Roubaix Femmes a Jackson, ma grande Ragusa

08.04.2023
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Katia Ragusa scoppia in un pianto liberatorio. Una curva in più dopo l’arrivo, esattamente nel punto in cui dall’altra parte della pista si entra nel velodromo, l’atleta della Liv Racing-TeqFind è a terra che piange e a tratti sorride (sul podio in apertura Jackson, Ragusa e Truyen).

I classici schizzi di fango. Un massaggiatore che le passa salviette imbevute e lei che per una volta ancora spinge il bottoncino della radio e ringrazia tutte le compagne.

Mezza curva prima invece, nello stesso punto di Colbrelli, Alison Jackson si mette le mani sul casco e continua a ripetersi: «I don’t believe it. I don’t believe it (non ci credo, non ci credo)».

Big beffate

E’ stata una Parigi-Roubaix Femmes strana. Un gruppo fin troppo folto che scappa poco dopo il via e prende tanto vantaggio. Le big reagiscono e il destino della fuga sembra segnato. Vengono quasi riprese – 10”, forse meno – ma ecco che nell’ultimo settore di pavé le reduci in testa tornano a guadagnare terreno su Kopecky, Longo Borghini, Consonni…

La canadese è stata la più forte. Negli ultimi 50 chilometri, quando è partito da dietro il contrattacco della super favorita Kopecky lei è quella che ha tirato più di tutte. Si è dannata l’anima. Invitava anche le altre a fare altrettanto. Nel velodromo si è messa davanti, alla corda, e quella posizione non l’ha più mollata.

Alison Jackson (classe 1988) vince la Roubaix Femmes, il successo più importante della sua carriera
Alison Jackson (classe 1988) vince la Roubaix Femmes, il successo più importante della sua carriera

Roubaix canadese

«E’ qualcosa di grande per me, per il Canada, per la squadra – ha detto Jackson – indescrivibile. Durante l’antidoping mi hanno chiesto a chi dedicare la vittoria, ma ero talmente impreparata che non lo sapevo. Adesso, dico alla mia famiglia e alla mia squadra.

«Volevamo andare in fuga. Ho spinto tanto e no… se mi chiedete se volevo arrivare in volata rispondo di no. Non sono forte allo sprint. Ma dopo tanta fatica contano le energie. E comunque non ne avevo per andare via. Sapevo che le altre non ne avevano poi più di me. Lo vedevo».

«Per radio – racconta Tim Harris, il diesse della EF Educationle dicevo che era la più forte. Lei è sempre stata aggressiva. Spesso si è piazzata e oggi ha avuto la possibilità di dimostrarlo. E’ stato importante essere davanti, perché in questo modo poteva andare più tranquilla, rischiare meno e sfruttare la sua forza. Avevo solo paura della piccola salitella nel finale (l’entrata a Roubaix, prima del settore finale in pavè è in falsopiano, ndr), ma nessuna si è mossa».

Coraggio Ragusa

E il fatto di anticipare è stato la chiave anche per Katia Ragusa. Ci viene da ripensare alle parole scambiate stamattina con Elena Cecchini sull’importanza di stare davanti, di anticipare con una fuga, specie se questa è abbastanza folta perché non si spende di più. E così è andata.

«E’ indescrivibile quello che provo – ha detto Ragusa – questa gara è unica. Sono andata in fuga per anticipare i settori di pavé, ma non mi aspettavo di arrivare davanti qui a Roubaix. Siamo partite dopo pochi chilometri. Già al via mi ero posizionata davanti per prendere la fuga.

«Che lacrime sono? Sono lacrime di gioia. Sì, il secondo è il primo dei perdenti. Però dopo la stagione che ho passato l’anno scorso, in cui mancava sempre qualcosa, questo importante piazzamento compensa tutto».

Katia Ragusa (classe 1997) sulle pietre si è trovata a suo agio
Katia Ragusa (classe 1997) sulle pietre si è trovata a suo agio

Mezza ruota

Per capire certe reazioni delle ragazze bisogna essere sul campo. Stare nella corsa. Si è tesi già solo stando all’arrivo da spettatori, figuriamoci da protagonisti.

Alla fine Katia è andata a mezza ruota da un successo clamoroso, di quelli che ti cambiano la vita, almeno quella sportiva. Crederci era lecito. Anche perché davanti non c’erano una Kopecky o una Vos.

«Ci ho creduto, anche perché dall’ammiraglia continuavano a dirmi che potevo correre per la vittoria. Avevo anche provato ad anticipare su un settore di pavè ai -30. Era lontano ma volevo vedere se riuscivamo a tirar fuori un gruppetto più piccolo. In quel momento l’idea era di cercare di arrivare  più vicino possibile all’arrivo».

Lo sprint di potenza della canadese che precede Katia Ragusa
Lo sprint di potenza della canadese che precede Katia Ragusa

Quanta testa

Poi però il velodromo si è avvicinato per davvero. E Ragusa e compagne di fuga erano ancora in testa. 

«Nel momento dell’ingresso al velodromo – continua Ragusa – le gambe erano dure e la fatica si faceva sentire. Ho anche pensato di anticipare la volata, però ho valutato due cose: primo che il margine sulle inseguitrici era buono e secondo che la velocità era ancora alta, pertanto non ce l’avrei fatta ad andare via. A quel punto l’importante era entrare davanti nel velodromo, cercare di tenere le posizioni di testa e poi dare tutto quello che era rimasto.

«Per il resto è andata bene. Anche dal punto di vista tecnico, mi sono trovata a mio agio e fare la recon è stato più che utile. E anche la tattica. Stando davanti c’è stato meno stress. I primi settori li abbiamo presi davvero con tranquillità.

«E adesso cosa cambia? Cambia che un risultato così dà morale. Dà tanto morale. Fare seconda in una classica monumento non me lo sarei mai aspettato quando sono partita stamattina».