Lo sviluppo del Team Amani, una rivoluzione per l’Africa ciclistica

Lo sviluppo del Team Amani, una rivoluzione per l’Africa ciclistica

04.12.2025
6 min
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Il progetto legato al ciclismo africano non si è fermato allo scorso settembre e agli storici mondiali in Rwanda. Le iniziative si moltiplicano e quella legata al Team Amani potrebbe avere una portata storica. Parliamo infatti della prima squadra continental femminile completamente africana, che nei propositi dei suoi responsabili vuole ripercorrere i passi del Team Qhubeka, ma mantenendo una forte identità legata al Continente. E’ stata fondata nel 2020 da Sule Kangangi, ciclista tragicamente scomparso in un incidente in una gara di gravel due anni dopo e dall’avvocato penalista Mikel Delagrange.

La guida tecnica del team femminile è stata affidata Tsagbu Grmay, che proprio per guidare le ragazze verso il grande obiettivo della partecipazione al Tour Femmes entro tre anni, ha lasciato una lunga carriera trascorsa nei team WorldTour: «L’idea – dice – è cercare di costruire una squadra che ruoti attorno solo a cicliste dell’Africa orientale. Seguivo la squadra maschile sui social ed ero un loro grande fan, perché cercano di mettere insieme atleti provenienti da diversi Paesi dell’Africa orientale e portarli a gare in America, in Europa e nel gravel. Non appena mi sono ritirato dalle corse su strada, ho contattato il proprietario della squadra e gli ho detto che volevo collaborare, perché è qualcosa a cui ho sempre pensato».

Tsgabu Gebremaryam Grmay, 34 anni, pro' nel WorldTour dal 2015 al 2023 e ancora protagonista nel gravel
Tsgabu Grmay, 34 anni, pro’ nel WorldTour dal 2015 al 2023 e ancora protagonista nel gravel (foto De Waele)
Tsgabu Gebremaryam Grmay, 34 anni, pro' nel WorldTour dal 2015 al 2023 e ancora protagonista nel gravel
Tsgabu Grmay, 34 anni, pro’ nel WorldTour dal 2015 al 2023 e ancora protagonista nel gravel (foto De Waele)
La squadra femminile può avere più spazio di quella maschile?

Dipende, bisogna considerarlo in due modi. Bisogna vedere a che punto è il ciclismo mondiale nella categoria maschile e femminile e anche che tipo di talento e tipo di strutture abbiamo in Africa. Credo che per quanto riguarda le donne, non siamo molto lontani dalla posizione del ciclismo femminile nel mondo in questo momento, perché abbiamo già delle ragazze molto talentuose. Dobbiamo solo avere opportunità, come stiamo facendo come Team Amani. Quindi raggiungeremo più velocemente il livello più alto con le donne che con gli uomini. Ma credo che in entrambi abbiamo talento: lo vediamo già con Biniam Girmay e dietro di lui vediamo già il potenziale negli atleti africani.

Perché pensi che fra le donne ci siano maggiori possibilità?

Perché abbiamo ragazze di grande talento e vedo anche il loro background, da dove provengono, quanto vogliono avere la loro libertà. Vogliono lottare per la vittoria, vogliono lottare per inseguire il loro sogno perché non è mai successo prima. Aggiungiamo a questo il fatto che il movimento mondiale femminile è ancora in forte crescita. E’ un grande salto, ma è tutta una questione di tempismo. Con gli uomini, ci arriveremo, ma con le donne lo sentiamo e stiamo davvero inseguendo il sogno realistico che è possibile realizzare in breve tempo.

I mondiali in Rwanda sono stati una forte spinta, ma ora bisogna continuare su quell'onda
Il Team Amani si dedica alla strada, ma anche al gravel con atlete dell’Africa orientale (foto team)
I mondiali in Rwanda sono stati una forte spinta, ma ora bisogna continuare su quell'onda
Il Team Amani si dedica alla strada, ma anche al gravel con atlete dell’Africa orientale (foto team)
La rassegna iridata in Rwanda secondo te avrà effetti a lunga durata sullo sviluppo del ciclismo in Africa?

Dipende da che tipo di progetti si vogliono portare avanti. Il Team Amani esisteva da anni e stiamo ancora crescendo lentamente, con grandi progetti e grandi obiettivi per i prossimi 10 anni. Abbiamo la tabella di marcia e sappiamo tutto ciò che serve per raggiungere il nostro obiettivo. E’ incredibile ciò che l’UCI ha fatto per l’Africa ed è stato uno dei punti di svolta per me e uno dei punti chiave che potrebbe avere un impatto significativo sul ciclismo africano.

Perché usi il condizionale?

Perché è un evento che si è svolto a settembre e dobbiamo vedere che tipo di progetto continuerà. L’Africa ha bisogno di più gare UCI, di più opportunità da offrire agli atleti. L’UCI si è presa un grosso rischio nel fare questo, ma la scommessa è stata vincente. Ora su quella bisogna costruire qualcosa di duraturo. E’ un processo a lungo termine.

Nei territori africani il ciclismo sta prendendo sempre più piede, anche se non in tutti i Paesi
Nei territori africani il ciclismo sta prendendo sempre più piede, anche se non in tutti i Paesi (foto team)
Nei territori africani il ciclismo sta prendendo sempre più piede, anche se non in tutti i Paesi
Nei territori africani il ciclismo sta prendendo sempre più piede, anche se non in tutti i Paesi (foto team)
In Paesi come il tuo dove calcio e atletica sono gli sport più amati dai ragazzi, il ciclismo comincia ad affermarsi?

Sì, in una parte dell’Africa orientale è importante. Ad esempio in Etiopia il ciclismo è davvero molto, molto importante, nascono squadre, come anche in Eritrea. Ma il mondo non sa che tipo di gare facciamo e come la gente le ama. Abbiamo una struttura di gare incredibile, almeno 40 all’anno e la gente le adora, ci sostiene. Ma è un mondo piccolo che ha bisogno di risalto per espandersi. Ad esempio, il Kenya è indietro, come se il ciclismo non fosse la priorità assoluta.

E’ importante avere una visione d’insieme?

Io seguo il ciclismo africano dal 2010, da quando ho iniziato a viaggiare per l’Africa, correndo gare UCI in Rwanda prima di diventare professionista. E ho potuto vedere i cambiamenti, come l’Uganda che sta già arrivando. La corsa a piedi è nelle nostre corde, hai solo bisogno di talento che qui non manca di certo. Il ciclismo invece è uno sport costoso, serve la bici, serve tutto. Se fornisci questo, penso che il talento ci sia e possa emergere.

Xaverine Nirere, che vincendo la terza tappa ha conquistato il Windhoek Women Tour
Xaverine Nirere, che vincendo la terza tappa ha conquistato il Windhoek Women Tour (foto team)
Xaverine Nirere, che vincendo la terza tappa ha conquistato il Windhoek Women Tour
Xaverine Nirere, che vincendo la terza tappa ha conquistato il Windhoek Women Tour (foto team)
Qual è il coinvolgimento di Ashleigh Moolman-Pasio nel team?

Voglio continuare a coinvolgere persone come Ashleigh, perché lei ne sa più di chiunque altro nel ciclismo femminile e sa cosa serve. C’è bisogno di persone come lei o anche come Biniam (Girmay, ndr), tutte queste persone che attraversano il ciclismo africano. Voglio che siano a bordo di questo progetto per sostenerlo, perché è qualcosa che ci accomuna tutti, in modo diverso, al livello più alto. Per me, l’idea è anche quella di dare potere alle persone per investire e lavorare come un unico progetto, su come possiamo rendere grande l’Africa nel ciclismo. Ashleigh ha cercato di aiutare le donne del Sudafrica e di altri Paesi, anche in Etiopia. E’ qualcosa in cui è coinvolta e lo sarà ancora di più quando si ritirerà, semplicemente gestendo la squadra, quindi siamo entusiasti di averla con noi.

Come sarà composto il roster, quante ragazze avrà e saranno solo cicliste africane?

