini è fin troppo professionale. Lui è quello che quando siamo fuori dice: dobbiamo andare a dormire che è tardi! Con lui già in passato c’era stato feeling. Vinse con me le sua prima corsa da pro’, tra l’altro la prima in assoluto. Raccolse molte vittorie in Asia. Cercava una professional. Io gli ho detto: guardati anche intorno. Ma in tutto l’anno scorso ha fatto sei volate ed è un peccato perché Andrea ha parecchio bisogno di correre per entrare in condizione.

«Simion, invece, me lo ha proposto proprio Guardini. E a me questo ragazzo è piaciuto subito. L’anno scorso si è buttato nella sfida della squadra cinese, non si è arreso, ha fatto quel viaggio sull’Everest: mi piacciono questi caratteri talentuosi che amano rimettersi in gioco. Vorrei avere più tempo per conoscerlo. E poi mi piace il fatto della pista. Condivido la multidisciplinarietà. Proprio ieri mi ha scritto che aveva ricevuto ulteriori convocazioni e che per questo non sarebbe potuto essere con noi. Gli ho risposto che era una cosa bellissima».

Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012

Guardini, Chiappa, parole chiare e un’idea su Parigi

03.01.2021
6 min
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«Se domani mi dicessero che c’è la possibilità di qualificarsi nella velocità per le Olimpiadi di Parigi – dice Guardini – ci proverei subito e mi viene già la pelle d’oca. Avrei 35 anni, non c’è competizione più importante e per la pista ho sempre un vero amore. Ho letto l’intervista a Roberto Chiappa, sono anni che penso questa cosa…».

Prima domenica del 2021, Guardini è a casa. La chiamata dopo aver parlato con Chiappa è nata spontanea. A proposito dei velocisti passati su strada, l’umbro è stato chiaro.

«Oggi per fare le volate – ha detto – devi andare bene in salita e se vieni dalla pista, resti sempre un velocista. Viviani fa le volate, ma non viene dal settore veloce. Guardini era un Chiappa, ma ha vissuto gli anni in cui si investiva poco. Con il suo oro europeo nel keirin, avrebbe potuto continuare e fare le Olimpiadi».

Andrea Guardini
Andrea Guardini, classe 1989, è passato professionista nel 2011 con la Farnese Vini
Andrea Guardini
Andrea Guardini, classe 1989, pro’ dal 2011

Un siluro allo sprint

Torna alla memoria lo sguardo inferocito di Cavendish a Vedelago nel 2012 (foto di apertura), battuto in volata dal giovane velocissimo, ma probabilmente troppo vicino all’ammiraglia di Scinto sull’unica salita. Tornano alla memoria le battute sarcastiche di alcuni direttori sportivi sul fatto che il veronese non si allenasse abbastanza e ne fosse riprova il fatto che in salita si staccava sempre. E’ un po’ come se si prendesse Usain Bolt e lo si accusasse di essere poco professionale perché dopo una maratona piena di salite, nei 100 metri non è il più veloce o magari in pista nemmeno ci arriva. Guarda caso, la situazione è andata peggiorando mano a mano che i percorsi venivano induriti e la tappa con arrivo in volata ha perso le connotazioni veloci di un tempo.

La colpa è dei corridori…

Sempre del corridore, che non fa la vita. Non del fatto che ti danno una bici con cui perdi 10 secondi a chilometro, oppure che una volta le tappe per i velocisti avevano al massimo 1.500 metri di dislivello, mentre adesso non sono mai sotto i 2.000. Nel 2011 facevo molte più volate di adesso.

E’ vero che qualche settimana fa avevi pensato di smettere?

Non lo nascondo. Ho finito il 2020 vincendo e speravo di trovare una squadra di livello superiore. Anche Giuliani mi diceva di guardarmi intorno. E proprio quando avevo gettato la spugna, ho fatto un esame di coscienza e mi sono detto che se devo smettere io, altri dovrebbero farlo prima. Non per puntare il dito, ma per darmi una scossa. E allora ho ripreso, perché credo di poter dare ancora molto. Mi concedo un’altra possibilità, sperando in una stagione normale. Anche se normale probabilmente non sarà. Dovevamo andare a fare un bel blocco di lavoro in Turchia, ma il Tour of Antalya è saltato.

