Corse disegnate male? La (giusta) osservazione di Manolo Saiz

29.03.2023
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Un tweet della scorsa settimana (dopo la quarta tappa e l’ennesima sfida fra Evenepoel e Roglic al Catalunya) su cui abbiamo rimuginato a lungo. Non tanto per il concetto, che si presta ad approfondimento, quanto per il suo autore: Manolo Saiz (foto Capovelo in apertura).

«Voy a hacer una crítica que espero deba ser constructiva porque no lo es malintencionada. Una carrera que en tres dias, por recorrido, solo tiene dos protagonistas, es que está muy mal diseñada, divertimento aparte!!».

Farò una critica, scrive, che spero risulti costruttiva perché non ha cattive intenzioni. Una corsa che in tre giorni, a causa del suo percorso, ha solo due protagonisti, è disegnata molto male, divertimento a parte!

Alla Volta a Catalunya, cinque tappe su sette hanno avuto per contendenti Roglic ed Evenepoel
Alla Volta a Catalunya, cinque tappe su sette hanno avuto per contendenti Roglic ed Evenepoel

Fuori dal gruppo

Manolo Saiz è stato per anni il grande capo della Once, squadrone schiacciasassi con la maglia gialla e nera e con un po’ di rosso, patrocinata dalla Lotteria dei Ciechi di Spagna. Già allora, ben prima di Sky e della Jumbo-Visma, Saiz poneva un’attenzione incredibile su posizioni e materiali. Ha scoperto e lanciato corridori come Contador, Purito Rodriguez, Zulle, Jalabert, Beloki, Rincon, Breukink, Olano, Sastre, Luis Leon Sanchez. Uno che di ciclismo ne ha sempre saputo tanto, forse anche troppo.

Nel 2006, Saiz e la sua squadra rimasero coinvolti nell’Operacion Puerto, in una delle pagine più brutte e malgestite dell’antidoping di tutti i tempi. E mentre negli anni sono fioccate le squalifiche per i corridori, Manolo non ha avuto condanne né sospensioni, salvo essere messo all’indice ed escluso negli anni a seguire dal ciclismo dei grandi. Per un po’ ha avuto una squadra di U23 e poi è uscito definitivamente, ma non ha mai smesso di seguire le corse.

La premessa è necessaria per dire che non era un ciclismo di santi e che comunque ciascuno di quelli che vi rimasero coinvolti ha pagato a suo modo un prezzo molto alto, ma ciò non toglie che il tema di quel tweet ci abbia fatto ragionare. E’ stato bello vedere ogni santo giorno Evenepoel e Roglic là davanti? E tutti gli altri? Così abbiamo chiamato Manolo Saiz e gli abbiamo chiesto di spiegarci il suo punto di vista

Vingegaard ha aperto la stagione al Gran Camino, vincendo le tre tappe e la classifica finale
Vingegaard ha aperto la stagione al Gran Camino, vincendo le tre tappe e la classifica finale
Qual è il concetto?

Il concetto è che stiamo vivendo un ciclismo bellissimo. Ci sono cinque o sei corridori che lo interpretano in modo coraggioso. Questo però non significa che i percorsi di gara debbano essere fatti soltanto per esaltare loro.

Spiegati meglio, per favore.

La gara di un giorno può essere disegnata come vuole l’organizzatore. Può avere salite, può avere pavé, può avere muri, può avere quello che vuoi. Perché se il ciclista ha un guasto, domani o il giorno dopo avrà un’altra possibilità in un’altra gara di un giorno. Ma quando hai 6-7 giorni di gara come pure 21, i percorsi non possono essere ripetitivi. Non può essere che al Catalunya per cinque giorni i protagonisti siano stati sempre gli stessi due. Erano i più forti, ma perché le tappe erano uguali fra loro. Perché si vuole svalutare il ciclismo degli altri? Va bene, stiamo dicendo che ci sono dei corridori fortissimi, ma perché organizzare le corse solo per loro?

Come deve essere disegnata una corsa a tappe?