Saremo aperti a tutti i Paesi africani e avremo solo atlete africane nere su cui vogliamo concentrarci. Tra le donne, abbiamo un minimo di 8 atlete, come richiesto dall’UCI perché stiamo anche lottando con il budget per riuscire ad allargarla e avere più opportunità. Ma vogliamo arrivare a circa 12 atlete. Tra Rwanda, Etiopia, Uganda, Kenya, abbiamo già circa 50 atleti tra i 14 e i 18 anni che seguiamo. Abbiamo molti progetti in corso dietro le quinte, ragazzi giovani da allenare, da far pedalare, da insegnare loro le tecniche, l’alimentazione e tutte queste cose. E’ un progetto a lungo termine.

La squadra femminile sarà composta nel 2026 da 12 ragazze, tutte provenienti dall'East Africa
La squadra femminile sarà composta nel 2026 da 12 ragazze, tutte provenienti dall’Africa orientale
La squadra femminile sarà composta nel 2026 da 12 ragazze, tutte provenienti dall'East Africa
La squadra femminile sarà composta nel 2026 da 12 ragazze, tutte provenienti dall’Africa orientale
L’obiettivo è arrivare al Tour nel 2028. Intanto dalla prossima stagione che cosa vi attendete?

La prossima stagione consiste semplicemente nel venire in Europa e mostrare il potenziale, che tipo di atleti abbiamo e qual è il talento di cui disponiamo. Se vuoi partecipare al Tour, nel 2028, devi mostrare il potenziale, perché il ciclismo non è solo questione di watt per chilo, non è solo questione di velocità in salita. Ci sono molte cose su cui stiamo cercando di lavorare. Per il prossimo anno, non ci sono aspettative legate al risultato. Se centreremo una Top 10 in quelle gare importanti a cui parteciperemo, è fantastico. E’ un bonus, ma la cosa più importante è dare esperienza alle ragazze, in modo che possano essere in grado di gareggiare davanti. Quindi questo è il nostro obiettivo per il prossimo anno: dimostrare al mondo che è possibile arrivare fino al 2028, perché è un obiettivo realistico.

Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo con Alison Sydor dopo la vittoria

Magdeleine Vallieres, la regina gentile (e tosta) del Rwanda

02.10.2025
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KIGALI (Rwanda) – Come è stato che Magdeleine Vallieres abbia vinto il mondiale delle elite su strada lo abbiamo raccontato sabato, nel commentare la disfatta di Longo Borghini e delle altre favorite. L’azzurra per prima ha riconosciuto grande merito alla canadese, prima vincitrice canadese del mondiale donne elite, capace di attaccare da lontano e con coraggio, facendo scattare la trappola alle sue spalle.

Eppure l’immagine che più ha fatto capire la portata del risultato è quella di Magedeline incredula, seduta sull’asfalto fra le braccia di Alison Jackson, che con le sue smorfie un po’ la prendeva in giro e un po’ era a sua volta incredula (immagine di apertura). Un momento durato a lungo, il tempo che Vallieres si rendesse conto di essere la nuova campionessa del mondo e di succedere a Lotte Kopecky.

«Conosco Magdeleine da quando era piccola – ha detto la vincitrice della Roubaix 2023 – e mi sento come se la stessi guidando, aiutandola a crescere in sicurezza, conoscenza e abilità agonistiche. Per me è proprio come una sorellina».

Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo, incredula al traguardo
Magdeleine Vallieres è incredula sul traguardo: che cosa ho combinato? Una vittoria magistrale
Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo, incredula al traguardo
Magdeleine Vallieres è incredula sul traguardo: che cosa ho combinato? Una vittoria magistrale

Due anni a Aigle

Magdeleine ha compiuto 24 anni il 10 agosto, è nata nella città canadese di Sherbrooke, vicino Montreal e a pochi chilometri dal confine con gli Stati Uniti. Ha iniziato ad andare in bici molto presto, affrontando a 9 anni il primo viaggio in bikepacking di 1.000 chilometri con suo padre. Attribuisce a lui e a quel primo viaggio il merito di averle trasmesso la passione per il ciclismo.

«Alla fine del mio secondo anno da junior – racconta – ho partecipato allo Junior ID Camp dell’UCI, in cui saggiano i talenti che si propongono. Hanno fatto dei test e poi mi hanno ingaggiato per i due anni successivi. Per me fu la svolta perché significò arrivare in Europa. Penso che il Canada non sia necessariamente il Paese che aveva più bisogno del World Cycling Center, ma raggiungere le gare europee è lontano e piuttosto costoso. Io ci sono arrivata, ho partecipato alle gare più impegnative e ho cercato di crescere».

Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo, in salita davannti a Mavi Garcia e Fisher-Black
Nel momento decisivo della corsa, Vallieres ha trovato le gambe per staccare Mavi Garcia e Fisher-Black
Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo, in salita davannti a Mavi Garcia e Fisher-Black
Nel momento decisivo della corsa, Vallieres ha trovato le gambe per staccare Mavi Garcia e Fisher-Black

Favore restituito

Il solo motivo per cui pochi ne conoscono la forza è che di solito la mette al servizio delle compagne per cui lavora. E loro questa volta hanno pensato bene di ricambiare.

«Le mie compagne di squadra – racconta – credevano davvero in me e mi hanno detto che erano qui per aiutarmi. Quindi mi hanno tenuto sempre nella prima metà del gruppo su ogni salita. Ho potuto risparmiare molto, nella prima metà di gara non ho dovuto fare molto e intanto mi convincevo che fosse un buon percorso per me. Il mio allenatore mi aveva detto che, in realtà, era come se me lo avessero creato su misura. Molte persone credevano in me, quindi sapevo che se volevo fare bene, dovevo rischiare qualcosa. Avevo bisogno di anticipare e non necessariamente aspettare che le favorite se ne andassero».

Torfeo Palma 2024, Magdeleine Vallieres vince la sua prima corsa
Il Trofeo Palma 2024 è stato la prima vittoria da elite di Magdeleine Vallieres
Torfeo Palma 2024, Magdeleine Vallieres vince la sua prima corsa
Il Trofeo Palma 2024 è stato la prima vittoria da elite di Magdeleine Vallieres

Tre settimane in altura

Chi meglio la conosce conferma che il lavoro non le fa paura. E lei per prima, nel raccontare come sia arrivata alla prima vittoria stagionale, la terza in carriera, spiega i passaggi che l’hanno portata a Kigali.

«Con il mio allenatore – spiega – ci siamo preparati molto bene per questa gara. Ho fatto altura per tre settimane prima di venire qui e sapevo di aver fatto tutto il possibile per essere nella migliore forma. Soprattutto sapevo di aver fatto un buon passo avanti nella preparazione. Non sapevo se ce l’avrei fatta. Avrei potuto aspettare l’ultima salita, ma ho deciso che non volevo avere rimpianti. Così mi sono impegnata e ci ho dato dentro fino in fondo. La folla era incredibile, urlavano così forte che mi hanno dato la forza extra di cui avevo bisogno per arrivare al traguardo».

Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo esce dalla sala stampa (immagine Instagram)
La conferenza stampa è finita, ora Valleries può andare a festeggiare con le compagne (immagine Instagram)
Campionato del mondo Kigali 2025, Magdeleine Vallieres, Canada, campionessa del mondo esce dalla sala stampa (immagine Instagram)
La conferenza stampa è finita, ora Valleries può andare a festeggiare con le compagne (immagine Instagram)

Debutto all’Emilia?

Nel suo vissuto, oltre al bikepacking con suo padre c’è la relazione con Cian Uijtdebroecks, incontrato in Spagna durante un training camp invernale. Il giorno dopo la sua vittoria, Madeleine Vallieres ha aiutato i massaggiatori canadesi a portare i grossi frigo all’interno del box, poi si è spostata sul percorso fra i belgi, incitando il compagno. E proprio a Kigali la coppia ha reso pubblica la storia. Altrimenti come avrebbero spiegato il bacio che Cjan le ha dato prima del via della gara dei pro’?