Dicevi di aver letto l’intervista di Chiappa.

Sono tanti anni che penso a queste cose. Vinsi l’europeo del derny alla prima partecipazione e feci 5° nel mondiale della velocità. Ero già al secondo anno da junior, non avevo esperienza. Forse facendo pista a quel livello dall’anno precedente, avrei potuto vincere anche il mondiale. Poi da under 23 mi portarono a fare una sola prova di Coppa del mondo e a quel punto, avendo già il contratto con la Farnese Vini, parlai con Marco Villa. E gli dissi che se non c’erano un progetto e un calendario, forse era meglio concentrarsi sulla strada.

Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
La salita non è nel suo dna. Al Tour of Oman 2015, ha vinto la 1ª tappa, nella 2ª paga pegno
Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
Tour of Oman 2015: vince la 1ª tappa e poi si stacca nella 2ª
Hai ricevuto una controproposta, come dice Chiappa, di borsa di studio e posto in un gruppo sportivo militare?

A parole qualcosa arrivò, niente di concreto. Come tecnico delle specialità veloci c’era Federico Paris, ma a fine anno uscì anche lui e il settore si sciolse. A differenza di Viviani e Nizzolo, io vengo da una specialità che non va tanto d’accordo con la strada. Siamo cresciuti insieme e nelle gare veloci li ho sempre battuti, perché i percorsi erano meno duri. Il mio fisico è fatto così. Fibre bianche per sprint ad altissima velocità, ma le corse ora sono sempre più impegnative e quelli come me fanno una gran fatica ad arrivare in volata.

Chiappa ha parlato anche di Mareczko…

E’ quello in cui più mi rivedo. E guardate che correre alla CCC e fare piazzamenti al Tour Down Under non è stato banale, perché si va forte e le tappe non sono piatte. Con certe caratteristiche muscolari, correre su strada è quasi snaturarsi. Per contro, nel 2014 partecipai al mio ultimo campionato italiano della velocità. E senza allenamenti specifici, feci secondo dietro Ceci. La predisposizione resta.

C’è rammarico per la scelta di aver lasciato la pista?

Adesso posso dire di sì, ma a suo tempo feci le mie scelte in base alle proposte ricevute e il settore velocità non c’era, come non c’è oggi. Chiappa ha ragione. Se non li trovi da piccoli, non li hai da grandi, ma oggi è tutto così esasperato che tanti smettono senza aver valorizzato le loro doti naturali. E’ un cane che si morde la coda. Se non investi, i risultati non arrivano. A meno che non trovi un Viviani…

Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Nello stesso anno, all’Abu Dhabi Tour 2015, batte Bennati e Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
All’Abu Dhabi Tour 2015, batte Bennati e Boonen
Prego?

La pista italiana deve tanto a Elia, perché è stato lui che ha continuato a crederci avendo attorno il vuoto. Poi piano piano si è messo in moto un meccanismo, si sono fatti investimenti e ora i risultati li vedono tutti. Io potrei anche pensare di rimettermi in gioco, pur notando che il mondo è cambiato. Io facevo le volate con il 49×14 e il 51×14 nel keirin. Oggi è tutto più veloce e tanto incide il fatto che si gareggi sempre in pista chiusa.

Simion, tuo compagno alla Giotti Victoria, è tornato nel giro dell’inseguimento.

Con Paolo ho parlato tanto e non è ammissibile che un corridore come lui non sia stato confermato. Per carità, ognuno fa le sue scelte, ma qui parliamo di uno dei migliori nel lanciare le volate. Ripartiamo insieme. Voglio scommettere su me stesso, sapendo che sono ancora integro e che negli ultimi anni ho corso davvero poco: 24 giorni nel 2020, 56 nel 2019, 59 nel 2018…

Un anno per riscattarsi?

Ho anch’io il mutuo da pagare. Il lockdown mi ha permesso di veder crescere mia figlia e questo è stato molto positivo. D’altro lato però mordo il freno, vediamo che cosa riuscirò a fare. Mi farebbe un gran comodo che si tornasse a correre in Oriente. Là le tappe per velocisti sono tappe per velocisti. E poi c’è quest’idea di Parigi, che tutto sommato…