Non sempre i percorsi fatti per avere tanti consensi sui social sono attraenti per la qualità del ciclismo. Nel nome di questa, mi piacerebbe anche vedere Ganna all’attacco, oppure ammirare i velocisti o i migliori cronoman. In una settimana mi piacerebbe vedere situazioni di gara diverse da quelle create da questi pochi corridori. Secondo me è sbagliato che un organizzatore, che ha il privilegio di avere sette giorni a disposizione, pensi solo a pochi attori. Quel privilegio dovrebbe essere al servizio di tutti.

All’inizio hai parlato dell’influenza dei guasti meccanici.

Non mi piace che mettano ripetutamente muri estremi o tratti pericolosi e che nessuno pensi alle possibili conseguenze. La cosa importante in una gara a tappe è che le insidie siano fatte in modo che nessun corridore possa perdere la corsa a causa di un guasto o una caduta. Visto quante cadute ci sono? Ci riempiamo la bocca dicendo che vogliamo un ciclismo più sano, vogliamo un ciclismo più sicuro… Lo vogliamo e alla fine non lo stiamo facendo.

Cinque vittorie nei primi sei giorni di gara: Pogacar ha iniziato alla grande il 2023, poi ha proseguito alla Parigi-Nizza
Cinque vittorie nei primi sei giorni di gara: Pogacar ha iniziato alla grande il 2023, poi ha proseguito alla Parigi-Nizza
Stai facendo un discorso per lo spettacolo oppure pensi che su percorsi più vari quei pochi campioni siano più attaccabili?

Secondo me è un discorso a vantaggio dello spettacolo, perché questi fenomeni sanno muoversi anche su altre tipologie di percorsi. E’ un discorso per il ciclismo stesso, che ha bisogno di una maggiore varietà agonistica. Se questa non c’è, stiamo sbagliando.

Quali sono le conseguenze?

Anche se gli italiani non hanno più scalatori forti come prima, ci sono molte gare in cui il ciclismo italiano non lo vediamo. E non vediamo neppure il ciclismo spagnolo, che non è messo tanto meglio. Guardi la corsa e ti dici: «Diavolo, non può essere questo. Inizia la Ruta del Sol e ci sono tre tappe vinte dallo stesso corridore». Al Gran Camino le vince tutte un altro. Parlo di uno, però mi riferisco a questi 5-6 che possono vincere tutte le tappe. Onestamente penso che non sia giusto.

Cosa manca?

I percorsi di gara devono essere diversi. Deve esserci la media montagna e deve esserci una montagna dove puoi salire a 20 all’ora e una dove puoi salire a 30 all’ora. Il bello della salita sono l’attacco e il contrattacco. Se però metti un muro di 3 chilometri al 20 per cento, ognuno sale alla sua velocità ed è impossibile che ci siano attacchi e contrattacchi, perché vanno a 11 all’ora.

Come fare una Vuelta di soli Angliru?

Vale la pena avere una tappa come l’Angliru. E’ perfetto anche se c’è una tappa con il Mortirolo, ma non possono esserci sei tappe con il Mortirolo. Almeno questo è il mio modo di vedere il ciclismo: quello che penso sia utile per difendere lo spettacolo del mondo del ciclismo 

Manolo Saiz va ancora a guardare le corse?

Quest’anno vorrei andare al Tour, ma non so avrò il tempo. Mi piace il Giro, ma mi piace soprattutto andare a vedere le corse dei dilettanti. Mi è sempre piaciuto il ciclismo di base.

La tua squadra di under 23?

Lo sponsor si è comprato il Real Racing Santander, per cui è passato al calcio. Non faccio più nulla nel ciclismo, serviva un colpevole e io ero l’utile sciocco. Qualche azienda importante che mi ha detto che con me sarebbe entrata, ma non se ne è potuto fare niente. Mi aveva cercato la Katusha, ma qualcuno gli ha fatto capire che era meglio lasciar perdere. Curiosamente gli stessi che hanno coperto altri corridori, come si sa bene…

Cosa fai per vivere?

Ho chiuso il ristorante. Sono tranquillo con la mia famiglia e per il momento Manolo Saiz nel ciclismo non fa più niente. Ho un’azienda che si dedica a Blockchain, Nftc e sicurezza internet con un socio, che è quello che se ne intende davvero. Passo parecchio tempo in questo e poi guardo tutte le corse alla televisione. Stiamo vivendo davvero un buon ciclismo. Quei cinque o sei sono straordinari, speriamo che gli costruiscano attorno uno spettacolo all’altezza. Il ciclismo ha bisogno di tutti.