La gara del debutto di Magdeleine Vallieres in maglia iridata dovrebbe essere il Giro dell’Emilia, dove non troverà alcune delle più forti, impegnate negli europei in Drome Ardeche. Sarà un debutto probabilmente soft, ma è probabile che le pendenze di San Luca le ricordino che in fondo sempre di una scalatrice si tratta…

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel dopo il traguardo

Il mondiale a ostacoli di Evenepoel, tra iella e grandi gambe

29.09.2025
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KIGALI (Rwanda) – Dopo l’arrivo, mentre Pogacar ancora faceva festa con la squadra e la compagna, Remco Evenepoel è andato a sedersi contro una transenna con la testa fra le mani (foto di apertura). Il secondo posto brucia, il fatto che sia stato scatenato da un problema meccanico, lo rende anche più pesante. Sul podio il belga aveva un sorriso vagamente mesto, ma gradualmente ha recuperato il senso delle cose. Dopo aver vinto l’oro nella crono, il belga ha centrato l’argento su strada. Se esistesse una classifica combinata fra le due discipline, sommando i distacchi fra crono e strada, il leader nella sfida contro Pogacar sarebbe ancora lui, con margine di 1’09”. Meglio sorridere e fare buon viso a cattivo gioco.

La sua giornata è stata variopinta, come lo è stata la sua settimana. E’ iniziata con la crono stellare in cui ha imposto la sua legge anche su Pogacar. E’ proseguita con una conferenza stampa piena di sicurezza e con un’affermazione sugli italiani che si è prestata a interpretazioni poco simpatiche. Quando la corsa è partita, lo abbiamo visto fermarsi e infilarsi in un WC chimico. Poi ha cambiato per due volte la bici, con tanto di scena stizzita diventata ormai virale sui social. E alla fine, rimesse le cose in pari, si è espresso in un inseguimento così potente da aver tolto di ruota Ciccone in pianura e discesa e non in salita. La sua giornata l’ha spiegata lui quando, ultimo dei tre del podio, è venuto a raccontarsi davanti alla platea dei giornalisti.

Perché quei minuti sconsolati dopo l’arrivo?

Forse dopo la guarderò con occhi diversi, ma al momento non mi sento benissimo.

Che cosa è successo da farti cambiare per due volte la bici?

Prima del Mount Kigali, sono finito in una buca della strada e la sella si è abbassata, tanto che stare seduto è diventato un problema. Poi è cominciata la salita e i crampi ai muscoli posteriori della coscia si sono fatti sempre più forti. Non è stato il massimo. E una volta che Tadej ha sferrato il suo attacco, cosa che sapevo sarebbe accaduta lì, ho avuto dei crampi e non riuscivo a spingere bene. Potrebbe sembrare strano, ma è così che funziona quando si cambia posizione drasticamente. Finché ho trovato dei compagni di squadra e ho detto loro che dovevano riportarmi dentro, ma che al traguardo avrei dovuto cambiare bici.

Primo cambio: e poi?

Al box mi hanno passato la terza bici, che non uso molto. Sentivo che aveva la sella troppo orizzontale e che iniziava a darmi molti problemi alla parte bassa della schiena, a causa dei miei infortuni del passato. Quindi non sono riuscito a farci neanche un giro, perché ero davvero in difficoltà. A quel punto mi sono fermato per prendere la seconda bici dall’auto. Sfortunatamente in quel tratto c’erano alcuni corridori staccati e un po’ di traffico, quindi ho dovuto aspettare un po’ per la macchina. Una volta presa la bici, ho sentito che ero nella posizione giusta e tutto girava correttamente. Così sono rientrato in gara e ho concluso con un secondo posto.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel con BEn Healj e atias Skjelmose
La compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibile
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel con BEn Healj e atias Skjelmose
La compagnia di Healy e Skjelmose dopo un po’ non è bastata e Remco li ha staccati, ma Pogacar era imprendibile
Hai pensato anche solo per un secondo di ritirarti?

Sì, l’ho pensato. Ero fermo, con la bici rotta. Guardavo con stupore il mio distacco che ormai era di 1’45”. A quel punto mi sono chiesto: perché continuare? Mancavano ancora cinque giri o qualcosa del genere, per cui è stata dura. Poi però ci siamo ritrovati tra le ammiraglie, almeno fino a che c’è stato il barrage e così sono tornato nel gruppo. Con il secondo cambio di bici, mi sentivo di nuovo meglio, le gambe giravano e avevo meno crampi. Ho sentito che c’era ancora un po’ di potenza e qualcosa da fare. Ovviamente in quel momento il distacco era già troppo grande per colmarlo, perché sappiamo tutti che se Tadej prende vantaggio, non rallenta. Siamo bravi cronomen, sappiamo come mantenere un certo margine. Quindi, la gara in quel momento era già persa, potevo solo sperare nel meglio e puntare al massimo.

Sei andato fortissimo, sapevi di stare così bene?

Credo di essere andato piuttosto forte, ma Tadej ancora una volta ha fatto una corsa fenomenale ai campionati del mondo. Ero frustrato perché sapevo che oggi sarebbe potuta andare diversamente senza i problemi alla bici. Penso che se non avessi avuto i crampi sul Mount Kigali, sarei riuscito a stare al passo con lui e Del Toro. E a quel punto la gara sarebbe finita, perché in tre saremmo arrivati davvero lontano. Le gambe c’erano, ma ho avuto anche un po’ di sfortuna.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel all'arrivo
Evenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto simili
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel all'arrivo
Evenepoel ha mantenuto pressoché invariato il suo ritardo da Pogacar, segno di due andature piuttosto simili
Ti accorgi che il gap da Tadej è sempre più sottile?

Mi rendo conto che il mio livello è salito. Oggi sono finito dietro Pogacar, ma non a tre minuti come al Lombardia dell’anno scorso. Sono rimasto dietro di un minuto e non sono diventati tre. L’ho inseguito andando alla sua stessa velocità. A un certo punto abbiamo perso terreno in tre. Io stavo lavorando molto, invece sentivo che Ben e Matthias (Healy e Skjelmose, ndr) ci stavano rallentando ed è per questo che ho deciso di provarci sulla cima della salita del golf. E alla fine ho sempre mantenuto lo stesso distacco. Mi sento abbastanza bene e spero di poter mantenere questa forma la prossima settimana agli europei e poi anche al Lombardia. E’ una gara che prima o poi nella mia carriera mi piacerebbe vincere.

Alcuni corridori hanno detto che si è trattato della gara più dura della loro carriera.

Per me no, per esempio Glasgow fu qualcosa di completamente diverso perché eri sempre in salita. Certo, il tratto sul pavé alla fine ha reso tutto davvero difficile, perché inizi a essere stanco e poi hai di nuovo quel pavé e ancora quel pavé e ancora, ancora, ancora. Non era una cosa che mi infastidisse, ma alla fine ho iniziato a odiarla. Non mi è sembrata la gara più dura, probabilmente perché sono in ottima forma.

Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel, affaticato dopo l'arrivo
Dopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusione
Campionati del mondo 2025, Kigali, Remco Evenepoel, affaticato dopo l'arrivo
Dopo il traguardo, Evenepoel non ha voluto altro che un angolo di asfalto per sedersi a smaltire fatica e delusione
Perché a un certo punto hai dovuto andare in un bagno chimico? Problemi di stomaco?

Dovevo fare pipì e non ho osato farla da qualche altra parte per paura che mi squalificassero. Ma poi, dopo qualche chilometro, ho visto tre australiani che la facevano sul ciglio della strada. E allora mi sono chiesto: perché non l’ho fatto anch’io? Però è vero che negli ultimi giorni ho avuto qualche problema di stomaco, non serve che vi spieghi cosa (ride, ndr). All’inizio della gara è andata abbastanza bene, ma appena ho cominciato a mandaregiù dei gel, ho avvertito un po’ di crampi allo stomaco. Ma non mi hanno frenato, solo che dopo l’arrivo sono dovuto correre in bagno per sfogarmi, diciamo così. Penso di non essere il primo e neanche l’ultimo in questa trasferta ad avere problemi di stomaco.

Vincere il campionato europeo di domenica prossima potrebbe riequilibrare la situazione?

L’ultimo mese della mia stagione ha da tempo tre obiettivi: il mondiale di Kigali, gli europei in Ardeche e il Lombardia. La maglia degli europei è anche l’unica che manca dal mio armadio, quindi nel prossimo fine settimana avrò molta motivazione. Ma non cerco la vendetta, è solo un obiettivo molto ambizioso e mi sento pronto. Quindi spero di riprendermi bene e poi ci riproveremo.

