Summer Victory Collection, le Nimbl dei campioni (per tutti)

23.08.2025
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La stagione non è ancora finita (proprio oggi inizia la Vuelta), ma per qualcuno è già tempo di bilanci. Per Nimbl, ad esempio, il 2025 è già stato un anno da incorniciare con la vittoria di Yates e la maglia azzurra di Fortunato al Giro d’Italia, e la storica vittoria al Tour de France femminile di Ferrand-Prevot. L’azienda italiana ha deciso di omaggiare queste imprese con un’edizione limitata del suo modello di punta Ultimate Pro Edition, la Summer Victory Collection.

La scritta Nimbl in rosa celebra la vittoria di Simon Yates al Giro 2025
La scritta Nimbl in rosa celebra la vittoria di Simon Yates al Giro 2025

Rosa, Giallo e Blu, le tinte dei campioni

La particolarità della Summer Victory Collection è la colorazione della tomaia, che rende unica questa versione delle Ultimate Pro. I più attenti le hanno già viste ai piedi di Lorenzo Fortunato nell’ultima tappa del Giro d’Italia, nella livrea blu che omaggiava la maglia azzurra di miglior scalatore indossata dal corridore italiano. Ora Nimbl ha fatto lo stesso per celebrare due fra le maglie più importanti del ciclismo mondiale.

Quella rosa vinta da Simon Yates e quella gialla indossata da Pauline Ferrand-Prevot sul podio di Châtel ad inizio agosto. L’estetica è molto curata e minimal, come nello stile di Nimbl. La base rimane bianca, ma impreziosita da una colorazione (rosa, gialla o blu) che parte dal tacco e poi sfuma a metà della linguetta. La livrea celebrativa è completata dalla scritta Nimbl con la stessa colorazione sul lato esterno della scritta.

La suola in monoscocca di carbonio sottilissima è uno dei segreti di questo modello, amatissimo dai professionisti
La suola in monoscocca di carbonio sottilissima è uno dei segreti di questo modello, amatissimo dai professionisti

Ultimate Pro Edition, la scarpa dei pro’

Il modello scelto per la Summer Victory Collection non poteva che essere il più performante, curato e leggero di Nimbl, la Ultimate Pro Edition. Si tratta di scarpe senza compromessi, realizzate a mano con la massima artigianalità. Sono leggerissime grazie alla suola in monoscocca in carbonio molto sottile (meno di 2 mm). La chiusura è affidata a due rotori Boa, con le guide in cotone che hanno sostituito quelle in plastica del precedente modello, rendendo così le scarpe ancora più comode. 

La tomaia è in microfibra e, assieme alla linguetta con un nuovo design, è studiata per garantire il massimo dell’areazione anche nelle giornate più calde (come quelle trovate da Ferrand-Prevot  al Tour). La suola è disponibile in due versioni, a 3 o a 4 fori, per adattarsi a tutti i tipi di tacchette presenti sul mercato. In due parole, le Ultimate Pro Edition sono le scarpe preferite dei professionisti.

Le Ultimate Pro in livrea giallo-oro sono dedicate alla storica maglia gialla di Pauline Ferrand-Prevot
Le Ultimate Pro in livrea giallo-oro sono dedicate alla storica maglia gialla di Pauline Ferrand-Prevot

Peso, disponibilità e prezzo

Il peso delle Ultimate Pro Edition è impressionante: solo 192 grammi nella taglia 43. I tre modelli, Rosa, Azzurro e Giallo, della Summer Victory Collection saranno disponibili nel sito dell’azienda a partire dal 1° settembre 2025, e il prezzo consigliato è di 599 euro.

E chissà che entro fine settembre, al termine della Vuelta, non venga aggiunto alla capsule collection anche il modello Rosso. Le Ultimate Pro Edition, infatti, sono anche le scarpe di Vingegaard, il grande favorito della corsa a tappe spagnola.

Nimbl

Yates come Simoni: storie del Tour 2003, guardando Jonas e Tadej

20.07.2025
7 min
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Una somma di cose alla fine ci ha portato a rispolverare una storia del 2003, quando Gilberto Simoni vinse il Giro d’Italia e poi si presentò baldanzoso al Tour de France, vincendo una tappa. Quando qualche giorno fa Simon Yates ha vinto a Le Mont Dore, subito la mente è andata al trentino. Non sono tanti quelli (tolto Pogacar e pochi altri) che hanno vinto il Giro e poi anche una tappa al Tour. Loro due per giunta hanno quel modo simile di andare in salita. Rapportone, bassa cadenza e ritmo che li stronca. E quando ci siamo accorti che la cronoscalata di venerdì è partita da Loudenvielle, abbiamo pensato che non potesse essere solo una coincidenza: proprio lì infatti Gilberto conquistò l’unica tappa al Tour della sua carriera.

In breve. Già vittorioso al Giro del 2001 quando correva con la Lampre, nel 2003 Simoni corre in maglia Saeco e si gioca il Giro con Garzelli e Popovych. Nel gruppo c’è anche l’ultimo Pantani. Gilberto è arrivato al Giro dopo aver vinto il Trentino e il Giro dell’Appennino. Arriva secondo sul Terminillo, battuto da Garzelli. Prende la maglia rosa a Faenza, dove si piazza terzo. Poi vince sullo Zoncolan e all’Alpe di Pampeago. E dopo il secondo posto di Chianale, vince ancora a Cascata del Toce, nella tappa degli ultimi scatti di Pantani. Esce dal Giro il primo giugno in grandissima condizione. Il Tour quell’anno parte il 5 luglio con un prologo a Parigi. Propone una crono di 47 chilometri il dodicesimo giorno a Cap Decouverte e l’indomani affronta i Pirenei.

Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Andasti al Tour, ma al centro dei pensieri c’era il Giro?

Sì, io ho sempre avuto in testa il Giro. Insomma, non c’era tanto spazio per andare al Tour con le programmazioni di allora. Era difficile prepararsi per due appuntamenti. Però devo dire che negli anni in cui sono andato, mi sono anche impegnato. E quell’anno, dopo aver fatto il Giro d’Italia, ero convinto di fare bene e mi ero preparato a puntino.

Ma non tutto andò come speravi, giusto?

Nella prima settimana stavo veramente benissimo, poi sono andato fuori giri nella crono. Il giorno dopo ci fu una tappaccia, veramente intensa e dura. E da lì in poi non sono più riuscito a recuperare. Ho fatto un fuori giri che non ci voleva, altrimenti non avrei vinto perché non me lo sognavo neanche, però credo che sarei riuscito a entrare nei primi cinque.

Ricordi cosa facesti in quel mese fra Giro e Tour?

Non corsi, ma andai con Miozzo (il suo tecnico, ndr) ad allenarmi sull’altopiano di Asiago. Anche allora si andava in altura, ma non era la mia preparazione preferita. Salimmo ad Asiago perché stavo veramente bene e se non avessi sbagliato quella crono, sarebbe finita diversamente. Le tappe contro il tempo in quel periodo erano lunghe e determinanti. Diedi anche l’anima per non prendere un minuto in più e invece la pagai cara.

Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Eri uscito bene dal Giro?

Quando vinci non ti sembra neanche di aver fatto fatica. Ero tranquillo, per quello non andai a cercare l’altura. Cercai solo il fresco, dovevo recuperare. Mi ricordo che le prime tappe furono veramente nervose. Mi è successo di tutto. Sono caduto a 70 all’ora in volata, ma non mi son fatto niente. La prima settimana al Tour de France è sempre un disastro, più emotivamente che fisicamente. Insomma, quello che ha finito col pagare Remco. Serve una squadra forte perché in corsa si creano delle gerarchie e per stare davanti bisogna lavorare di spalle, gridare e tener duro.

Ti sembra che il modo di correre sia cambiato?

Ricordo che Indurain lasciava fare. Quando andava via la fuga, non si interessava troppo, mentre adesso è difficile vedere una situazione del genere. Tutte le squadre sono in corsa per cercare un risultato, quindi devono far vedere che sono lì per lavorare e non per fare vacanza. Mi ricordo che per una settimana era sempre così: un’ora a 50 di media, si formavano gruppi da tutte le parti e poi li trovavi fermi in mezzo alla strada e si andava verso la volata, ma spesso qualcuno arrivava. Non mi spiego come qualche giorno fa ci fosse una fuga di 50 corridori e non siano arrivati.

Che cosa ti ricordi di quella vittoria a Loudenville? 

Per la delusione che avevo addosso, è stata una roba enorme. Ero deluso perché a Parigi avevo fatto veramente un prologo eccezionale, arrivai ventunesimo. Si girava intorno alla Tour Eiffel: arrivai e mi sentii orgoglioso di me, veramente all’altezza della sfida. Persi 13 secondi, sentii di essere nel vivo della corsa. Invece andammo sulle Alpi e provai una delusione dopo l’altra. Riconoscevo anche persone venute per me dall’Italia, ma non c’era modo di rialzarsi. Saltai il giorno dopo Morzine. Nella tappa dell’Alpe d’Huez cercai di tener duro.

Che cosa successe?

Feci la salita dietro al gruppo, a 20 metri. Rientrai in discesa e pensai che forse la bambola mi fosse passata, invece ancora prima che iniziasse l’ultima salita, ero già saltato. Ero confuso e quindi decisi di riposarmi e disinteressarmi della gara. Nel giorno di riposo finii su L’Equipe, perché mi fotografarono al mare con Bertagnolli a prendere il sole. E piano piano iniziai a crescere. Bertagnolli invece si ritirò e Martinelli venne a dirmi che se non me la fossi sentita di continuare, sarei potuto ritornare a casa. Invece gli risposi che ero arrivato alle tappe che volevo e sarei rimasto. Non volevo rinunciare all’occasione di provarci. E infatti il giorno dopo andai in fuga.

Come andò?

Ho avuto solo un pensiero, uno solo, non ne avevo altri: volevo vincere. Non mi lasciai influenzare dal tempo, dall’acqua, né dal caldo, né dalle salite. Volevo solo vincere e alla fine ci riuscii in volata, cosa che per me non era scontata. Era una tappa dura, con sei salite tutte combattute. Mi ritrovai con corridori veloci come Dufaux e Virenque. Sapevo di non essere il più veloce, ma presto anche loro si accorsero che ero io l’uomo da battere e provarono a farmi fuori. Andai all’ammiraglia e mi attaccarono. Però sono stato freddo, sono rientrato e poi ho iniziato a guidare le danze. La volata sarebbe stata una roulette russa, ma con un po’ di fortuna, riuscii a vincere la tappa.

Hai visto il Tour di Armstrong, ora c’è Pogacar: con quale spirito si va alle corse se i rivali sono tanto più forti?

Devi affrontare la realtà. Non mi sono mai illuso, però ho sempre messo in conto di dire: vediamo dove arrivo. Non sono mai partito battuto, insomma. La consapevolezza di non poterli battere arriva strada facendo, perché almeno all’inizio devi partire sapendo che puoi giocartela, no? Non sono mai partito per partecipare, io ero fatto così. Detto questo, si vede che Vingegaard corre su Pogacar, che non gliene frega niente di nessun altro. Ho visto tanti corridore fare così, potrei farvi una lista infinita. Quelli che battezzano un rivale perché sanno che va forte e aspettano che salti per rubargli il posto. Io non sono mai stato così, non ho mai fatto la corsa per aspettare che mi arrivasse qualcosa dal cielo. Insomma non era nel mio carattere.

Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Cosa ti pare di Pogacar?

Non aspetta, non è attendista. A volte sembra che non segua alcuna indicazione. Credo che a volte voglia fare le cose in grande e poi si penta per aver fatto qualcosa di troppo. Secondo me, visto il risultato, a Hautacam ha pensato che gli sarebbe bastato attaccare negli ultimi tre chilometri, anziché dai piedi della salita.

Ha il gusto di stupire?

Attacca spesso da lontano, anche se basterebbe meno. Mi piace l’imprevedibilità, come Van der Poel. Quando puntano una tappa, diventano imprevedibili, ma sono tenaci e ne fanno di tutti i colori. Insomma, la scommessa più grande è capire se vinceranno oppure no. Per il resto diciamo che Tadej è abbastanza infallibile, l’altro gli gira attorno da un po’. Ha già vinto per due volte il Tour, ma continuerà a correre allo stesso modo.

Tappa a Yates, Healy in giallo. E i big? Ce lo spiega Ellena

14.07.2025
7 min
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Sul Massiccio Centrale tanto tuonò che non piovve? Sembra proprio di sì… La decima tappa del Tour de France nel giorno più importante per i “cugini”, quello della presa della Bastiglia, ha visto i big stuzzicarsi appena e la fuga andare via. Una di quelle 4-5 fughe che aveva pronosticato Aurelien Paret-Peintre, che infatti era nel gruppo giusto. Tappa a Simon Yates e maglia gialla a Ben Healy.

Come ha detto Stefano Rizzato in diretta Rai, una tappa che ha visto mischiare il rosa e il giallo: a vincere sul Massiccio Centrale è stato il re dell’ultima maglia rosa (appunto Yates) e un altro corridore in rosa si è preso la maglia gialla.

Ma al netto dei colori, che cosa ci ha detto questa frazione? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa, in questi giorni in ritiro a Bormio con la sua squadra per preparare i tanti appuntamenti di agosto, tra Spagna e Nord Europa.

Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Forse, Giovanni, ci si poteva attendere qualcosa di più da questa tappa?

Il dislivello era tanto, perché comunque 4.500 metri non sono pochi, però alla fine erano tutte salite abbastanza pedalabili. Se mandi due uomini in fuga nella tappa del Sestriere, dove poi c’è da fare tutta la valle e li tieni a 4-5 minuti è un conto. Ma in una tappa del genere lasciarli a quella distanza… a cosa serviva? E soprattutto, dove attacchi? Serve anche il terreno adatto e questa non era la tappa giusta.

