Cà del Poggio riunisce i muri del mito. E Ballan racconta

26.07.2025
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Cà del Poggio, Muro di Grammont, Mur de Bretagne: è il nuovo gemellaggio del ciclismo. Un gemellaggio di passione, fatica, pendenze a doppia cifra. Tre muri che uniscono tre simboli, tre templi che raccontano tre epoche del ciclismo. La strada che sale all’improvviso, la folla, la fatica…

Le delegazioni del Muro di Ca’ del Poggio, del Muro di Grammont e del Mur de Bretagne si sono incontrate in occasione della settima tappa del Tour de France.

Da sinistra: il sindaco di Guerlédan Eric Le Boudec, il sindaco di San Pietro di Feletto Cristiano Botteon, il patron del Tour de France Prudhomme e Celeste Granziera

L’idea di San Pietro di Feletto

La rappresentanza trevigiana era guidata da Cristiano Botteon e da Celeste Granziera, che è anche il coordinatore del gruppo di lavoro formato dai rappresentanti dei Comuni in cui si trovano i tre Muri: San Pietro di Feletto per Ca’ del Poggio, Geraardsbergen per Grammont e Guerlédan per il Mur de Bretagne.

«Si tratta di un progetto di cooperazione tra i Muri – ha detto Botteon – un’iniziativa in cui credo molto e che andrà al di là dello sport, per abbracciare tre territori molto diversi tra loro, ma accomunati dalla medesima vocazione per il ciclismo».

Tra rapporti da consolidare e nuove iniziative da pianificare, si è parlato anche di un grande sogno, tutto trevigiano, per la stagione ciclistica 2026: un arrivo di tappa del Giro d’Italia nel cuore delle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, con il Muro di Ca’ del Poggio ancora una volta protagonista.

Il Giro d’Italia è transitato a Ca’ del Poggio anche nell’ultima edizione
Il Giro d’Italia è transitato a Ca’ del Poggio anche nell’ultima edizione

Ballan, nostra guida d’eccezione

E questi tre Muri li raccontiamo con l’aiuto di Alessandro Ballan. L’ex iridato li ha affrontati tutti e tre, tutti e tre in corsa, e uno soprattutto rievoca i ricordi di una vittoria indelebile: chiaramente parliamo del Grammont e del suo Giro delle Fiandre.

Partiamo da Ca’ del Poggio: si tratta di uno strappo di poco più di un chilometro, sulle colline del Prosecco.

«Ca’ del Poggio – dice Ballan – è un muro che ricordo soprattutto per il campionato italiano che vinse Giovanni Visconti. Io quel giorno arrivai terzo, anche se il percorso non era troppo adatto a me, visto che si affrontava per ben 12 volte questo muro. Sì, sono un corridore da classiche, da muri, ma non da corse con 4.000 metri di dislivello. Pensavo di attaccare negli ultimi 2-3 giri, ma trovai un Visconti fortissimo. Nonostante ciò ho un bellissimo ricordo di Ca’ del Poggio. Il mio ricordo è legato soprattutto al tifo: la strada è così stretta e pendente che si va pianissimo, e il tifo della gente ti entra nelle orecchie, lo senti a lungo. E’ qualcosa che non dimentichi facilmente».

Ballan dà anche un occhio tecnico: affrontarlo non è difficile solo per le pendenze, ma anche per come ci si arriva.

«Il muro arriva da una pianura molto veloce. C’è una svolta secca a destra e poi subito una rampa sopra il 20 per cento. Una rampa che fa molto male e che resta ripida fino a quasi sotto il ristorante, il cui proprietario è, diciamo, il vero inventore di questa stradina tra le colline del Valdobbiadene. Tra l’altro, se capitate da quelle parti in bici, fermatevi in quel ristorante: si mangia bene tutto, ma in particolare i piatti a base di pesce. Io apprezzo molto i loro risotti».

Alessandro Ballan sul Grammont: questo scatto lo consacrò tra gli Dei della Ronde
Alessandro Ballan sul Grammont: questo scatto lo consacrò tra gli Dei della Ronde

Da Ca’ del Poggio al Grammont

Passiamo a un altro muro: il Grammont. Questo sì che è un vero tempio del ciclismo, un’icona assoluta. E lo era soprattutto con il vecchio percorso del Giro delle Fiandre, ma ancora oggi è una meta per gli appassionati.

«Il ricordo più forte che mi lega al muro di Grammont – dice Ballan – è legato al boato. Un boato fortissimo che c’era in cima quando si usciva dal tratto duro e ci si avvicinava alla chiesetta di Geraardsbergen. Un boato che apprezzai moltissimo, nonostante fossi un rivale di Tom Boonen e nonostante in volata, in quel Fiandre, battei Hoste che era un belga. Però ero un corridore di fatica. Ho fatto anche molti piazzamenti. E credo che sia grazie a tutto questo che mi sono guadagnato il loro rispetto e il loro affetto».

Il Muro di Grammont è veramente impegnativo. La salita inizia già prima del muro vero e proprio, in paese, tra due ali di folla. Poi la strada si restringe e la pendenza aumenta. Il fondo è in pavé.