Campionati del mondo, Kigali 2025, Elisa Longo Borghini, Ursk Zigart si scambiano la maglia nello stesso hotel

Sabato gli europei, Elisa prova a cancellare l’amarezza

28.09.2025
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KIGALI (Rwanda) – Di tutto e di niente. Dopo un brutto giorno come quello di Elisa Longo Borghini ai mondiali, sarebbe comprensibile se non avesse voglia di parlarne. La corsa è andata. La cena è finita da poco. E durante il brindisi per l’argento di Chantal Pegolo, lo sguardo di Elisa era mogio. Forse aveva sognato di essere lì anche lei, davanti a tutti, con una bottiglia da aprire e i ringraziamenti da fare. Un motivo per sorridere gliel’ha offerto Urska Zigart, cui la Longo ha proposto uno scambio di maglie.

«Mi piace il colore di quella slovena – dice mentre aspetta la signora Pogacar – non ce ne sono tante di questo colore, anzi direi che è unica nel gruppo».

Campionati del mondo, Kigali 2025, Elisa Longo Borghini, Ursk Zigart si scambiano la maglia nello stesso hotel
Scambio di maglia con reciproco autografo: la maglia di Urska Zigart sarà il solo souvenir di Elisa Longo Borghini dal Rwanda
Campionati del mondo, Kigali 2025, Elisa Longo Borghini, Ursk Zigart si scambiano la maglia nello stesso hotel
Scambio di maglia con reciproco autografo: la maglia di Urska Zigart sarà il solo souvenir di Elisa Longo Borghini dal Rwanda

L’obiettivo europeo

Quando Urska arriva, le due iniziano a parlare fitto, probabilmente della gara. La slovena è arrivata poco indietro rispetto all’azzurra, in quella corsa da mal di testa in cui a un certo punto è diventato difficile persino capire la composizione dei gruppi. Noi intanto ragioniamo fra colleghi: se la Longo era il capitano, perché a Malcotti non è stato chiesto di fermarsi e aspettarla? Hanno detto tutti che non si capisse nulla, Velo ha cercato di passare con l’ammiraglia. E’ un peccato: la trentina non aveva possibilità di risultato, aiutare Elisa avrebbe tenuto mezza porta aperta. Quando le due si salutano, il divano diventa il luogo giusto per mettere ordine nei pensieri o almeno provarci. Il mondiale è andato, gli europei bussano alla porta. 

«Il 29 settembre, domattina arrivo in Italia alle 5,50 – spiega Elisa – e il 2 ottobre parto in macchina per andare agli europei in Ardeche. Per me questa delusione diventa di sicuro una grande rabbia. Adesso mi ci vuole una bella dormita, domani farò una sgambata e poi mi passerà. Anche perché, in fin nei conti, è una corsa di bici. Una corsa importante, chiaro, su cui ho investito parecchio ed è sfumata così. Non sono mancate le gambe, non mi hanno staccato in cento. E’ stata una corsa strana, però bisogna guardare avanti perché indietro non si può tornare e ho davanti un altro grande obiettivo. Penso che l’europeo sarà una bella corsa. Le condizioni meteo saranno diverse, saranno quelle che piacciono a me. E sarà anche un’altra gara, perché sarà dura in maniera diversa».

Campionati del mondo, Kigali 2025, Elisa Longo Borghini, BArbara Malcotti con i media dopo l'arrivo
Longo Borghini e Malcotti hanno fatto corsa individuale nel finale: Elisa era il capitano, si poteva fare diversamente?
Campionati del mondo, Kigali 2025, Elisa Longo Borghini, BArbara Malcotti con i media dopo l'arrivo
Longo Borghini e Malcotti hanno fatto corsa individuale nel finale: Elisa era il capitano, si poteva fare diversamente?

Le lavagne di tedeschi e svizzeri

La hall dell’hotel ha quattro angoli, con divani e piccoli tavoli su cui già da qualche giorno i più giovani giocano a carte. Stasera ci sono da una parte gli under 23 con Finn mezzo disteso con le carte in mano. Accanto, su altri divani, le ragazze della squadra elite parlano con Chantal Pegolo, che hanno adottato. I discorsi arrivano ovattati, mentre Longo Borghini va avanti nel ragionamento.

«Mi sono adattata abbastanza in fretta al clima – dice Elisa – perché arrivavo dal Teide dove c’era un clima molto simile. Non riesco a dare nessun’altra spiegazione alla corsa di oggi, se non l’estremo tatticismo. Sappiamo tutti che si corre senza radio, ce ne siamo fatti una ragione ed è inutile lamentarsi. Però dico che oggi le radio sarebbero state molto importanti. Non si trattava nemmeno di preparare meglio o peggio la corsa a tavolino, perché onestamente è stata la gara più strana di tutta la mia carriera. Ancora più strana delle Olimpiadi di Tokyo 2021. Per capire la situazione, mi affidavo tanto alla lavagnetta della nazionale tedesca e a quella della Svizzera. Cercavo di leggere un po’ anche i riferimenti che davano alle olandesi, ma non mettevano i distacchi. E’ stata veramente una corsa senza logica, strana. Veramente in tutta la mia carriera non ho mai fatto una corsa così strana».

Campionati del mondo, Kigali 2025, Marco Velo commenta la corsa suito dopo l'arrivo
Velo ha tenuto a fare il debriefing con le azzurre, prima di dare la sua opinione sul mondiale
Campionati del mondo, Kigali 2025, Marco Velo commenta la corsa suito dopo l'arrivo
Velo ha tenuto a fare il debriefing con le azzurre, prima di dare la sua opinione sul mondiale

L’umiltà di Velo

Con la maglia verde di Urska Zigart nelle mani, il ragionamento inizia a virare verso gli europei di sabato prossimo. La squadra sarà praticamente simile a quella di Kigali. Velo ne aveva parlato prima delle convocazioni: su due percorsi così simili, la possibilità di scelta è limitata, per cui ad alcune delle ragazze di qui sarà richiesto il doppio impegno.

«Marco deve ancora darci la conferma – conferma Elisa – ma la squadra per l’Ardeche sarà molto simile. Tranne un paio, saremo le stesse. Con il nuovo cittì mi sto trovando bene. C’è sempre un buon dialogo, un costante scambio di opinioni, con messaggi e anche telefonare. Mi è piaciuto molto il fatto che dopo la corsa ci siamo seduti, ci siamo messi a discutere tutti insieme su cosa è andato bene e cosa è andato male. E’ una cosa che normalmente succede nella squadra di club, mentre nelle nazionali non è all’ordine del giorno. E sono anche contenta che oggi nel briefing ci abbia detto che ha bisogno di noi, perché questo per lui è un mondo un po’ nuovo, dato che arriva dalle cronometro. Ha detto che è bello poterci parlare e avere la nostra opinione, perché deve imparare tanto. Non è una cosa scontata da un commissario tecnico e questa cosa gli fa onore».

Si guarda intorno. Voglia di giocare a carte o stare in compagnia ne ha poca. Si alza, si scusa, ma ha sonno e vuole andare a dormire. Jacopo Mosca, suo marito, ha provato a tirarla su, ma da corridore e conoscendola, si è limitato a dirle che può capitare e ad offrirle un obiettivo. Sabato si corre, per fortuna non c’è tanto da aspettare. Non resta che tornare a casa per ricaricare le batterie, poi guidare fino in Francia.

Campionati del mondo, Kigali 2025, squadra azzurra professionisti allenamento

Il giorno dei pro’: i pensieri di Villa a poche ore dal via

28.09.2025
6 min
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KIGALI (Rwanda) – I corridori si sono alzati da tavola intorno alle 21 e lentamente si sono avviati verso la riunione. La corsa partirà alle 8,45 e per Marco Villa sarà il primo mondiale come cittì della strada. L’incarico più inatteso, accettato un po’ per senso di responsabilità e un po’ per sfida, è arrivato alla prima verifica. Per questo il cittì dei due ori su pista, dei tanti mondiali e dal palmares che ne fa a buon diritto uno dei tecnici azzurri più vincenti dello sport italiano, ieri sera tradiva la comprensibile tensione.