Chiaro…

Va bene il 14 luglio, se vogliamo parlare della festa nazionale, ma non era una tappa in cui potevi fare grandi differenze attaccando da lontano. Se attacchi su una salita con pendenze elevate, può funzionare, ma qui era davvero difficile. E poi non è che stai attaccando “Giovanni”, stai attaccando un certo Pogacar.

La sensazione è che l’azione della Visma-Lease a Bike a un certo punto sia passata da “prepariamo l’attacco per Vingegaard” a “vinciamo la tappa”. In fin dei conti alla UAE Emirates che interesse aveva a tenere la maglia?

E infatti si è visto nel finale. Pogacar non ha nemmeno fatto la volata.

Aver perso la maglia gialla a questo punto del Tour lo aiuta ancora?

Un po’ sì. Intanto domani si riposa con qualche riflettore in meno. Non dico che sia stata una scelta voluta, è difficile fare certe valutazioni con i meccanismi attuali, ma sicuramente gli fa bene. Stressa meno la squadra. Anche mercoledì la responsabilità di tenere il gruppo, anche solo nei tratti in pianura, passerà sicuramente a un altro team, la EF Education-EasyPost, per quella legge non scritta che vuole davanti la squadra del leader. Magari si alterneranno con quella di qualche velocista. Tutto questo ti aiuta a salvare qualcosa in termini di energie. In più non scordiamo che ha già perso Almeida.

Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
E Sivakov oggi non era affatto messo bene sin dall’inizio…

Quindi comincia a risparmiare e fa bene. Anche se potrebbe vincere il Tour “da solo”, sa bene che la squadra è importante e che lavorare un filo in meno è utile. E poi ci sono i dettagli: le interviste, il tornare prima in hotel, tutti gli altri protocolli… Sono aspetti che oggi fanno la differenza.

E invece, Giovanni, come ti spieghi quegli attacchi ai 20-25 chilometri della Visma-Lease a Bike?

Probabilmente per cercare di far lavorare la squadra di Pogacar, risparmiando al massimo Vingegaard. Magari hanno deciso di puntare tutto sulle salite vere con Vingegaard, che non si è mai mosso davvero, a parte qualche scattino. Azioni volte a innervosire Pogacar, anche se mi sembra l’ultimo che si innervosisce! E’ difficile combattere con un personaggio del genere. C’è una cosa che mi ha colpito qualche giorno fa.

Quale?

Per radio voleva sapere come fosse andata la gara della sua compagna, Urska Zigart, al Giro Women. Non solo: ha chiesto anche della classifica. Vuol dire che sei disconnesso nel senso buono, che scarichi la tensione. E’ importantissimo nelle corse a tappe. Ti stacchi mentalmente. Sì, stai pedalando, ma non hai lo stress addosso. Ti alleggerisce psicologicamente. Oltre alla condizione fisica – che è incredibile – ha anche questa capacità. Penso alla borraccia al bambino l’anno scorso sul Grappa. Riesce a non essere sempre focalizzato al cento per cento.

Si diceva che con quegli attacchi volessero isolarlo, per evitare che con i suoi uomini potesse imboccare forte la salita. Pertanto gli attacchi dei Visma erano quasi più per difendersi: come la vedi?

Non lo so. Per me ha più senso il discorso del provare a innervosirlo, isolarlo, far stancare la sua squadra che non è al top. La Visma ha vinto la tappa, gli è andata bene, però poi quando in ammiraglia vedi che ti muovi, fai, prendi iniziativa e il tuo rivale a due chilometri ti piazza uno scatto del genere, come a dire “Il più forte sono io”, non è facile. Stasera Vingegaard in camera penserà: «Questo mi scatta in faccia e poi mi aspetta anche».

Forse anche perché voleva perdere la maglia gialla…

Sì, si per quello. Si è messo a ruota di Lenny Martinez che era reduce della fuga. E anche qui non è stata un’azione banale. Perché è vero che si chiama Pogacar ed è il più forte in assoluto in questo momento, ma è anche vero che più amici hai nel gruppo, meglio è. E da oggi avrà qualche amico in più nella EF e anche nella Alpecin-Deceuninck. Ieri a un certo punto era lui a rompere i cambi per favorire Van der Poel. Pogacar si sa gestire su tutto. E torno alla sua capacità di disconnettersi: lo rende più lucido.

Ma secondo te, Giovanni, è davvero il più forte o Vingegaard sta covando il colpaccio come due anni fa, quando alla prima vera salita cambiò tutto?

Potrebbe anche essere. Sin qui, anche per caratteristiche fisiche diverse, non è stato brillante come Tadej, ma non lo vedo affatto male. Se la sua condizione è davvero buona, sulle salite lunghe potrebbe anche fare la differenza. E non sarebbe la prima volta…

Remco, lo vedremo correre solo di rimessa, al netto del piccolo allungo di oggi?

Sì, deve correre di rimessa e sperare di non essere troppo sotto agli altri due. Poi magari mi sbaglierò, ma in questo momento la vedo così.

Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar
Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar

Parola ai protagonisti

Quanto detto da Ellena trova riscontro nelle parole di Simon Yates: «E’ stata una vittoria di esperienza. E’ stato difficile entrare in fuga. C’erano molti corridori forti. Ho volutamente preso il comando nelle ultime curve, alla fine della discesa, prima dell’inizio della salita, perché volevo partire bene e prendere slancio. Lì ho dato il massimo.
«Siamo tutti concentrati su Jonas – ha aggiunto Yates – e sulla classifica generale. E anche oggi era così. Il piano era di essere in fuga nel caso fosse successo qualcosa dietro, ma a un certo punto il distacco era troppo grande, quindi mi sono potuto giocare la tappa».

Un plauso va poi a Ben Healy. Tante volte ha corso peggio di un allievo al debutto, ma in questo Tour de France sta mostrando davvero la sua classe e anche il suo coraggio. A un certo punto ha corso esclusivamente per la maglia e ha centrato di nuovo l’obiettivo, non curandosi di Yates.

«Sono ancora un po’ apatico perché sono così stanco – ha detto Healy – Non ci posso credere. Se qualcuno mi avesse detto che dopo dieci giorni avrei indossato la maglia gialla, non ci avrei creduto. A un certo punto, quando il vantaggio è aumentato, ho semplicemente abbassato la testa e sono partito pensando solo alla maglia gialla. Ho iniziato a spingere e basta. Non ho potuto rispondere a Yates nel finale. Devo ringraziare i miei compagni (in fuga ne aveva tre: Neilson Powless, Alex Baudin e Harry Sweeny, ndr). Se non ci fossero stati loro, ora non avrei la maglia gialla. Harry è andato come un camion e Alex ha concluso alla perfezione».

Chi accompagna la maglia rosa all’aeroporto? Una storia del Giro

08.06.2025
4 min
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Non capita spesso, anzi non capita quasi mai. Per questo quando a Valerio Bianco e Jean Francois Quenet, due ragazzi dell’ufficio stampa del Giro d’Italia, è arrivata la singolare richiesta, non ci hanno pensato e hanno subito accettato. Erano a Sestriere, alle prese con l’ultimo comunicato di tappa. Il Giro d’Italia, dato ormai per consegnato fra le giovani mani di Del Toro, era stato appena ribaltato dall’attacco di Simon Yates. Sul colle torinese si stava abbattendo un temporale estivo molto violento, quando Luca Papini, event manager del Giro, si è reso conto che i pullman per l’aeroporto di Torino dovevano partire e la nuova maglia rosa non avrebbe fatto in tempo a salirci.