Tour, Vuelta e cadute: Roglic come Zulle?

17.07.2022
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Roglic come Zulle? Il paragone prende sempre più piede nell’ambiente ciclistico e ad accomunare lo sloveno al campione svizzero della fine degli anni 90 non ci sono solo le due Vuelta vinte in sequenza dopo altrettanti insuccessi al Tour (dove conquistò per due volte il secondo posto), ma soprattutto una predisposizione sempre più evidente alle cadute, ma sarebbe meglio dire alla sfortuna. Una carriera fatta di grandi attese. Vittorie nell’avvicinamento alle corse. Poi sfortune puntuali come maledizioni quando arriva il momento di concretizzare il tanto lavoro.

Se il paragone regge, sarà il lettore a dirlo alla fine della storia, ma una premessa è doverosa: nel definire il corridore Zulle abbiamo scelto di prescindere dal suo coinvolgimento nell’affare Festina, in un’epoca giocoforza diversa da quella attuale, sulla quale pende il giudizio della storia.

Chi era Alex Zulle? Un corridore quasi per caso. Nato da un appassionato svizzero e dalla madre proveniente dal Brabante, da ragazzino Alex alla bici neanche ci pensava. Da buono svizzero era appassionato di sport invernali e soprattutto di sci alpino, ma da ragazzo una discesa gli costò una grave frattura. Nel percorso rieducativo lo misero in sella e da lì iniziò la sua storia, che a livello agonistico prese il via a 18 anni.

Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96
Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96

Miope, ma senza lenti

La storia di Zulle, che in una decina d’anni ha vinto molto risultando un grande specialista delle corse a tappe, non può prescindere da un fattore: la sua miopia. Ad Alex mancavano 4,5 diottrie da entrambi gli occhi e quindi era costretto a portare gli occhiali. Questo ne ha sempre fatto un segno distintivo perché nella storia sportiva i campioni con gli occhiali non sono stati tanti, ma soprattutto ancor meno dall’evoluzione delle lenti a contatto. Zulle però non ne ha mai fatto uso, quindi utilizzava gli occhiali in ogni situazione e questo spesso ha rappresentato un handicap.

Grande passista (è stato anche campione del mondo a cronometro, come Roglic è campione olimpico di specialità), Zulle in salita riusciva a cavarsela e spesso a ottenere risultati di spicco quando riusciva a salire del suo passo. Come tanti passisti allora e anche oggi, dato che la figura dello scalatore puro è andata via via svanendo. Indimeticabile il suo duello con Pantani nella prima parte del Giro 1998, quando mise alle corde il romagnolo, staccandolo a Lago Laceno e poi umiliandolo nella crono di Trieste. Prima di subirne però la vendetta nella tappa di Selva di Val Gardena che fece la storia di quel Giro.

Il problema però arrivava in discesa. Zulle non aveva una grande dimestichezza, avendo iniziato a guidare la bici quand’era già grande, figurarsi poi su terreni sconnessi o, peggio, con la pioggia e il bagnato. A quel punto la discesa diventava un’avventura non per mantenere i distacchi, ma semplicemente per concluderla senza danni. Cosa che non riusciva sempre.

Tante vittorie e… tante cadute

Ecco perché la sua carriera, più che dalle vittorie (neanche poche, ben 71 tra cui oltre alle due Vuelta nel ’96 e ’97 e al mondiale a cronometro nel ’96 spiccano Romandia, Parigi-Nizza, Giro dei Paesi Baschi e tante altre classifiche generali) è contraddistinta dagli scivoloni. A cominciare dalla Vuelta del 1993, tappa di Alto del Naranco: Zulle è in lotta per la maglia amarillo con il connazionale Rominger. Piove sulle montagne asturiane e la discesa è tosta. Gli occhiali si appannano, le goccioline rendono difficile seguire le traiettorie, la bici svicola e finisce in un fosso. Zulle si rialza, ma la bici dov’è? La ricerca gli fa perdere un minuto abbondante. Risale in bici ma il distacco è troppo. Proverà a recuperare con una cronometro finale tanto prodigiosa quanto inutile.