«E’ una gara diversa – diceva – le finali in pista te le soffi in quattro minuti, questa volta ho sette ore, spero (un sorriso, ndr). Però è stato una bel percorso, ci arrivo naturalmente con poca esperienza ed è inutile nasconderlo. Il mondiale su strada l’ho vissuto da collaboratore, ma il giorno prima andavo a vedere le altre gare con la radiolina per aiutare gli altri. Oggi sono stato qua con la mia squadra. Sono uscito con loro, li ho seguiti in macchina. Abbiamo parlato di tutto, abbiamo fatto una bella giornata assieme (in apertura un’immagine da Instagram, ndr). Adesso facciamo la riunione. Per me è una prima volta, sicuramente non è stata la routine di un commissario tecnico navigato».

Villa è anche tecnico delle crono. Ha sfiorato il podio con Finn e il 4° posto è venuto anche nel mixed relay: qui con Venturelli e Trinca Colonel
Campionati del mondo 2025, Kigali, Federica Venturelli, Monica Trinca COlonel sfinite dopo il team mixed relay
Villa è anche tecnico delle crono. Ha sfiorato il podio con Finn e il 4° posto è venuto anche nel mixed relay: qui con Venturelli e Trinca Colonel

La nazionale da rifare

La nazionale che aveva disegnato quando ne parlammo poche settimane fa ha subito qualche grosso scossone. Con Pellizzari, Caruso e Tiberi attorno a Ciccone, l’impatto sarebbe stato diverso. Invece si è trattato di immaginare nuovamente un’intelaiatura e tirare su la struttura più solida possibile.

«Sicuramente – dice Villa – mi dispiace per Caruso e Pellizzari, per l’incidente alla mano e il malanno. Per Tiberi invece mi dispiace perché l’ho sentito un po’ demoralizzato, la stagione non è andata benissimo. Erano tre con cui volevo iniziare a lavorare anche perché avremo per tre anni un mondiale con queste caratteristiche. Caruso per l’esperienza, Pellizzari per fargli fare esperienza e Tiberi per vederlo e responsabilizzarlo anche nelle gare di un giorno. Farlo crescere come uomo della nazionale. Anche se si sta specializzando tanto nelle gare a tappe, per me può lavorare anche a quelle di un giorno e questa era l’occasione per fare un gradino in più».

Campionati del mondo, Kigali 2025, percorso gara in linea professionisti
Al chilometro 163,5 arriva la scalata di Mount Kigali. Poi negli ultimi 5 chilometri il pavé di Kimihurura

La carta Bettiol

Il processo, tanto lodato da Ciccone, ha visto il tecnico e il capitano lavorare fianco a fianco per la scelta degli uomini. Una grossa responsabilità per l’abruzzese e per lo stesso Villa. Sono lontani gli anni di Alfredo Martini e anche quelli di Ballerini, in cui l’abbondanza di uomini vincenti ai massimi livelli poteva permettere di giocare più carte.

«Mi ricordo anche io i tempi di Martini – sorride Villa – che aveva cinque capitani e doveva metterli d’accordo. Bravissimo, è stato un grande a metterli d’accordo e a volte aveva i suoi problemi. Noi abbiamo dei nomi che mi piacciono, dei giovani che stanno crescendo. Magari fra cinque o sei anni, sperando di esserci ancora (sorride, ndr), questi giovani saranno cresciuti e mi metteranno in difficoltà. Per quest’anno abbiamo Ciccone e credo che per un mondiale come questo fosse dall’inizio uno dei possibili leader. Avevo parlato anche con Bettiol, ma mi ha detto subito che lo considerava troppo duro. Se avesse avuto la gamba di questi giorni, forse mi avrebbe detto di sì. Però quando abbiamo parlato al campionato italiano, non si sentiva bene, non aveva un buon feeling e probabilmente non ha voluto mettermi in difficoltà occupando un posto che non si sentiva».

Ciccone e i suoi fratelli

La squadra è così nata una volta e poi è rinata una seconda e solo lui sa quante ne avrà fatte e disfatte nei suoi appunti e nei suoi pensieri. La strada non è la pista, in cui la consapevolezza dei tempi ti offre la proiezione del risultato possibile. Su strada puoi avere il più forte e dominare, come pure rimanere ingabbiato in una corsa insignificante, come quella delle donne elite, in cui le migliori si sono neutralizzate a vicenda.

«Non sapendo come avrei interpretato la corsa – concorda Villa – ho preferito ragionare sul percorso. La Vuelta ci ha fatto vedere che Ciccone sta bene, dopo essere stato secondo a Liegi e aver vinto San Sebastian. Non ha fatto un anno in sordina, al contrario è stato sempre vicino ai più forti di questa stagione. E quelli sono tutti qui a Kigali e Giulio se la dovrà giocare con loro. Abbiamo Frigo, che alla Vuelta ha fatto un secondo dietro Ayuso e un terzo e aveva anche vinto al Tour of the Alps. Fortunato al Giro d’Italia era in fuga quasi tutti i giorni e ha vinto la maglia azzurra dei GPM. L’ho visto molto impegnato e professionale nella ricerca della forma del Giro. Sappiamo tutti che non è matematica, però ha cercato di arrivare qua nelle migliori condizioni. Cattaneo e Sobrero mi servivano anche per la cronometro e il mixed relay. Bagioli alla Vuelta c’è stato ogni volta che Ciccone ne ha avuto bisogno. Quindi le scelte sono state fatte anche in base a questi ragionamenti».

Campionati del mondo, Kigali 2025, festa e brindisi in hotel per la vittoria di Lorenzo Finn
Questo il brindisi per Finn, ieri per Chantal Pegolo: nell’hotel degli azzurri ora si aspettano soltanto i pro’
Campionati del mondo, Kigali 2025, festa e brindisi in hotel per la vittoria di Lorenzo Finn
Questo il brindisi per Finn, ieri per Chantal Pegolo: nell’hotel degli azzurri ora si aspettano soltanto i pro’

Presenti nelle fughe

Con questo mosaico, si va alla sfida su un percorso che inizialmente è parso durissimo. Poi ha continuato a fare selezione, mostrando però delle lunghe fasi di recupero. Sta di fatto che, nonostante non si passi più di tanto tempo in salita, gli arrivi sono stati tutti… centellinati come a capo di tappe di montagna. Un percorso che scava e presenta il conto alla fine: aperto ad azioni solitarie, come pure a colpi di mano sull’ultimo strappo in pavé di Kimihurura.

«Noi non dobbiamo nasconderci – dice Villa – dobbiamo essere là, magari anche anticipare. Non è facile, vediamo come sarà la partenza, però se va via una fuga importante ci dobbiamo essere. Non corriamo per nasconderci. Giulio invece dovrà gestirsi guardando quei 7-8 che potrebbero essere alla sua portata».

Campionati del mondo, Kigali 2025, colore, tamburi, tifosi
Il suono dei tamburi è assordante: il tifo sta diventando molto caloroso. Oggi il gran finale
Campionati del mondo, Kigali 2025, colore, tamburi, tifosi
Il suono dei tamburi è assordante: il tifo sta diventando molto caloroso. Oggi il gran finale

Non avendo le radio con cui correggere eventuali imprevisti, sarà tutto nella capacità dei corridori di parlarsi in corsa e di entrare in azione nei tempi concordati. Il fatto di avere un leader riconosciuto potrebbe essere un vantaggio. Il rischio è che la corsa si disperda in mille rivoli prima che abbia trovato un senso: la presenza di Pogacar, Evenepoel e di quelli che dovranno tenerla in mano sarà certamente un fattore a nostro vantaggio.

Kigali, Rwanda 2025, respirazione, fatica

Quota e clima tropicale: Giorgi spiega le difficoltà di Kigali

26.09.2025
4 min
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In questi giorni in Rwanda molti atleti hanno manifestato difficoltà respiratorie. Una sorta di affanno latente che si accentua in fase di sforzo. Kigali si trova ad una quota di montagna medio-alta, superiore ai 1.550 metri.