Missione compiuta: a distanza di 7 anni, Yates si riprende la maglia rosa attaccando sul Colle delle Finestre
Missione compiuta: a distanza di 7 anni, Yates si riprende la maglia rosa attaccando sul Colle delle Finestre

Il pullman deve partire

Fatta l’ultima tappa di montagna, il Giro d’Italia aveva previsto che dopo le docce in un hotel, dei pullman trasportassero gli atleti all’aeroporto di Caselle, dando così modo ai mezzi delle squadre di partire dopo il via da Verres e arrivare in tempo per accogliergli a Roma. Sta di fatto che fra premiazione, conferenza stampa, zona mista e antidoping, Yates non avrebbe fatto in tempo e così Papini ha chiamato l’ufficio stampa e ha chiesto se potessero accompagnare la maglia rosa all’aeroporto. L’operazione è nata così ed è scattata che ancora Valerio Bianco doveva ultimare il lavoro. Perciò Quenet si è messo alla guida, Bianco sul sedile del passeggero scriveva e alle loro spalle Yates e il dottore della Visma-Lease a Bike hanno approfittato del passaggio.

«Anche noi saremmo andati a Roma in aereo – ricostruisce Valerio Bianco – ma eravamo prenotati sul terzo volo, mentre Simon aveva quello delle 21,15. E siccome siamo partiti alle 18, c’era da correre, anche se Google Maps diceva che saremmo arrivati in tempo. Yates là dietro era totalmente frastornato, non aveva ancora capito cosa stesse succedendo. Maneggiava il telefono, rispondeva, era ancora commosso come durante la conferenza stampa…».

Nascosto alle interviste

Schegge di memoria durante la discesa da Sestriere, lavorando al computer e di tanto in tanto buttando lo sguardo dietro verso quell’ospite così speciale. Sul Colle delle Finestre, il britannico si era da poco ripreso la vittoria che sette anni prima Froome gli aveva portato via con un attacco storico, al pari di quello messo in atto da lui.

«Mentre lo ascoltavo – prosegue Valerio Bianco – mi sono reso conto di come fossero cambiate le cose. Al mattino il nostro compito è chiamare i corridori e portarli nella zona mista, quando qualche giornalista chiede di parlare con loro. Con lui è stato piuttosto complicato, perché si nascondeva alle interviste. Ma da dopo la maglia rosa, è diventato la persona più disponibile del mondo, davvero molto simpatico. Anche quando il lunedì dopo il Giro siamo andati a inaugurare il murales sulla metro di Roma, è parso super disponibile. Ha dedicato del tempo ai media del Vaticano e così quando a un certo punto gli ho chiesto di fare un selfie perché la mia ragazza non credeva che fossimo con lui, si è prestato senza esitazione».

Valerio Bianco e un selfie con Yates da far vedere alla compagna
Valerio Bianco e un selfie con Yates da far vedere alla compagna

Simon, ho perso l’aereo

E’ stato come se per certi istanti, Yates stesse riavvolgendo il nastro della memoria, mentre l’auto superava gruppi di cicloturisti resi fradici dalla pioggia inaspettata. Scambiava poche parole con il dottore, ma senza particolari riferimenti ad aspetti tecnici.

«Gli ho sentito dire una frase – ricorda Valerio Bianco – che si sposa con quello che ha raccontato nella conferenza stampa, sul suo rapporto con il Giro d’Italia. A un certo punto ha detto: “Dopo questo, potrei anche smettere!”. Ha sospirato ricordando la maglia rosa sfumata sette anni fa sul Finestre. Ma il siparietto più carino c’è stato quando lo ha chiamato la sua compagna. La aspettava a Roma per l’indomani, invece lei con tutto il candore possibile gli ha detto che per seguire la tappa, non era uscita in tempo e aveva perso il volo. La reazione di Yates? Ha sollevato gli occhi al cielo. Io stavo lavorando, ho capito cosa fosse successo, mi sono voltato e lui aveva gli occhi al cielo. Ma anche in questo, per tutto il tempo mi è parso di parlare con un bambino felice, che aveva la testa fra le nuvole».

Yates c’era, ma nessuno l’ha visto. Affini spiega il capolavoro Visma

07.06.2025
5 min
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Affini ammette di non essere uno che dorme tanto, ma che un paio di giorni di letargo dopo il Giro gli sono serviti. Adesso si tratta di preparare un’altra valigia, perché i corridori non si fermano mai, ma prima un ritorno sulla corsa conquistata da Yates ci sta tutto. Quello che ci interessa capire con il mantovano della Visma-Lease a Bike è cosa abbia rappresentato la conquista della maglia rosa per la squadra che nel 2023 aveva vinto Giro, Tour e Vuelta e l’anno successivo si è trovata a fare i conti con infortuni, sfortune e piazzamenti troppo piccoli per le attese generate nell’anno delle meraviglie.

«Diciamo che il 2023 è stato qualcosa di probabilmente irripetibile – dice Affini – poi il 2024, venendo da una stagione del genere, è stato un’annata più complicata, ma non da buttare via completamente. Alla fine, se guardi, non eravamo scomparsi dagli ordini d’arrivo, però è chiaro che una differenza c’è stata. Quest’anno siamo ripartiti abbastanza bene, anche se siamo mancati nelle classiche Monumento al Nord. Siamo stati presenti, ma è mancato il risultato pesante. Per cui venire al Giro e riuscire a portare a casa tre tappe e la maglia rosa credo che sia stata una bella botta di fiducia».

Si prepara la valigia per l’altura, senza conoscere ancora il programma del ritorno alle gare, ma con un’ipotesi Tour che segnerebbe il suo debutto e il giusto riconoscimento per un atleta che più forte e concreto non si può. Affini dice che gli piacerebbe fare il campionato italiano a crono, perché potrebbe correrlo con la maglia di campione europeo, ma altro non è stato ufficializzato e si dovrà attendere la metà di giugno per avere i piani dell’estate.

Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sul podio di Roma, Simon Yates e Richard Plugge hanno riallacciato il filo dei Grandi Giri per la Visma-Lease a Bike
Sei stato uno di quelli che ha incitato Yates perché ci credesse: lo avevi in testa da prima oppure è stato una scoperta giorno dopo giorno?

Ho corso con la allora Mitchelton-Scott in cui c’era anche Simon. Lo conoscevo già, anche se quando è arrivato da noi, era chiaro che fosse stato preso più come rinforzo per Jonas (Vingegaard, ndr). Però allo stesso tempo gli avevano dato carta bianca per giocarsi le proprie carte in certi appuntamenti. E’ partito con l’idea del Giro già dall’inverno e quando siamo arrivati a Tirana c’era l’idea di fare una bella classifica. Volevamo fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di ottenere un risultato. Poi strada facendo, è cresciuta sempre di più la fiducia che potesse arrivare qualcosa di grande. Per cui direi che abbiamo sempre visto Simon come un uomo per fare classifica e lo abbiamo protetto come meglio potevamo.