«All’inizio – riprende Ballan – il pavé è quello tipico delle Fiandre: pietre molto smosse e distanti tra loro. Questo complica ancora di più la salita. Non si tratta solo di pendenza. Quando invece si esce dalla stradina ripida e ci si avvicina alla chiesa, resta sempre pavé, ma le pietre sono più levigate, compatte e vicine. La fatica non cambia, soprattutto perché al Fiandre lo si affrontava dopo 250 chilometri e le sensazioni cambiavano anche in pochi chilometri. Per esempio, l’anno in cui vinsi non stavo affatto bene. Tentai quasi lo “scatto del morto” come si dice in gergo. Poi mi voltai ed ero da solo. A quel punto le energie tornarono all’improvviso e riuscii a scappare».

Il muro di Grammont misura poco più di un chilometro, la pendenza massima è del 18 per cento e si raggiunge nel tratto centrale, molto stretto (poco più di tre metri). Tutto questo complica la scalata, ma ne fa un simbolo assoluto del ciclismo.

Il Tour sul Mur de Bretagne giusto un paio di settimane fa
Il Tour sul Mur de Bretagne giusto un paio di settimane fa

Finale sul Mur de Bretagne

Chiudiamo con il più giovane: il Mur de Bretagne. Il Tour de France l’ha affrontato per la sesta volta un paio di settimane fa, con la vittoria di Tadej Pogacar. Ballan lo affrontò nel Tour del 2008.

«Ricordo – spiega – che arrivava anche in quell’occasione in una delle primissime tappe, e ricordo che mi sfilai quasi subito. Non avevo affatto belle sensazioni. Tanto è vero che pensai: “Ma chi me lo ha fatto fare? Come ci arrivo a Parigi?”. Invece, tutto sommato, quel Tour andò anche bene».

Tecnicamente è una salita diversa rispetto alle altre due: forse è meno muro e più salita. Le pendenze sono più dolci e la strada in asfalto è molto più larga. L’inizio è abbastanza veloce.

«C’è un tratto centrale di circa 700 metri che fa veramente male. Se ben ricordo, non si scende mai sotto l’11 per cento, mentre il finale è più da rapporto: la pendenza scema un po’. Senza dubbio quello che ricordo del Mur de Bretagne è l’ambiente. Un tifo pazzesco, tantissima gente, anche più rispetto agli altri due muri. E’ il richiamo del Tour, dove il tifo è diverso, da grande evento. Un tifo per tutti, con ali di folla che ti accompagnano dal primo all’ultimo metro. Un tifo per tutti, ma in particolar modo per i francesi: era l’epoca di Voeckler, Chavanel, Pinot. Per loro era veramente un altro mondo».

Pogacar vince, Almeida la scampa e Gianetti omaggia Hinault

11.07.2025
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«Possiamo anche aspettare», così aveva detto Mauro Gianetti questa mattina al via dalla splendida Saint-Malo. E tutto sommato la vittoria numero 101 del suo Tadej Pogacar è arrivata, per dirla in gergo calcistico, di rimessa… per certi versi. Controllo, azione nel punto giusto, volata, braccia al cielo. Minima spesa, massima resa.

La corsa fila via veloce. Una classica fuga: cinque atleti, ma dietro non lasciano troppo spazio. I velocisti si staccano dopo aver racimolato gli ultimi punti rimasti al traguardo volante. E bravo il nostro Jonathan Milan a fare la formichina. E’ così che si porta quella maglia a Parigi, anche se oggi l’ha persa e indovinate chi l’ha presa? Però da domani iniziano delle frazioni veloci e ci auguriamo che il friulano possa riprendersi lo scettro.

Sul Mur de Bretagne grande controllo. Remco guida. Tadej ha un occhio avanti e uno dietro e Vingegaard francobolla la ruota dello sloveno

Pogacar anche sul Mur

Per la sesta volta il Tour de France arriva su questo strappo già iconico. Vincere quassù è quasi una semiclassica. E se si presenta l’occasione, perché non sfruttarla?

Ancora oggi, un po’ come ieri verso Vire, a mettere i bastoni tra le ruote ai progetti difensivi della UAE Team Emirates è stata la Visma-Lease a Bike. Forse oggi davvero la UAE non era troppo interessata alla tappa, o meglio, a non lasciare andare via fughe troppo numerose. Forse Pogacar avrebbe lasciato ancora la maglia a Mathieu Van der Poel. E invece eccola rimbalzargli addosso.

La squadra di Jonas Vingegaard ha ridotto forte il gap a quel punto. Tim Wellens (sempre più un gigante) e Jhonatan Narvaez lo hanno portato davanti nello strappo finale. A quel punto Pogacar non ha speso una goccia di energia in più del necessario per evitare che altri si prendessero tappa e abbuoni. Ha fatto tirare Remco Evenepoel… pensate un po’.