Di questo affanno si sono fatte più ipotesi, tra cui la ionizzazione dell’atmosfera, che ai poli e all’Equatore, dove si trova quasi perfettamente Kigali, è accentuata. O anche la qualità dell’aria. Aria che invece risulta essere piuttosto buona per una città africana, simile a quella di una media città europea. Non è però elevata come a Lubiana o Lisbona, per fare un paragone.

Per fare chiarezza in merito a questa situazione, abbiamo chiamato in causa il dottor Andrea Giorgi, medico impegnato in attività di ricerca e in forza alla VF Group-Bardiani.

Andrea Giorgio, è medico e coach, della VF Group-Bardiani. E’ molto attivo anche nella ricerca
Andrea Giorgio, è medico e coach, della VF Group-Bardiani. E’ molto attivo anche nella ricerca
Dottore, i corridori avvertono difficoltà respiratorie. La latitudine, oltre all’altitudine, può incidere? Ci sono altri fattori ambientali?

Il discorso è che siamo sopra i 1.000 metri, ma in un’area tropicale. Quindi umidità e quota. A parità di quota rispetto all’Europa, il clima è diverso e due fattori incidono sulla condizione fisica e sulla prestazione. L’altitudine non è poi così bassa: a Kigali si sta tra i 1.500 e i 1.600 metri. Da quella quota in su, ogni 1.000 metri, il VO2 max si riduce di circa il 5-10 per cento.

Quindi il clima ha un ruolo determinante?

Esatto. Non è il clima secco tipico delle zone europee di altitudine, ma un clima tropicale, con umidità molto più elevata. Questo fattore influisce sensibilmente sulla prestazione. L’atleta, muovendosi, produce calore e cerca di disperderlo con la sudorazione. In un clima umido, però, la dispersione del calore tramite sudore è ridotta perché l’aria è già satura di vapore acqueo. Di conseguenza, la temperatura corporea resta più alta e l’atleta si affatica più rapidamente. Questo porta anche a una disidratazione precoce, soprattutto nei primi giorni. Ecco perché un acclimatamento adeguato è fondamentale.

Kigali sorge a 1.567 metri, sul filo dell’Equatore. Il tasso di umidità in questi giorni di sole ha toccato anche il 96% (depositphotos.com)
Kigali sorge a 1.567 metri, sul filo dell’Equatore. Il tasso di umidità in questi giorni di sole ha toccato anche il 96% (depositphotos.com)
Ma quanto è reale questa fatica? C’è anche un aspetto psicologico?

E’ reale ed è un fattore fisiologico, anche se difficilmente quantificabile. Dipende dal percorso di acclimatamento dell’atleta. Se uno arriva e sente di non riuscire a spingere, entra in un circolo vizioso: la prestazione cala, non riesce a reintegrare i liquidi persi, subentra disidratazione e la sensazione peggiora. Poi può esserci anche una componente psicologica, che può amplificare il problema, ma la base è fisiologica.

Idratazione e acclimatamento sono le chiavi per affrontare la situazione?

Assolutamente sì. L’acclimatamento è fondamentale: senza, non riesci a gestire bene lo sforzo. Ad esempio, Remco Evenepoel è arrivato in Rwanda con un certo anticipo, mentre Tadej Pogacar è passato dai 19-20 gradi del Canada, al livello del mare, a un clima tropicale in quota. Un cambio così netto può rappresentare un piccolo shock ambientale. Non a caso, lui stesso e il suo staff hanno detto che domenica andrà meglio, proprio pensando all’acclimatamento.

Questa mattina al via, Lorenzo Finn si bagnava per refrigerare il corpo. Con questa umidità la temperatura percepita è amplificata
Questa mattina al via, Lorenzo Finn si bagnava per refrigerare il corpo. Con questa umidità la temperatura percepita è amplificata
Quindi alla fine la quota influisce in modo concreto? Non si sarà ai 1.800 metri di Livigno, ma neanche così bassi…

Influisce eccome. Sopra i 1.000 metri il VO2 max cala e questo condiziona la prestazione. Nello sprint secco, invece, l’aria rarefatta aiuta. Pensiamo al famoso 19″72 di Mennea a Città del Messico, a quasi 2.000 metri di quota. Ma se parliamo di sprint ripetuti, o di sforzi prolungati, già dai 1.500 metri si sente la differenza e la fatica aumenta.

Anche i massaggiatori hanno segnalato corridori più affaticati. A livello muscolare: può esserci un legame?

Sì, perché se l’atleta si affatica di più e non si idrata a sufficienza, l’affaticamento generale si ripercuote anche sull’apparato muscoloscheletrico. I muscoli possono risentirne e accumulare più stanchezza del normale.

Campionati del mondo Kigali 2025, strada donne U23, Eleonora Ciabocco

Ciabocco, la rabbia è giusta: questo quarto posto ci va stretto

25.09.2025
4 min
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KIGALI (Rwanda) – Eleonora Ciabocco arriva nella zona mista e non toglie gli occhiali. Ha pianto e avrebbe voglia di farlo ancora. Non come si piange quando hai perso un giocattolo, ma per la rabbia di aver visto sfumare una medaglia che era alla sua portata. Da sola contro le altre. Messa in mezzo dalle due francesi. Eppure fredda al punto di aspettare e giocarsi la medaglia nel finale. La frase più bella la dirà quando avrà raggiunto Marco Velo sotto al box vuoto dell’Italia.

«Pensavo di aver vinto la volata – ha detto la marchigiana, grande protagonista al Tour de l’Avenir – un metro dopo l’altro e invece l’ho vista spuntare. Sarei una bugiarda se dicessi che non mi girano le scatole. Se non mi muovevo io, il podio era bello che andato. Invece mi sono mossa, ho rischiato ed è andata male. Cavoli se mi girano le scatole…».

Non sono le scatole, ma non sta bene scrivere sempre tutto. Soprattutto a capo di una corsa che ha visto la sola azzurra in gara scaltra e protagonista. E’ anche riuscita a rientrare dopo un passaggio a vuoto e ha fatto quello che si era detta con Marco Velo prima della partenza: «Oggi per fare bene, bisogna rischiare. Oppure ce la giochiamo in volata».

Bunel nel mirino

Parla Eleonora e racconta. L’avevamo intercettata al mattino, piena di ottimismo e voglia di menare le mani. Per andare a scaldarsi, era uscita dall’area recintata e un militare non voleva farla rientrare. Nonostante avesse il numero e il chip sulla bici, non aveva preso il pass. Glielo ha dovuto mandare Velo con whatsapp, altrimenti la corsa sarebbe partita e lei sarebbe ancora là cercando di spiegare il suo diritto di passare.

«Ho pianto perché mi dispiace – spiega l’atleta del Team PicNic PostNL – perché si stava mettendo nel modo giusto. All’inizio non mi sentivo benissimo, poi quando la gara è diventata più dura, ho iniziato a stare meglio. Ho visto la Ferguson saltare abbastanza presto, nonostante pensassi che fosse imbattibile. Penso che un podio me lo sarei meritato. Negli ultimi metri sono andata a tutta, sapevo che era un rischio, ma l’ho voluto prendere perché ho visto il podio vicino. Se ci avessi pensato, non avremmo ripreso la Bunel. Ci siamo riuscite solo alla fine. Mi rompe perché ogni volta sembra che la ruota giri solo per le altre e non per me. Tutti dicono che ci saranno altre occasioni, ma a me questa cosa inizia a dare sui nervi».

Il quarto posto brucia

Uno scricciolo di nervi e muscoli, con lo stesso accento di quel Pellizzari che alla fine ha dovuto fare forfait, sostituito però da Garofoli da cui lo divide il confine provinciale: uno di Macerata, l’altro di Ancona. La presenza di una donna U23 al mondiale suona come uno sforzo economico della Federazione e insieme (forse) come una beffa. Magari nessuna sarebbe arrivata in finale con Ciabocco, ma ne siamo sicuri?