Ha raccontato di essere rimasto da solo soltanto nelle crono, mentre per il resto del tempo lo avete tenuto al sicuro…

Il mio compito era di tenerlo il più coperto e il più a lungo possibile, fintanto che in certe tappe il mio fisico me lo consentiva. Invece nei finali veloci, era sempre (tra virgolette) un casino, nel senso che eravamo divisi. Avendo Olav Kooij, Van Aert e io eravamo più concentrati su di lui, almeno nei finali di corsa quando cominciava l’avvicinamento alla volata, quindi negli ultimi 5-6-10 chilometri. In quei casi, il resto della squadra si stringeva attorno a Simon.

Tu hai vissuto il Nord con Van Aert e probabilmente ne hai condiviso le delusioni. Come è stato vederlo vincere la tappa di Siena?

Forse ne ho già parlato con qualcun altro, non mi ricordo bene con chi, ma sostanzialmente non è che in primavera Wout non ci fosse. Era sempre lì, solo che s’è trovato davanti degli altri corridori che in quel momento gli erano superiori. Però a guardare bene, la sua continuità è stata un segnale importante. Poi è chiaro che soprattutto in Belgio la stampa si aspetta tanto e a volte esagera. Però ci sono anche gli altri, non solo lui. Vederlo vincere una tappa, soprattutto quella di Siena che per lui è da sempre un posto importante, è stato un bel momento. Ha fatto un grande lavoro in tutte le tappe, ma vederlo vincere è stato bello per tutti noi. Eravamo tutti contenti, tutta la squadra quella sera ha festeggiato.

Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Giugno potrebbe essere per Affini l’occasione per correre il tricolore crono con la maglia di campione europeo
Si racconta che dopo la sconfitta del 2023, lo scorso anno Pogacar fosse davvero super determinato. Si percepisce una rivalità fra Visma e UAE?

Forse andrebbe chiesto ai diretti interessati, quindi Jonas e Tadej. Però noi, come squadra, sappiamo quali sono i corridori che effettivamente devi considerare rivali al 100 per cento. E’ normale che quando hai gli stessi obiettivi, diventi automaticamente il rivale numero uno. Allo stesso modo, quando hai due corridoi come Vingegaard e Pogacar, la rivalità diventa più forte. Ovviamente ce ne sono anche altri, il Giro ad esempio ha mostrato Del Toro e Ayuso, ma avere dei riferimenti come loro è una spinta reciproca. Ogni squadra cerca di migliorarsi, magari nel trovare quello 0,5 per cento per andare un po’ più forte. E questo riguarda i corridori, ma anche lo staff. Alla fine, se il livello è alto, lo scontro è elevato, come nel calcio.

Eppure, pur conoscendovi, è parso che nella tappa di Sestriere la UAE Emirates abbia sottovalutato Yates: a Martinelli è parso incredibile…

Per quello forse è stato bravo Simon con la sua esperienza, a gestirsi in quella maniera. Come ha detto anche lui, non ha preso un filo di vento e nessuno quasi lo ha visto. Il nostro scopo sin dall’inizio era portarlo avanti nel Giro senza che facesse troppa fatica. Praticamente c’è sempre stato, ma era come se non ci fosse e così ha gestito al meglio le sue energie.

Tre (grossi) dubbi di Martinelli sul Giro della UAE e il futuro di Ayuso

06.06.2025
7 min
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«Attenzione – dice Martinelli – Del Toro ha fatto un Giro incredibile. Dei tre, tifavo per lui e meritava di vincere. Però proprio perché hai fatto una corsa così grande, non puoi pensare di non fare una cronoscalata fino alla cima del Finestre. Scollini con tre minuti, abbiamo perso il Giro. Scollini con due, ce la giochiamo ancora. Ma se scollini con un minuto solo, possiamo ancora vincere, hai capito?».

Il primo Giro senza Martinelli si è risolto con un colpo alla Martinelli. L’attacco di Yates e Van Aert verso Sestriere ha ricordato quello dell’Astana di Aru e Luis Leon Sanchez, che permise a Fabio di vincere la Vuelta del 2015. A questo si aggiunga che lo stesso Martinelli si è trovato più volte alle prese con la convivenza fra due galli nella stessa corsa. Prima Pantani con Chiappucci. Poi Cunego con Simoni. Quindi Aru con Landa. Che cosa è parso al tecnico bresciano della corsa rosa?

Martinelli è a casa e il racconto dei suoi giorni fa capire che finalmente ha ritrovato un po’ di equilibrio. La vittoria di Scaroni è un po’ anche sua, conoscendolo da quando era un bimbo e avendo insistito in prima persona per portarlo alla XDS Astana. Per il resto, la nostalgia non fa parte del suo vissuto.

Fino al 2024, Giuseppe Martinelli è stato uno dei ds della Astana. In apertura l’abbraccio Del Toro-Gianetti sul traguardo di Sestriere
Fino al 2024, Giuseppe Martinelli è stato uno dei ds della Astana. In apertura l’abbraccio Del Toro-Gianetti sul traguardo di Sestriere
Ti è piaciuto il Giro d’Italia?

Diciamo che di tutto quello che si era detto, è successo l’esatto contrario. Siamo partiti che Roglic doveva essere il vincitore e doveva giocarsela con Ayuso, mentre Tiberi doveva andare sul podio, invece alla fine ha vinto quello che s’è nascosto più di tutti. Forse anche il più furbo o il più bravo. Non è stato un brutto Giro. Noi italiani siamo stati abbastanza protagonisti. Però tanti nostri corridori sono gregari. Fino a prima della caduta, Ciccone ha lavorato per Pedersen. Un altro corridore come Affini, che a me piace da morire, ha fatto delle cose eccezionali aiutando Yates e Van Aert. Siamo diventati un Paese di gregari…

Ci sono stati due momenti cruciali come la tappa di Siena e poi quella di Sestriere….

Nel giorno di Siena, quando ho visto cadere Roglic, avrei fermato Del Toro e lo avrei messo ad aiutare il capitano. Perché così avrei guadagnato molto di più sullo sloveno che in partenza era l’avversario numero uno. A posteriori è andata bene così, sicuramente. Ma quel giorno ho subito detto: «Ma perché non fermano quello là che sta volando?». Dietro avrebbero guadagnato sicuramente un minuto in più. La UAE Emirates poteva tirare per tornare su Del Toro e proprio lui sarebbe stato in grado di fare la differenza. Se fosse rimasto a ruota e avesse girato in tre anziché da solo, la vittoria di tappa sarebbe stata ancora possibile.

Che cosa ti sembra della tappa di Sestriere?

Non avevo visto l’inizio e quando ho cominciato a seguire, c’era una fuga di 20 corridori e ho notato subito che mancavano uomini di Carapaz e di Del Toro. Memore delle due o tre volte che ho messo in atto quella tattica, mi sono detto che io avrei messo davanti un uomo della UAE Emirates. Poi la fuga ha preso margine e quando ho visto che aveva preso 7 minuti di vantaggio, ho pensato che la UAE Emirates dovesse mettere qualcuno a tirare. Li avrei riportati a tre minuti e così avrei ripreso Van Aert sulla salita. Lui non è uno scalatore, andando su non sarebbe servito a molto.

