Zanette, vent’anni dopo come un tatuaggio sulla pelle

10.05.2023
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«E’ un ricordo ancora così vivo – dice a bassa voce Manuela Zanette – che fa strano anche a me pensare che siano già passati vent’anni. Non so se perché sono toccata direttamente, quindi lo percepisco in modo diverso, ma è un ricordo che continua, una persona che sicuramente ha lasciato un segno che nessuno si aspettava. Nonostante sia passato tanto tempo, io sono ancora la moglie di Denis. E’ come se fosse un tatuaggio che ho sulla pelle».

Quando Milan ha conquistato la tappa di San Salvo, pensando ai corridori friulani capaci di vincere al Giro d’Italia, il nome di Denis Zanette è saltato fuori accanto a quelli di Giordano Cottur e Franco Pellizotti. Il gigante buono di Sacile di tappe ne vinse due, la seconda nel 2001. E mentre si era all’alba della stagione 2003, che avrebbe corso nuovamente con la maglia della Fassa Bortolo, il suo grande cuore smise di battere. Fu un colpo durissimo da assorbire, allo stesso modo in cui pochi giorni fa la morte improvvisa di Gianluca Tonetti ha lasciato un’altra famiglia in lacrime. Come farsene una ragione? E come mandare giù quello che fu scritto nei giorni successivi?

Quando Denis chiuse gli occhi, aveva una moglie, una figlia di otto mesi e una di due anni. Oggi che le ragazze sono grandi, abbiamo bussato alla porta della loro mamma per farci raccontare suo marito e cosa rimanga di lui nelle loro vite.

Giro d’Italia 2023, il friulano Milan vince la seconda tappa del Giro d’Italia
Giro d’Italia 2023, il friulano Milan vince la seconda tappa del Giro d’Italia
La sensazione è che Denis non se ne sia mai andato…

Ho un gruppo di amici che si chiamano “Gli amici di Denis”, che per anni hanno organizzato le corse, con cui almeno una volta all’anno ci ritroviamo condividendo un sacco di cose. Con alcuni di più, con altri meno. Per cui anche le mie figlie hanno modo di vivere e condividere una parte che loro non hanno conosciuto. Paola, la più piccola, è nata il 9 maggio del 2002, in pieno Giro d’Italia, il giorno dopo che suo padre partì per il via da Groeningen, in Olanda. Denis poi è mancato che aveva 8 mesi, di conseguenza Paola non ha la possibilità di ricordare nulla. Mentre Anna, la più grande, ha dei ricordi. A volte chiedono, anche perché non siamo usciti completamente dal mondo del ciclismo.

Come mai?

Il ciclismo resta un interesse di famiglia, in più abbiamo parecchi amici. Faccio un po’ di nomi, per dare un’idea. Biagio Conte, Cristian Salvato, Roberto Amadio, Davide Rebellin. Il suo nome lo dico con il cuore in mano, perché per me è una ferita aperta. Davide l’ho vissuto parecchio, non tanto negli ultimissimi anni, ma prima era una presenza costante da noi e mi dispiace che non venga ricordato quanto Denis. E’ stato una persona veramente meravigliosa, come corridore e come uomo. Lui e Denis erano insieme da una vita.

Purtroppo Davide se ne è andato con un marchio addosso, come se per alcuni fosse un problema parlare di lui…

Mi riferivo proprio a questo e lo trovo tremendamente ingiusto.

Come fu per Denis partire per quel Giro il giorno prima che nascesse sua figlia?

Mi ricordo che la vide per la prima volta tre settimane dopo, quando andai a Montegrotto con la piccola. La prima cosa che mi disse Gonchar, con cui divideva la stanza, fu che Denis si fece un pianto spaventoso, perché era stata proprio una sofferenza, dettata però da una situazione di necessità. Il dovere prevaleva su qualsiasi cosa.

State seguendo il Giro d’Italia?

Lo guardiamo ovviamente. Non vi nego che per anni non l’abbiamo seguito, perché era più un dolore che un piacere. Quando poi ogni cosa trova il suo posto, si ricomincia a vivere in modo diverso, quindi lo seguiamo e abbiamo visto in diretta la vittoria di Milan e ce la siamo anche goduta. Sono fatiche, è bello quando vengono ripagate dalla vittoria.

Denis è stato è stato un uomo felice col ciclismo, secondo lei?

Ha avuto degli eventi che lo hanno ferito molto, però credo di sì. Quando sarò morta ne discuterò con lui e vedremo se è vero o meno. Mi sono fatta questa idea che Denis, amando molto la vita e amando molto i suoi amici e la famiglia, sia riuscito comunque ad avere delle note positive che gli hanno permesso di superare le cose avverse.

Nel 2002 Zanette corre alla Fassa Bortolo, come gregario di Basso, Baldato, Petacchi, Casagrande e Bartoli (foto bikenews.it)
Nel 2002 Zanette corre alla Fassa Bortolo, come gregario di Basso, Baldato, Petacchi, Casagrande e Bartoli (foto bikenews.it)
Quali cose avverse?

Non ha avuto una vita semplice. Anche lui ha perso il papà da giovane, quindi ha sempre dovuto lavorare. La sua è sempre stata una vita molto dura, però non è che gli sia pesata. Sapeva di doverlo fare. Ha sempre avuto rispetto nei confronti della vita e nei confronti degli altri, per cui viveva con serenità. Era sempre un uomo gioioso, ma anche giusto.

