Disordini alimentari: «Aprite quelle porte»

19.02.2021
4 min
Salva

L’intervista di ieri a Brajkovic non poteva cadere nel silenzio, soprattutto perché alcuni passaggi del discorso sui suoi disordini alimentari facevano pensare a una elaborazione passata attraverso vari stadi, con il ciclismo come sfondo. Impossibile andare forte a quel modo, senza un briciolo di serenità e senza cibo in corpo. Forse il caso dello sloveno è un estremo, ma se davvero il problema dei disordini alimentari è così diffuso soprattutto fra i giovani, quanti buttano via una promettente carriera, distratti da simili pensieri?

Per questo e per dare un seguito alle parole di Laura Martinelli, ci siamo rivolti a Manuella Crini, psicologa piemontese non nuova al ciclismo, e le abbiamo chiesto di rileggere per noi le parole di Brajkovic.

Che cosa ha pensato leggendo quelle parole?

E’ una bella confessione, ha tirato fuori un mondo sommerso. Si vede anche la mancanza di fiducia nel mondo del ciclismo in cui ha vissuto. Soprattutto il passaggio del medico e del direttore sportivo. Io ti porto un problema, oppure sei tu a scoprirlo e lo fai diventare di pubblico dominio? E’ sbagliato. E’ giusto che il problema coinvolga il team, ma con altri modi.

Wiggins rifiutò di correre altri Tour dopo il 2012 per non dover sottostare agli stessi sacrifici
Basta Tour per Wiggins dopo il 2012, basta con quei sacrifici
Che cosa vuole dire nel passaggio sul fare uscire quanta più energia da sé, per rendere controllabili le emozioni?

E’ uno scenario che dice tantissimo. La necessità di non far vedere le emozioni. A se stesso soprattutto. Tante volte viene confusa l’emozione con il suo correlato fisiologico e le si attribuisce un senso diverso, come la fame. Quando c’è un vuoto emotivo molto grande. Penso abbia lavorato molto per arrivare a capire queste cose di se stesso. Ma è proprio così, il cibo, il peso… sono secondari. Sono un aspetto collaterale. E’ preponderante la gestione della parte pulsionale ed emotiva.

E’ un argomento spinoso…

Spinoso e delicato e per fortuna non ci cadono tutti. La bulimia è un mondo a sé. L’anoressico vive di restrizioni, il bulimico ha momenti in cui perde davvero il controllo. Ovviamente nello sport non hai il caso del bulimico obeso, ma ad esempio li vedi chiedere ogni giorno il massimo a se stessi, in bici come in palestra. Il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: la necessità di controllare qualcosa nella tua vita. E lo sport di sicuro accentua una predisposizione.

Brajkovic dice che in realtà che lo sport non è mai stato un problema.

Lo sport è il modo di aggirare il problema. Sai che brucerai tante calorie e di fatto andare in bici è come vomitare, quindi non mi sentirei di dire che lo sport non è mai stato un problema. Lo sport, per le sostanze che va a produrre nel nostro organismo è come una droga. Può attivare i meccanismi che danno al soggetto con questo tipo di problemi, un senso di benessere fisico e psicologico.

Che cosa significa che lo sport accentua una predisposizione?

E’ come mettere un soggetto con problemi di alcolismo in un bar. Diventare professionista comporta sicuramente delle pressioni e la pressione quando è troppa, da qualche parte la devi sfogare.

Prima ha parlato anche di anoressia.

Su cui però farei chiarezza. Non basta un periodo breve di restrizione alimentare per provocarla, ma certo nello sport è un rischio molto presente. Anche questo è un fatto di controllo, il riuscire a perdere peso. Per l’anoressico non esiste il ragionamento “mi danneggio non mangiando”. Per questo è bello l’invito di Brajkovic: mangiate per andare forte, non per perdere peso. Se ci cadi, finisci in ospedale. Il team non basta. Soprattutto se nel team sei portato a mentire perché non ti senti accolto. Ha detto cose molto profonde, che potrebbero aprire la porta ad altre interviste di questo tipo. Mi fa pensare alla depressione post partum…

Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Brajkovic ha corso alla United Healthcare nel 2015
Prego?