Martinelli non capisce perché sul Colle delle Finestre, anziché tirare per salvare la maglia rosa, Del Toro si sia fermato alla ruota di Carapaz
Martinelli non capisce perché sul Colle delle Finestre, anziché tirare per salvare la maglia rosa, Del Toro si sia fermato alla ruota di Carapaz
Invece hanno preso la salita con 8 minuti…

Ed è cominciata una battaglia incredibile. Mi sono detto: «Porca vacca, questi qua in cima non ci arrivano!». Hanno preso il Colle delle Finestre come uno strappo di 2 chilometri. E ho detto: «Voglio vedere come fanno a scollinare!». E quando poi è andato via Yates, ho cominciato a pensare: ma cosa aspetta Del Toro a fare il suo passo? Doveva dare subito la sensazione di inseguire Yates. Se lo avesse fatto, non dico che non perdeva il Giro, però avrebbe scollinato con il risultato ancora aperto.

Solo che poi avrebbe potuto poco contro Van Aert e Yates…

Van Aert ha fatto il fenomeno e non sarebbe cambiato nulla anche se avesse tirato Carapaz. Non è stupido e a un certo punto si sarà detto: «Io sono secondo e magari passerò al terzo posto, ma è la maglia rosa che deve seguire chi lo attacca, non io che sono secondo!». L’ho detto subito ai miei amici: Carapaz non aveva niente da guadagnare aiutando Del Toro. E non voglio dire che la UAE abbia sbagliato tutto, solo che secondo me non hanno calcolato che Yates potesse essere il jolly del Giro. Non l’hanno mai considerato, si sono concentrati su uno solo.

Ma se tu sei il direttore sportivo e state perdendo la maglia rosa, glielo dici a Del Toro che deve inseguire?

Una cosa vorrei ripeterla: la mia critica non è sicuramente nei confronti di Del Toro, perché con lui secondo me abbiamo scoperto un altro campione. A ventun anni, è il più giovane di tutti i giovani di cui parliamo ultimamente. Secondo me, ha fatto quello che gli dicevano di fare. Non credo che abbia preso delle decisioni, forse solo a Bormio ha fatto qualcosa di testa sua ed è andato a vincersi la tappa. Credo che Del Toro abbia speso molto durante il Giro, ha corso da protagonista e avrebbe potuto farlo anche nell’ultima tappa.

Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2004, Simoni si ritrovò suo malgrado ad aiutare Cunego in maglia rosa. Sull’ammiraglia Saeco viaggiava Martinelli
Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2004, Simoni si ritrovò suo malgrado ad aiutare Cunego in maglia rosa. Sull’ammiraglia Saeco viaggiava Martinelli
Proprio a Bormio è parso di rivedere Aru e Landa compagni di squadra sul Mortirolo nel 2015 e Contador che vinse il Giro. Del Toro davanti e la squadra dietro che tirava per Ayuso…

Mi sono trovato in questa situazione, però ho avuto la fortuna di avere campioni come Simoni, Landa e un quasi campione come Aru. Ma quest’anno erano bambini: uno di 22 e uno di 21 anni. Uno che vuole vincere a tutti i costi, perché Ayuso ha le stimmate del campione. E dall’altra parte un ragazzino di 21 anni che va più forte di tutti. Sarebbe stato difficile per tutti, me compreso. Una cosa del genere ti toglie il sonno. Non è questione di Baldato, Matxin o Gianetti. Continui a discutere, ma non trovi la soluzione. Sapete quale sarebbe stata la soluzione? Quella di averne solo uno. Immagino ogni sera il fatto di trovare uno che diceva la sua e l’altro che diceva l’esatto contrario.

Forse alla UAE nessuno si aspettava Del Toro a quel livello, non trovi?

Effettivamente non l’hanno portato perché facesse quello che ha fatto. Se lo sono trovato per strada, come io trovai Cunego. Aveva vinto il Giro del Trentino e anche a Larciano, era in condizione. Se vado a rileggere le interviste, dicevo a Simoni di guardarsi da lui, perché l’avversario più forte l’avrebbe avuto in casa. Non aveva mai fatto la terza settimana, ma scoprimmo che andò più forte che nella prima. E non dimentichiamo che Simoni, con cui litigammo e discutemmo, alla penultima tappa attaccò sul Mortirolo, andò in fuga e mise un po’ di pepe.

Simoni reagì da Simoni, dicono invece che dopo la tappa di Siena, Ayuso abbia perso lucidità…

L’ho pensato anche io. Questo ragazzo ha i tratti del campione, altrimenti non vinci la Tirreno a quel modo. Però alla fine deve capire che il ciclismo è fatto di alti e bassi e dovrà fare delle scelte abbastanza importanti per il futuro. Anche la squadra dovrà decidere come gestirlo. Non farà la Vuelta e per lui un certo tipo di stagione è finito, con un niente di fatto al Giro, senza il Tour né la Vuelta. E se l’anno prossimo Pogacar vuole venire al Giro e poi fa il Tour, Ayuso dove va? E Del Toro dove lo porti? Secondo me lo spagnolo deve capire cosa vuole fare da grande. E la squadra deve capire dove metterlo.

Dopo il giorno di Siena, secondo Martinelli Ayuso si è spento. Rimarrà con la UAE Emirates, come contratto vorrebbe?
Dopo il giorno di Siena, secondo Martinelli Ayuso si è spento. Rimarrà con la UAE Emirates, come contratto vorrebbe?
Cosa ti è sembrato di Tiberi e Pellizzari?

Ero sicuro che quest’anno Tiberi sarebbe andato sul podio, invece secondo me è arrivato al Giro che non stava bene, tanto da non aver fatto il Tour of the Alps. Probabilmente i cambi di programma lo hanno condizionato e poi ci si è messa la caduta. Ormai quando cadono si fanno male davvero, perché sono mingherlini. Mi dispiace per Antonio, non so quale sarà il suo programma, ma quest’anno aveva una bella occasione. Però io lo salvo ancora, è uno dei migliori che abbiamo, anche se ancora non sa quello che realmente ha nel serbatoio.

Cioè?

Ha paura ad attaccare perché si chiede cosa succede se poi lo staccano. Invece dovrebbe essere più intraprendente, rimandando i calcoli al dopo corsa. Alla Bahrain sono stati bravi a non fermare Caruso quando Tiberi è andato in difficoltà. Che sia stata fortuna o bravura, hanno salvato il quinto posto in classifica. Tante volte è facile criticare, ma bisognerebbe trovarsi lì e avere il coraggio di fare una scelta, che può essere giusta, ma anche completamente sbagliata.