In che modo lo dimostrava?

Al funerale di Rebellin, ero con Roberto Amadio e si è avvicinato un ex collega dei tempi della Liquigas, mi pare un lombardo. Dalla tasca ha estratto una serie di foto con lui e Denis. Da lì ha iniziato a raccontarci degli aneddoti e ci ha fatto rivivere dei momenti che io non conoscevo. C’era anche mia figlia, la piccola, che solitamente ascolta i racconti degli amici, ma non aveva mai sentito parlare di suo padre persone che non conosce.

Che cosa raccontava?

Le ha raccontato una storia successa in Belgio. «Eravamo in un capannone e stavamo praticamente cenando – ha detto – quando è entrato un tale con la sigaretta. Denis si è alzato in piedi e gli è andato incontro perché c’era un divieto di fumo grande così. Lui è sempre stato ligio alle regole, per cui si è avvicinato con questo dito lunghissimo, perché Denis quando parlava puntava spesso l’indice, gli ha mostrato il cartello e gli ha detto che non si poteva fumare. E questo, spaventatissimo perché si è trovato davanti un omone di due metri, ha preso ed è uscito. E come se non bastasse – ha continuato a raccontare – la sera siamo andati in camera e io avevo lasciato il lavandino non pulito. Lui è venuto a chiamarmi e mi ha detto: “Ma chi viene dopo di te cosa deve fare? A casa, pulisce tua moglie o lasci pulito tu?”».

E sua figlia?

E’ rimasta veramente colpita e mi ha detto: «Finalmente sento raccontare qualcosa di diverso».

Ivan Basso, fresco vincitore del Giro 2006, al Criterium in onore di Zanette, suo compagno alla Fassa Bortolo
Ivan Basso, fresco vincitore del Giro 2006, al Criterium in onore di Zanette, suo compagno alla Fassa Bortolo
Anche a casa era così preciso?

Molto ordinato. Quando aveva due minuti, dato che adorava suo fratello Claudio che fa il decoratore edile, andava nel capannone e lo riordinava. Ci teneva come forma mentis. Io ho imparato da lui a fare le valigie e a far stare le cose nei bauli delle macchine. Aveva tutto ordinato, tutto incastrato e io non capivo come facesse.

Scusi la domanda, che cosa ha provato quando sui giornali la sua morte fu affiancata a tutti quei sospetti?

La rabbia penso sia inevitabile, vista e considerata la situazione. Io penso che il giornalista abbia un ruolo fondamentale, in modo particolare al giorno d’oggi. Deve sapersi estraniare dalla situazione per raccontarla al meglio, ma deve avere anche la grande capacità di capire i contesti. E secondo me le tragedie devono sempre e comunque essere rispettate. Glielo posso assicurare: io sono stata colpita a morte più di una volta ed è una cosa che ancora faccio fatica ad accettare. A distanza di anni sono cose che rimangono scritte nero su bianco e le mie figlie ne sono state colpite più di qualche volta.

Ha potuto spiegarglielo?

Ovviamente da madre ho cercato di fare protezione e di raccontare le cose com’erano, ma non è stato semplice. Per questo, ci sono delle cose che io non perdono. Purtroppo nella mia vita ho sempre avuto un grande rispetto degli altri. Dico purtroppo perché se non ce l’avessi, avrei fatto strage: ho una lingua che è capace di fare strage. Io rispetto il lavoro di tutti, ma ci sono stati dei momenti in cui ho odiato i giornali e per anni ho comprato solo Il Sole 24 Ore. C’è di buono che le persone intorno conservano il ricordo del Denis che hanno conosciuto e non quello che hanno letto.

Nel 2019 a Brugnera, Jaramillo Nicolas Gomez vince il Memorial Zanette (photors.it)
Nel 2019 a Brugnera, Jaramillo Nicolas Gomez vince il Memorial Zanette (photors.it)
Come l’ha superato?

Dico sempre che nella mia vita sono stata sfortunata, ma anche tanto fortunata, perché ho attorno persone e famiglie cui posso solo dire grazie. Ho degli amici senza cui sarei morta io. Ho avuto un Roberto Amadio che per anni ha frequentato tutte le settimane casa mia. E se non la frequentava, telefonava per sapere se avessimo bisogno di qualcosa e come stessimo. Cristian Salvato con la sua famiglia. Flavio Vanzella. Biagio Conte. Nella mia sfortuna, sono una donna fortunata.

In casa è rimasto qualcosa del Denis corridore?

Sì, certo. Se avessi voluto cancellare il ciclismo dalla mia vita, avrei dovuto escludere anche buona parte dei nostri amici. Invece per andare avanti, bisogna saper affrontare la realtà. Così ho continuato a vivere la mia vita. Ho cambiato casa, ma era già in programma, e le sue cose sono lì perché fanno parte della vita mia e delle mie figlie. E’ una parte che c’è stata e che è stata fondamentale e che comunque resterà fondamentale per le ragazze. Quindi sì, è giusto così.

Esiste una foto di voi due insieme?

Sì, esiste, ma non gliela mando. Io sono una che ama molto leggere e immaginare come potrebbe essere quello di cui leggo. Mi piace che anche gli altri lo facciano leggendo le mie parole.