Stai facendo il tuo sport, la cosa più bella, come avere un bambino per la donna. Dovresti essere felice, invece hai un problema e non puoi parlarne perché vieni stigmatizzato. Bisogna lavorare sulla persona per aprire le porte che normalmente si tengono chiuse.

Alcuni corridori ci hanno detto che per fronteggiare certi problemi si ricorre a sostanze o all’alcol. Le risulta?

L’anoressico comunque ricorre ad attivatori ed eccitanti, la cocaina ad esempio facilita la perdita di peso. Poi ci sono le droghe che stimolano la fame chimica. E gli alcolici a basso contenuto calorico. La Tennents è la birra di chi ha questi problemi. Ha poche calorie e comunque 9 gradi, senza essere un superalcolico. E a margine di tutto, non dimentichiamo che a livello sociale, lo sport maschera. Il muscolo nasconde l’anoressia. Da qualche parte nei giorni scorsi avete scritto, gambe da superman e braccia come grissini…

Che cosa voleva dire prima con aprire le porte che normalmente si tengono chiuse?

Se altri atleti decidessero di fare coming out su questo aspetto, le squadre farebbero più fatica a puntare il dito. Dovrebbero puntarne troppi. E se si è riusciti a regolamentare il mondo delle modelle, magari si riesce anche a venirne a capo nello sport. Complicato però il ciclismo…

Una presa di coscienza a livello generale sarebbe davvero auspicabile, perché il dito non venga puntato soltanto sugli atleti. Insomma, il viaggio deve continuare e anche il riferimento alla cocaina ha riacceso ricordi e innescato riflessioni. In fondo, tirando tutti nella stessa direzione, si potrebbe lavorare per fare del ciclismo un ambiente più sano.

NELLE PUNTATE PRECEDENTI

Disordini alimentari: un male oscuro di cui nessuno parla
Disordini alimentari: interviene Cimolai
Disordini alimentari: «E’ una roba brutta»

Disordini alimentari: intervista a Brajkovic

Dottoressa Manuella, come nasce lo spirito di gruppo?

16.01.2021
4 min
Salva

Manuella Crini, scritto con due elle, è la psicologa di cui avete letto qualche giorno fa nell’articolo sulla Iseo-Rime-Carnovali, la squadra continental di Daniele Calosso e Mario Chiesa. La sua presenza nel ritiro del team serviva per lavorare sulle dinamiche di gruppo, cercare di spiegare ai ragazzi cosa succede quando si lotta tutti insieme per lo stesso obiettivo. Quando si gareggia per se stessi e allo stesso modo quando si lavora per un leader. Tutti aspetti che dopo tanti anni di ciclismo si darebbero per scontati, ma che fra ragazzi dai 18 ai 20 anni lo sono un po’ meno. Anche alla luce di quello che ci hanno raccontato in precedenza il cittì azzurro De Candido e Gabriele Balducci, sulle abitudini dei corridori in ritiro, che preferiscono appartarsi con il cellulare che condividere il loro tempo con i compagni. Noi le abbiamo rivolto qualche domanda per capire di più. E per capire se lo splendido spirito che regna fra le ragazze di Salvoldi (in apertura il podio ai mondiali di Doha 2016) dipenda dalla qualità delle ragazze o dal gruppo azzurro di cui fanno parte.

Manuella Crini, la psicologa che ha aiutato la Iseo Rime e che ha risposto alle nostre domande
Manuella Crini, la psicologa che ha risposto alle nostre domande
Buongiorno dottoressa, grazie per averci confermato di non aver registrato in modo errato il suo nome. Le elle sono effettivamente due…

Confermo, Manuella con due elle (ride ndr).

Ci racconta a cosa serviva l’incontro con la squadra?