Anche Pellizzari nel giorno di Asiago è stato tenuto vicino a Roglic, del resto…

Secondo me Pellizzari ha fatto quello che doveva, senza un minimo di pressione. E’ arrivato al Giro senza problemi, il percorso ideale per chi vuole fare veramente bene. E’ partito come il bambino più felice del mondo ed è arrivato allo stesso modo. Sono innamorato di quel ragazzo. Mi piace anche Tiberi, ne parlavo sempre con Vincenzo (Nibali, ndr) che l’aveva avuto come compagno di squadra. Però a me Pellizzari piace da quando l’ho visto dilettante, come corridore e come spontaneità. Fa ridere sempre, ha carattere, ci farà divertire.

EDITORIALE / Giro finito, resta qualche domanda sulla UAE

02.06.2025
6 min
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ROMA – In ordine sparso, prendendosi anche del tempo supplementare per una passeggiata in centro, a partire da stamattina e fino a sera, corridori, giornalisti, donne e uomini della carovana del Giro riprenderanno la via di casa. Alcuni ne hanno approfittato per farsi raggiungere dalle famiglie e trascorrere un paio di giorni a Roma, che ieri si è mostrata sfavillante e bella al mondo del ciclismo. Ma del Giro di Simon Yates si continua a ragionare e, non ce ne voglia il lettore, anche in modo irrituale.

Quando stamattina abbiamo iniziato a fissare il primo caffè, è tornata alla memoria una considerazione che si faceva anni fa parlando di mountain bike, telai e sospensioni. E quando si arrivava al dunque e si diceva che nel disegnare gli schemi per le bici si prendeva ispirazione dalle moto, l’obiezione di quelli più pragmatici giungeva puntuale come una sentenza. Puoi anche farlo, dicevano, ma ricordati che la moto ha il motore: basta dare gas e ti porta fuori da ogni situazione critica. La bicicletta il motore non ce l’ha e di lì partiva la spiegazione.

Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia
Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia

Senza il motore Pogacar

Secondo noi nel disegnare la squadra del Giro, la UAE Emirates ha dato poca importanza all’assenza del motore, vale a dire Tadej Pogacar. Se qualcuno pensava che bastasse indossarne la maglia per averne i superpoteri, avrà avuto un brusco risveglio. Il modo di correre nelle tre settimane è stato uguale a quello di sempre: la corsa tenuta saldamente in mano con la squadra davanti e poi l’ultima accelerata, per consentire al leader di fare la sua parte.

Ma Ayuso non è Pogacar e tantomeno per ora gli si avvicina Del Toro, il cui Giro è stato davvero un capolavoro splendido, inatteso e prodromo di una grande carriera. Sarebbe ingiusto pretenderlo da entrambi, dato che Tadej sarà probabilmente raccontato come uno dei corridori più forti della storia. Questo lo sanno quasi tutti nel team di Gianetti e nel “quasi” probabilmente si nasconde la radice della sconfitta di Sestriere.

Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione
Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione

Fra Del Toro e Ayuso

A Siena si è aperta la crepa che ha minato le sicurezze di Ayuso: Del Toro che scappa con Van Aert e conquista la maglia rosa ha messo infatti in discussione l’autorità del leader. La squadra ha fatto bene a lasciare spazio al messicano, ma è andata in confusione quando ha dovuto gestirne il primato.

In alcune situazioni infatti Del Toro non è stato trattato da leader e si è trovato da solo a fronteggiare gli attacchi, mentre la squadra dietro faceva quadrato attorno allo spagnolo. E’ difficile credere che un tecnico esperto come Baldato non abbia notato il dettaglio, eppure la tattica non è cambiata e viene da chiedersi se sia stata sempre condivisa. Isaac ha speso più del necessario, mentre con il giusto sostegno forse sarebbe arrivato ai giorni conclusivi con forze migliori.

Tutti, giornalisti e i suoi stessi dirigenti, hanno notato che nella conferenza stampa di Cesano Maderno, il messicano abbia cambiato modo di parlare, mostrando una sicurezza da vero leader. Forse non è casuale che ciò sia accaduto proprio nel giorno del ritiro di Ayuso.

Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro
Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro

Un uomo in fuga

Quando si è consapevoli di avere un leader attaccabile, occorre mettere in atto delle contromisure. La UAE Emirates, che nel giorno chiave della corsa aveva sull’ammiraglia il presidente del team Al Yabhouni Matar, respinge l’osservazione per cui sarebbe stato utile mandare un uomo in fuga nella tappa di Sestriere, affinché la maglia rosa trovasse un appoggio dopo il Colle delle Finestre. Yates ha trovato Van Aert e le trenate del belga hanno chiuso il discorso. Non si tratta di una tattica geniale, anzi è piuttosto elementare ed è anche semplice da smontare: basta non lasciar allontanare la fuga. E’ tuttavia geniale quando funziona.

Nella 20ª tappa della Vuelta 2015, Giuseppe Martinelli mandò in fuga Luis Leon Sanchez. Tom Dumoulin era leader, Aru lo seguiva a 6 secondi. Così quando Fabio attaccò e si trovò davanti il passistone spagnolo, se ne servì come di un treno e strapppò la maglia a Dumoulin, che andò a fondo. E’ una tattica che ben si presta per l’attacco, ma che funziona anche in difesa.

Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere
Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere

Neutralizzare Van Aert

Se non si può mandare nessuno in fuga per scelta tattica, allora si usano gli uomini per non far allontanare troppo la fuga con Van Aert, in modo da smontare l’iniziativa della Visma-Lease a Bike. Li tieni a 3 minuti e quando inizia il Finestre, basta metà salita per prenderli e lasciarli indietro. Invece la fuga ha guadagnato i minuti necessari e quando la Ef Education ha attaccato il Colle delle Finestre ad andatura folle, i cinque compagni di Del Toro si sono staccati e la maglia rosa è rimasta isolata. Forse in quel momento qualcuno si è mangiato le mani, mentre Del Toro si è trovato a gestire da solo una situazione troppo grande per i suoi 21 anni.

Pogacar se la sarebbe cavata da solo, per il messicano serviva predisporre una vera tattica. Gli è stato detto di seguire Carapaz e a un tratto i due sono arrivati a 7 secondi dal chiudere su Yates. Non si può sempre stare a ruota, toccava a Del Toro, ma non lo ha fatto. Qualcuno gli ha detto che spettava a Carapaz o lo ha pensato lui? Con eterna gratitudine, il britannico ha gestito la salita con astuzia: aveva l’uomo davanti e ha fatto scattare la trappola.

Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar
Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar

Il cinismo di Carapaz

Del Toro era in crisi di gambe oppure ha ricevuto ordini che lo hanno messo in confusione? Questa è una risposta che potranno dare soltanto lui e la squadra, ma è chiaro che qualcosa non sia andata come volevano e che la gestione di quella fase sia stata confusa. Simon Yates e la sua squadra invece sapevano di non poter schiacciare i rivali e hanno corso con intelligenza, dosando gli sforzi e sparando tutto nella tappa più adatta.