«Se sai correre – dice – riesci a muoverti anche da sola. Anzi, proprio per questo, quando c’erano degli attacchi, dicevo che non potevo tirare un metro. Ieri ho chiesto a tutte le elite quello che avrei potuto fare e come. Però mi dispiace, perché prima ho fatto un grande sforzo per rientrare quando avevo perso qualche metro sullo strappo. E poi perdere così è proprio brutto. Perché ho fatto la volata da seduta e Paula Blasi in piedi? Non è che non avessi le gambe. Lei mi è rimasta a ruota e io invece sono andata semplicemente a tutta. Lei ha fatto bene, ma nessuno ha voluto muoversi. E mi sono detta: meglio che proviamo a prendere la Bunel, piuttosto che non fare nulla. Sono andata benissimo, non posso lamentarmi, ho fatto una bella stagione. Però penso che il quarto posto sia il peggior piazzamento che uno possa fare».

Sembrerà una frase fatta, ma la sostanza è tanta e la grande occasione arriverà. Ciabocco si asciuga, infila una maglietta pulita e all’albergo ci torna in bicicletta. Avrà tutto il tempo di rivedere la volata e sbollire la rabbia e la delusione. Nonostante qualcuno dica che gli italiani perdono le corse ma non il sorriso, oggi abbiamo visto un’atleta nata per lasciare il segno. La ruota gira ed è bello che lei per prima sia stufa di sentirselo dire.

Pogacar incontra i media e basta una domanda per definire il suo stato d'animo. Vuole vincere. Forse non ha neppure il dubbio. Domenica si combatte

Pogacar, Evenepoel e quel sorpasso da ricacciargli in gola

25.09.2025
7 min
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KIGALI (Rwanda) – Gli giriamo l’osservazione fatta ieri da Ciccone parlando della crono di domenica. Cioè che guardando il sorpasso di Evenepoel, Giulio ha immaginato il nervosismo e la voglia di rifarsi che potrebbe aver scatenato in Pogacar. Tadej ascolta e annuisce.

«Probabilmente – dice – Remco voleva vendicarsi per il Tour de France, quando è stato raggiunto da Jonas (Vingegaard, ndr) nella crono in salita. Quindi penso che sia stato un bene per lui. Penso che fosse arrabbiato per una cosa, un momento negativo di quest’anno. E allora forse domenica potrà essere il mio turno di arrabbiarmi e mettere da parte quella giornata. Magari non è stata così negativa, ma sento il bisogno di mettere da parte la brutta sensazione di quando qualcuno ti raggiunge».

Il guanto di sfida è lanciato. Sarà un corpo a corpo, pur con la presenza di altri sparring intorno a loro. Resta da vedere se la condizione di Evenepoel potrà reggere l’urto dello sloveno in una corsa così lunga.

Kigali 2025, crono mondiale, Remco evenepoel e Tadej Pogacar
Aveva ragione Ciccone: Pogacar non vede l’ora di far ingoiare questo sorpasso a Evenepoel (immagini TV)
Kigali 2025, crono mondiale, Remco evenepoel e Tadej Pogacar
Aveva ragione Ciccone: Pogacar non vede l’ora di far ingoiare questo sorpasso a Evenepoel (immagini TV)

Passaggio in Africa

Per raggiungere l’hotel della Slovenia, che poi è anche quello dell’Italia, siamo passati effettivamente in Africa. Tutto quello che avevamo visto finora nel media center e lungo il percorso è la versione della domenica. Ma fuori di lì, Kigali ha anche una faccia polverosa e disordinata eppure piena di colori, bellissime ragazze, madri stanche e sguardi scintillanti di bambini. Lasciata l’auto al media center, siamo saliti su una moto-taxi. Ti danno il casco e lo infili senza pensare a quante teste ha protetto. Fornisci l’indirizzo e semmai Google Maps. E per tremila franchi, meno di due euro, ti portano dovunque in modo ben più rapido. Solo che con le strade chiuse per la corsa, i percorsi alternativi mostrano un’altra sfumatura della città.

Pogacar non si è rasato e ha un timido accenno di baffi. Da tempo ha perso lo stupore di quando, ragazzino, si affacciava nel mondo dei grandi. Adesso parla da campione del mondo. Scherza dicendo che l’ultimo allenamento con la maglia iridata l’ha fatto martedì, ma non è certo che non possa accadere di nuovo la prossima. Le domande lo rincorrono, lui risponde a bassa voce. Uros Murn, il commissario tecnico della Slovenia, è seduto accanto e parla per monosillabi. Dice che sono qui tutti per Tadej, ma che Roglic farà un lavoro importante nel finale. Poi il microfono passa al campione.

Campionati del mondo Kigali 2025, bambini, colore
La gente di Kigali ha accolto i mondiali con notevole entusiasmo: soprattutto i bambini
Campionati del mondo Kigali 2025, bambini, colore
La gente di Kigali ha accolto i mondiali con notevole entusiasmo: soprattutto i bambini
Ti consideri il favorito assoluto per domenica prossima, dopo quello che è successo nella crono?

Penso che domenica scorsa sia un po’ diversa da quella che si avvicina. Ovviamente sono venuto qui per la corsa su strada, quindi le aspettative sono alte. Mi aspetto molto dalle mie gambe e anche il risultato dovrebbe essere il migliore possibile. Abbiamo una squadra forte, dovremmo essere considerati tra i migliori in gara.

Ti abbiamo visto duellare con improvvisati tifosi su biciclette pesantissime…

Credo di aver perso qualche sfida. Durante le uscite di scarico, mi hanno sempre battuto. Ma anche quando ho fatto qualche allenamento serio, li ho trovati davvero forti. Mi sono abituato all’ambiente e a tutto il resto. Inizio a divertirmi davvero in bici e penso di aver ricevuto una spinta dall’arrivo dei compagni di squadra. Questo mi dà un’ulteriore carica di energia e motivazione e non vediamo l’ora che arrivi domenica.

Puoi parlare di questo? Il percorso in sé e poi l’altitudine e la qualità dell’aria. E poi cosa ne pensi dell’atmosfera in Rwanda e dei tifosi che hai visto lungo le strade?

Prima di tutto, l’altitudine. Molti la sottovalutano troppo perché non sono 1.800 o 2.000 metri, ma appena 1.500. Però in realtà si percepisce, quindi sono contento di essere arrivato qui in anticipo per stare bene nella gara su strada. L’atmosfera è già fantastica. Quando abbiamo fatto qualche giro sul circuito, era già pieno di gente. Era come in gara. Quanto al posto, è ottimo per allenarsi. Non ci sono molte opzioni, ma le strade sono ottime. Martedì o mercoledì ho fatto uno degli allenamenti più belli di quest’anno. Mi sono divertito molto. Certo il tempo è un po’ diverso rispetto a casa. E’ un po’ strano, fa caldo, ma non è sempre umido. E’ un meteo complicato, almeno in bici. Qui in città ad esempio la qualità dell’aria non è delle migliori. Ma quando ci siamo allontanati, la qualità dell’aria era piuttosto buona e la differenza l’ho sentita.

Nell’incontro di oggi con i media, si è visto un Pogacar molto sicuro: se dubbi c’erano, nessuno li ha notati
Nell’incontro di oggi con i media, si è visto un Pogacar molto sicuro: se dubbi c’erano, nessuno li ha notati
Questo essere così atteso e sentire di voler vincere può portarti a esagerare? Potrebbe essere un rischio?

Può succedere. Quando corri così tanto e corri sempre per la vittoria e hai molti occhi puntati addosso, puoi commettere degli errori. Devi provare anche cose diverse e non puoi correre sempre allo stesso modo.

Ti pesa questo essere al centro del mirino. Chi ti conosce meglio parla di un Tadej nel privato e di un Tadej che si trasforma quando scende in gara.

Direi che più della metà del gruppo è fatta così. Voglio dire, è quello che dobbiamo fare. Nelle gare devi essere determinato, l’adrenalina è alle stelle e per forza sei diverso dal solito te stesso. E’ così anche per me. Fuori dal ciclismo sono un ragazzo normale, normalissimo. E poi in bici faccio quello che meglio mi riesce.

Quale pensi sia la parte di percorso che più ti di addice? E secondo te il muro finale in pavé si può paragonare al Qwaremont rispetto al Fiandre?