Era un contesto leggero, focalizzato sui ragazzi, durante il quale ho potuto notare che i loro direttori sono persone preparate e sapevano esattamente quali fossero le dinamiche del gruppo. Qualcuno è stato chiamato in causa, non c’è stata troppa spontaneità nel proporre problemi. Ma dato che insegno da un po’ all’Università, ho la capacità di capire se chi ho di fronte è stato colpito da quello che si dice o pensa ad altro. Diciamo che forse la presenza di Cassani potrebbe averli messi un po’ in soggezione, ma d’altra parte non voleva essere una seduta di analisi.

Da qualche tempo ascoltiamo racconti sulla difficoltà nell’imporre l’autorità del tecnico, ad esempio…

Perché le dinamiche di gruppo sono cambiate di parecchio a partire dalla caduta del Muro di Berlino. Anche se sembra una cosa lontana e slegata, quell’evento ha comportato negli individui, ovviamente in modo progressivo, la variazione del potenziale di cosa ciascuno possa diventare. Si veniva da anni bloccati, in cui il figlio era destinato a restare nella sfera professionale o nella classe di appartenenza dei genitori. Dopo il Muro, si è capito che si può essere chiunque si voglia, per cui si è andato affermando l’individualismo, facendo venir meno l’autorità. Degli insegnanti, dei genitori, dei direttori sportivi… E’ venuto meno il cosiddetto “gruppo classe”.

Sonny Colbrelli, Wouter Poels, Damiano Caruso, Tour de France 2020
Questa foto dimostra come l’amicizia per Caruso e Landa abbia spinto Colbrelli a fare lavoro da gregario al Tour
Sonny Colbrelli, Wouter Poels, Damiano Caruso, Tour de France 2020
Colbrelli al Tour, gregario per mestiere e amicizia
Quindi per avere autorità non serve più alzare la voce?

No, bisogna guadagnarsi il rispetto. Inoltre con il diffondersi dei social, si vive in gruppi diversi, anche virtuali, e ci si sente meno parte del gruppo fisico in cui effettivamente ci si trova. C’è l’incapacità di sentire il gruppo stesso. Il tecnico, il capo, chiunque voglia essere un riferimento deve essere leader puntando sulla parte esperienziale e sulle motivazioni. Perché è vero che sono cambiati gli strumenti, ma non le sensazioni dei ragazzi.

Sensazioni?

L’ansia da prestazione, la parte depressiva legata all’insuccesso, la capacità di elaborare l’idea di non essere protagonista soltanto vincendo, ma supportando un compagno fino alla vittoria. Il fatto che qualcuno possa mostrarsi in modo negativo è un fatto di autostima. Bisogna rispettare tutte le parti del gruppo e delle singole personalità. Ci sono tante sfumature…

Perché a volte, Manuella, si ha la sensazione che la stessa persona sia diversa in base ai contesti in cui si trova?

Perché abbiamo tante identità diverse, rispetto ai contesti in cui viviamo e a volte può mancare coerenza tra le stesse.

L’atleta professionista viene pagato per essere a disposizione del capitano. La capacità di fare gruppo, di sacrificarsi per i compagni si acquisisce maturando?

Si acquisisce lavorando sullo spirito di gruppo, non è una tappa evolutiva. Nel gruppo eterogeneo, saper riconoscere le varie figure viene dalla disponibilità dei singoli di mettersi in gioco e nell’accogliere le differenze. La presenza di leader forti magari rende tutto meno automatico, perché se sono giovani hanno comunque bisogno dei loro spazi. Dipende tutto dal team builder che hai di fronte. Anche nel gruppo degli allenatori può esserci chi è capace di cogliere da solo le peculiarità dei ragazzi, ma lavorando in equipe si ottengono risultati migliori. Banalmente prestando attenzioni a cose di quotidianità spicciola.

Come ad esempio?

La composizione dei tavoli in cui gli atleti mangiano. La composizione delle camere in cui dormono. C’è tutta una serie di strategie in cui si possono mettere in atto quelli che, sembra brutto chiamarli così, potremmo definire dei giochi psicologici per conoscersi e creare il gruppo.

L’agonismo accresce il problema?

Nell’agonismo la parte motivazionale è fondamentale.