Carapaz ha provato a far saltare il banco ed è comprensibile che da un certo punto in avanti abbia smesso di farlo, negando collaborazione alla maglia rosa. Non si collabora con l’avversario, se non si hanno interessi in comune. Poco cambiava per Richard fra il secondo e il terzo posto. La crudeltà della tattica lo avrebbe visto attaccare nuovamente dopo aver costretto Del Toro a seguire Yates. Ma lui non lo ha fatto: non aveva le gambe o era in confusione. Se non interessa a te difenderla, ha pensato Carapaz, perché dovrei farlo io?

Il Giro di Yates: un viaggio nei pensieri della maglia rosa

01.06.2025
6 min
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ROMA – Quando Simon Yates ha tagliato il traguardo dell’ultima tappa del Giro d’Italia, aveva sul volto un sorriso bellissimo, in netto contrasto o a completamento delle lacrime di ieri a Sestriere. Sette anni dopo essere stato respinto dal Colle delle Finestre, il britannico della Visma-Lease a Bike è tornato sulla stessa salita per riprendersi quello che sentiva suo e ci è riuscito. Per questo, acclamato dalla gente di Roma sul circuito finale, Simon ha sentito di aver realizzato un suo sogno di bambino. E così gli abbiamo chiesto di raccontarci alcuni pensieri di questa giornata finale tutta in rosa. Di quelle che ha visto con altri attori al centro della scena e lui, in disparte, ad abbassare lo sguardo sperando in giorni migliori.

Il Giro a Roma ha trovato gli scenari più degni per un evento così grande
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Sulla vittoria del Giro

«Da quando sono diventato professionista ho sempre sognato di vincere le migliori gare e ovviamente i Grandi Giri, che sono l’apice del nostro sport. Mi sono innamorato del Giro nel 2018 e penso sappiate tutti bene che negli anni ho avuto i miei alti e i bassi, ma era come se questa corsa continuasse a chiamare il mio nome. E alla fine sono riuscito a vincerla, a coronare il mio sogno e quasi mi sembra impossibile».

24 ore dopo, Van Aert e Yates: a Sestriere, Wout ha spianato la strada verso la maglia rosa
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Sulla fiducia in se stesso

«Penso che chiunque creda in se stesso e pensi di potercela fare. Solo che nell’ultima settimana mi sono ritrovato a perdere del tempo da Carapaz e Del Toro e stavo iniziando a vedermi lontano e a capire che vincere sarebbe stato sempre più complicato. Ma come ho raccontato ieri, i ragazzi mi hanno incoraggiato a provare, perché non si sa mai. Ci ho creduto anche io, ho provato e sono riuscito a farcela. Quindi questa domenica del Giro a Roma è stata una giornata pazzesca».

La maglia rosa ricevuta in Vaticano da Papa Leone XIV, un momento ad alta intensità
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Sull’incontro col Papa

«Oggi la partenza è stata davvero incredibile. Per qualche motivo non mi ero reso conto che ci saremmo fermati ed è stato davvero comico. Pensavo che saremmo passati di lì, non immaginavo a un momento per me. Pensavo fosse per tutti i corridori presenti, saremmo passati di lì e avremmo avuto la sua benedizione. Invece è stato un momento davvero forte».

Sul cambio di squadra

«Sono stato per 11 anni nella stessa squadra e ho vinto il Giro al primo anno che ho cambiato. Penso che avessi solo bisogno di cambiare e volevo arrivare in una squadra che sapesse come vincere i Grandi Giri. Lo hanno fatto con successo con diversi corridori e sembra che il cambiamento abbia dato i suoi frutti. Naturalmente, non mi sono mai pentito di essere rimasto alla Jayco per così tanto tempo, penso di avere alcuni amici di una vita e dei bei ricordi. Ma sono team molto diversi, non sarei in grado di cogliere una sola differenza che abbia cambiato le cose».

Yates si definisce poco emotivo e razionale, ma l’impresa di Sestriere lo ha scosso nel profondo
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Sui momenti duri

«Penso che tutti noi abbiamo sempre dei dubbi, se stiamo facendo la cosa giusta o se siamo sulla strada giusta. Ho anche avuto un sacco di battute d’arresto, non solo qui al Giro, ma anche durante altre gare. E davvero ho pensato che forse fosse il momento di fermarsi e fare qualcos’altro. Ma ho continuato ad andare avanti e adesso mi ritrovo qui. Finora questo è stato il mio anno, non ho avuto sfortuna».

Sorridono tutti, ma Del Toro e Carapaz riusciranno prima o poi a spiegarsi?
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Sulle lacrime di ieri

«Normalmente mi considero poco emotivo, diciamo, e abbastanza concentrato. Ma ieri non sono riuscito a trattenere le lacrime perché quello che ho vissuto mi ha davvero colpito. Non per continuare a ripetermi, ma è qualcosa per cui ho davvero lavorato e mi sono sacrificato per molto tempo e non riuscivo a credere di essere riuscito a farcela. Per questo piangevo e per questo ci sto ancora pensando. Comunque voglio dire che erano lacrime di felicità. Anche oggi abbiamo finito questa tappa in modo così grande che siamo tutti al settimo cielo. Inizio davvero a rendermi conto di ciò che abbiamo realizzato. Abbiamo avuto un grande tifo e vedremo cosa succederà dopo».

L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo
L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo

Sull’impresa di Sestriere

«Dire se ieri ho vinto per le gambe o per astuzia? Avevo un’idea e prevedeva di attaccare da lontano. Volevo davvero stare da solo in modo da potermi concentrare sul mio sforzo. Sapevo di avere gambe forti e sapevo che, una volta rimasto da solo, che potevo concentrarmi e dare il meglio. Mi è sembrato che alcune delle altre tappe fossero più tattiche, ma sabato sapevo o sentivo che avrei fatto meglio in uno sforzo più lungo e sostenuto. Avevo solo bisogno di andarmene da solo e riuscire a farlo. Ad essere onesti, da lì in poi è stato abbastanza semplice. Ogni giorno avevamo il piano di mandare qualcuno in fuga per sostenermi se ne avessi avuto bisogno in caso di attacco. Ed ha davvero funzionato».

Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti
Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti

Sul fratello Adam

«Sono molto legato a mio fratello, ma in realtà non parliamo molto di ciclismo. Così oggi abbiamo pedalato accanto, ma non del fatto che la sua squadra ha perso il Giro. Abbiamo parlato solo del correre attraverso la Città del Vaticano e cose della vita normale. Ma penso, venendo alla sua squadra, che Isaac Del Toro sia un ragazzo giovane e davvero brillante, già di livello mondiale. Penso che quando avevo 21 anni, ero ancora un neo professionista o forse non ero nemmeno professionista. Quindi sono sicuro che si riprenderà e avrà molto più successo nel suo futuro».

Sono le 21 di una giornata lunghissima. La Visma-Lease a Bike ha riservato un tavolo al Midas per festeggiare la vittoria in un Grande Giro che mancava dalla fantasmagorica Vuelta del 2023. Sul podio è spuntato nuovamente il boss, Richard Plugge, che si frega le mani, si gode il momento e magari pregusta i giorni del Tour, quando anche Yates correrà al fianco di Vingegaard. Ma per quello ci sarà tempo. Il vincitore sparisce dalla grande porta della Sala della Protomoteca in Campidoglio. A noi non resta che scrivere…