Almeida, che dolore

Ma in tutto questo c’è un neo per la UAE Team Emirates e Tadej Pogacar: la caduta di Joao Almeida. Una caduta, tra l’altro, non troppo chiara. Una delle bici a bordo strada era senza copertone e, al momento dell’innesco del capitombolo, frontalmente si nota una fuoriuscita di aria e liquido. Bisogna capire se la copertura è stallonata per l’impatto o se al contrario questa stessa ha innescato il tutto.

Fatto sta che a pagarne le spese sono stati uomini di classifica importanti. Parliamo di Santiago Buitrago e soprattutto di Joao Almeida, che sembrava aver riportato la frattura del polso.

E non a caso sull’arrivo, appena saputo il tutto, Pogacar non era affatto contento. Era piuttosto preoccupato per Almeida e perché il rischio di perdere un gregario tanto importante non è cosa da poco. Si è visto in questi giorni quanto il portoghese abbia fatto la differenza.

«Per me la giornata è andata alla perfezione – ha detto Pogacar – esattamente come avevamo programmato. La squadra ha fatto un lavoro fantastico. Abbiamo dovuto dedicare molta energia al raffreddamento del corpo, perché faceva molto caldo. E’ stata una tappa veloce e dura. I ragazzi mi hanno lasciato ai piedi della salita. E normalmente, anche Joao sarebbe stato lì, ma è caduto e spero che stia bene. Che dire: sono di nuovo in giallo. Spero che ora avremo due giornate un po’ più facili».

Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard
Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard

I valore dei gregari

Con il ruzzolone e i ritiri di oggi si torna a parlare di cadute. Mattia Cattaneo si è ritirato, sembrerebbe a causa dei postumi della caduta subita nella quarta tappa. Il primo gregario di Remco ha tenuto duro per un paio di giorni, ma oggi è stato costretto ad alzare bandiera bianca.

«Sì – ha detto Evenepoel – Mattia è la mia guardia del corpo abituale e si è ritirato. Era uno dei ragazzi con cui avevo ancora degli impegni. Mi mancherà sicuramente, ma tutto sommato, il suo stop è stata la decisione giusta. Aveva mal di testa e non si sentiva bene, quindi è meglio così. Queste sono le corse».

E anche Pogacar si è espresso su Almeida. «Giornata perfetta? Se Joao sta bene, allora è una giornata perfetta. Se non sta bene, questa vittoria è per lui».

Insomma anche i grandissimi si preoccupano senza i loro uomini più fidati. Badate che questa tappa potrebbe avere un peso specifico nell’economia del Tour de France. Se Almeida non dovesse farcela la Visma avrebbe un vantaggio non da poco. Mentre Remco è davvero solo.

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L’analisi di Gianetti

Avevamo aperto l’articolo con le parole di Mauro Gianetti, CEO della UAE Team Emirates, e con le sue parole lo chiudiamo.

«La prima cosa – ci dice Gianetti – è che Joao sta bene, diciamo così. Ha delle abrasioni, ha un’infrazione a una costola, ma i raggi X hanno escluso fratture. Certo, ha preso una bella botta e sbattere sull’asfalto a 60 all’ora non è mai bello. Ma poteva andare peggio. Pertanto, se la notte andrà bene, domattina dovrebbe partire regolarmente».

Poi si passa alla tattica. Pogacar sembrava quasi disinteressato al successo e, tutto sommato, se ci fosse stato Mathieu Van der Poel a vincere non gli sarebbe dispiaciuto. Forse…

«Disinteressati direi di no – riprende Gianetti – abbiamo provato a giocarci la tappa. Certo, l’importante era non finire la squadra per controllare la corsa. Fortunatamente all’inizio anche Van der Poel e la Alpecin-Deceuninck ci credevano e abbiamo collaborato. Ma occhio però, perché anche se Mathieu e Tadej sono amici, non gli avrebbe lasciato la tappa. Anche perché Vingegaard e Remco erano in agguato. Insomma, Tadej non si sarebbe tirato indietro. Domani e dopodomani ci saranno due giornate semplici, in cui magari si riesce a non spendere troppo».

«E poi – fa una pausa Mauro – alla fine vincere sul Mur-de-Bretagne è qualcosa di iconico. Avete visto quanta gente c’era? Senza contare che siamo a casa del grandissimo Bernard Hinault, e anche questo conta. E’ un omaggio a questo gigante».

«Alleanza trasversale con la Alpecin? Se ieri Van der Poel avesse preso la maglia con 2 minuti magari ci avrebbe aiutato di più, però così non è stato. E alla fine neanche puoi fare troppi calcoli. Oggi se non avessimo vinto noi, l’avrebbe fatto Vingegaard. E sinceramente, meglio stare davanti che dietro».

Gianetti si gode i suoi ragazzi. Parla di un gruppo coeso, di un bell’ambiente: «Li vedo uniti. Sono amici prima ancora che corridori. Tutti hanno ben chiaro l’obiettivo. Penso proprio ad Almeida, che l’altro giorno avrebbe anche potuto vincere, ma si è messo a disposizione. Ha giocato per Pogacar».