Personalmente, credo che sulla carta la parte migliore per me sia la salita più lunga di Mount Kigali. Le due salite successive sono brevi. L’unico problema è che la distanza da Mount Kigali fino al traguardo è piuttosto lunga. Invece non credo che il tratto finale in pavé ricordi un muro delle Fiandre, sono pietre completamente diverse. In Belgio la strada è come una gobba, qui i sassi sporgono e sono a volte più sporgenti e a volte appuntiti. Per fortuna si fanno in salita e non sono pericolosi, la rendono solo più difficile.

Pogacar si è visto più di una volta sul circuito in allenamento. Qui con la compagna Urska
Pogacar si è visto più di una volta sul circuito in allenamento. Qui con la compagna Urska
Dici che c’è la possibilità di attaccare su Mount Kigali?

C’è sempre la possibilità di attaccare ovunque tu voglia, se hai le gambe. Solo è un peccato che lo abbiano messo così presto nel circuito. Sarebbe stato molto più divertente o meno doloroso se fosse più avanti o il prima possibile. Invece è proprio a metà, poco dopo metà gara e sicuramente alcuni penseranno di essere abbastanza vicini da arrivare al traguardo.

Così parlò quello che l’anno scorso attaccò a 100 chilometri dal traguardo…

Sì, ma non puoi farlo ogni volta. Avevo Jan (Tratnik, ndr) davanti nel gruppo di testa, che era di circa 20 corridori. Ho trovato un riparo fra loro e poi ho avuto la forza per fare ancora due giri da solo. Non sono stato solo per tutto il tempo, ho sempre avuto qualche piccolo aiuto, che però non ha reso l’impresa più facile.

Hai un’idea di quali saranno i principali contendenti?

Molti saranno impazienti di attaccare da lontano, altri guarderanno me. Penso a Remco, abbiamo visto che nella cronometro volava e penso che sia in buona forma anche per domenica. Poi ho i miei compagni di squadra della UAE Emirates, anche Del Toro vola (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Poi c’è Pidcock che è uscito bene dalla Vuelta. Però in realtà penso che non dovremmo preoccuparci troppo degli avversari, ma concentrarci sulla nostra gara, perché sarà lunga e difficile. Dovrò risparmiare energie, non solo guardare i miei rivali. Dovremo essere intelligenti sotto ogni aspetto.

Proprio Remco ha detto che il circuito di qui gli ricorda quello di Wollongong, dove ha vinto…

Non è affatto simile, questo è molto più divertente (lo dice con un sorrisino tutto da decifrare, ndr). E’ dieci volte migliore di quello australiano. Senza offesa per gli australiani che lo hanno disegnato, ma non era un buon circuito oppure non faceva per me. So che la gara di domenica sarà molto diversa.

La fuga di Zurigo 2024. Dopo aver trovato Tratnik, Pogacar ebbe collaborazione da Sivakov e poi fece due giri da solo
La fuga di Zurigo 2024. Dopo aver trovato Tratnik, Pogacar ebbe collaborazione da Sivakov e poi fece due giri da solo
Diresti invece che si tratta del circuito più duro degli ultimi anni?

Non lo so, vedremo domenica. Sicuramente sulla carta è la gara più dura, ma il circuito in sé non è poi così difficile. Ci sono due salite principali che non sono lunghissime, ma sono piuttosto ripide e una ha il pavé. Il resto del circuito è veloce in discesa, con un po’ di terreno ondulato. Si può dire che il dislivello si ottenga gratis in questo circuito. Poi aggiungi Mount Kigali nel mezzo, che lo renderà ancora più difficile. Diciamo che è il percorso con più salite degli ultimi anni.

L’Africa, l’altura, il sole… Senti dentro di te l’emozione di far parte di un mondiale mai visto prima?

Già sono stati diversi i preparativi, a partire dai vaccini. Un viaggio lungo, l’ambiente diverso a livello di altitudine e di aspetto. I dintorni sono totalmente diversi dall’Europa. Ma è una bella novità. Penso che sia davvero bello essere venuti anche in Africa. E’ stato più difficile da organizzare per le nazionali, ma direi che per ora sta andando tutto bene.

Quando Pogacar si concede agli sloveni nella lingua madre, mancano venti chilometri all’arrivo delle ragazze U23. Un’altra moto, un altro casco e sfrecciamo verso l’arrivo. La Ciabocco è rientrata nel gruppo di testa. Sarà un po’ uno sbattimento, ma questo mondiale africano inizia a proprio a piacerci.

L’Italia in Rwanda e gli sforzi della Federazione, Dagnoni racconta

20.09.2025
4 min
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SOLBIATE OLONA – Il primo gruppo di atleti è atterrato in Rwanda da un paio di giorni, il 18 settembre, ed ha preso confidenza con la città e i percorsi del mondiale di Kigali. I corridori stanno provando i percorsi e testando l’asfalto che li accompagnerà per i prossimi dieci giorni. Domani, domenica 21 settembre, gli uomini e le donne della categoria elite apriranno le danze con le cronometro individuali. 

Matteo Sobrero e Mattia Cattaneo sfideranno Remco Evenepoel, Jay Vine, Paul Seixas, Isaac del Toro e tutti gli altri. Proprio il messicano ha condiviso una storia sui social mentre, sulla sua bici da crono, era alle prese con il traffico di Kigali, intento a fare una delle ultime sgambate prima della prova di domenica. 

Tra le donne le nostre azzurre, Monica Trinca Colonel e Soraya Paladin, sfideranno Demi Vollering, Kasia Niewiadoma (coinvolta in un incidente che le ha danneggiato la bici) e un’agguerrita Marlen Reusser. 

Uno sforzo per gli atleti

Ai margini della conferenza stampa di presentazione che ha svelato i nomi degli atleti azzurri impegnati a Kigali abbiamo scambiato qualche parola con il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. La Federazione ha dovuto fare i conti con costi elevati, tanto che fino all’inizio di settembre non si era ancora deciso con quanti atleti saremmo andati a correre. Alla fine la decisione presa è stata quella di andare a pieno regime con le nazionali elite, mentre le altre categorie hanno visto un ridimensionamento. Va detto che la nostra sarà una delle nazionali più rappresentate, con 27 atleti al via. 

«L’organizzazione di questo mondiale – ci racconta Dagnoni qualche minuto prima della conferenza stampa – è partita due anni fa, quando Mario Scirea ed io siamo andati alle ultime tappe del Tour of Rwanda. Lì abbiamo compreso come organizzare la logistica in modo da mettere i nostri atleti nelle migliori condizioni. Successivamente ci siamo mossi anche con delle persone locali che ci hanno dato una mano (lo ha confermato anche Roberto Amadio, team manager della nazionale, ndr).

«Una volta capiti i costi di viaggio – prosegue il presidente della Federciclismo – ci siamo mossi per ottimizzare il trasporto e gli alloggi. Rispetto a Zurigo, dove ci eravamo spostati con 85 persone tra corridori e staff quest’anno a Kigali saremo 45. Sarà presente molto meno personale, stressando al massimo chi sarà presente».

Nuovi sponsor

La conferenza stampa di presentazione degli atleti è stato anche il momento per svelare due novità importanti, che hanno dato un contributo importante per la spedizione a Kigali. 

«Lo sforzo della Federazione – dice ancora Dagnoni – è stato reso possibile grazie all’intervento di due sponsor che ci hanno sostenuto: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità. Il primo era già presente sul nostro pullman e a partire da questo evento ha voluto essere presente anche sulla maglia. Due sostegni importanti arrivati all’ultimo, quando si sono accorti che una trasferta del genere era un peccato non poterla onorare con una presenza corposa. Il secondo motivo che ci ha spinti a rivedere le decisioni iniziali (che prevedevano una partecipazione a ranghi ridotti su tutti i fronti, ndr) è la consapevolezza di avere un livello alto. I nostri atleti hanno dimostrato di poter essere competitivi, Ciccone e Pellizzari in primis.

«Per la categoria donne elite – precisa – eravamo già abbastanza determinati nel voler partecipare al massimo del nostro potenziale. Sappiamo che Elisa Longo Borghini rappresenta per noi una garanzia, lo ha dimostrato anche negli anni passati. Andiamo in Rwanda fiduciosi di aver fatto il massimo in ogni categoria, i risultati dei nostri team giovanili lo dimostrano. Abbiamo voluto fare questo sforzo per garantire ai nostri atleti il massimo supporto».