Tour de France 1996, tappa di Les Arcs. Non una tappa come le altre, perché per la prima volta Miguel Indurain è alle corde, tanto che alla fine perderà oltre 4 minuti. Zulle ne perde anche di più, con due cadute consecutive. Nella seconda, a cavarlo d’impaccio sono i fotografi, non prima però di aver immortalato lo sfortunato svizzero in mezzo ai cespugli.

Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli
Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli

1997, l’anno del riscatto

Che Zulle sia però anche un corridore capace e non solo il “Mr.Magoo della bici” com’era stato un po’ ingenerosamente etichettato oltre Manica, lo dimostra nel 1997. Un anno che va avanti fra cadute in serie, al Delfinato, al Giro di Svizzera (che gli costa la frattura della clavicola) e al Tour de France, con conseguente ritiro perché l’osso non si era ancora saldato per bene. Eppure recupera e lavora sodo, fino ad aggiudicarsi la Vuelta di fine stagione.

Due anni dopo, al Tour, Zulle conquista il secondo posto dietro Armstrong (il primo dei sette Tour vinti dall’americano e poi cancellati dall’albo d’oro). Un’impresa considerando che nella seconda tappa si passa dal Passage du Gois, una strada di due miglia che è soggetta ai rialzi della marea e quindi è sempre coperta di acqua e fango. Fatto sta che una marea di corridori cade e nel bailamme Zulle è costretto a ripartire… senza occhiali, persi in quel caos di corridori e fango. Il distacco accumulato sarà tanto, ma l’elvetico riuscirà comunque a costruirsi un Tour di primo piano fino a finire secondo a 7’37” dall’americano.

Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”
Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”

La carriera dell’elvetico si è conclusa nel 2004, sulla via di un lento tramonto, finendo con una grande festa per celebrare i suoi successi più che le sue sfortune. Poi si lui di sono perse un po’ le tracce, non frequenta più il mondo del ciclismo vissuto in anni davvero difficili e controversi.

Ogni tanto qualche capatina la fa nelle cicloturistiche, soprattutto in Spagna teatro di gran parte della sua carriera ciclistica. Lo si vede pedalare in mezzo al gruppo, pluricinquantenne ancora in buona forma fisica. E naturalmente, con gli occhiali dritti sul naso…

Giant con Bike Exchange, settimo capitolo di una lunga storia

02.12.2021
6 min
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Manolo Saiz ne sa una più del diavolo. Per cui quando nel 1998 la sua Once si presenta al via della stagione con le Giant a forma di mountain bike, i meccanici e i corridori del gruppo drizzano le orecchie avendo fiutato la novità. Mentre le case produttrici di casa nostra con un po’ del solito snobismo fanno spallucce e tirano dritto. La casa taiwanese viene ancora vissuta come l’assalto dell’Oriente alla tradizione europea e a leggere come è finita la storia viene da sorridere.

Già nel 1987, Giant ha lanciato il carbonio per tutti, introducendo nel mercato la Cadex 980 C, con tubazioni in fibra e congiunzioni in alluminio incollate. Il telaio della Once però è un passo avanti vertiginoso. E’ il primo Compact Road. Ha il tubo orizzontale incredibilmente inclinato e il triangolo posteriore compatto. Le bici sono mediamente più piccole e più rigide grazie al nuovo disegno. Fra i corridori che ne fanno uso, Jalabert (foto di apertura) se ne serve per arrivare secondo dietro Bartoli alla Liegi del 1998, in una stagione comunque da 13 vittorie.

Nel 2009, Menchov è alla Rabobank e vince il Giro d’Italia sulla Giant Tcr
Nel 2009, Menchov è alla Rabobank e vince il Giro d’Italia sulla Giant Tcr

Beloki e il Tour

I nostri fanno spallucce e orecchie da mercanti fino a un certo punto. Gradualmente infatti il mercato si sposta verso lo sloping: ha il tubo superiore inclinato anche la Bianchi di Pantani, perché Marco apprezza e pretende. Chi può col carbonio, gli altri con l’alluminio che in quegli anni ha comunque soppiantato il carbonio.

Giant fa scuola. La sua Tcr ha aperto la strada e i corridori della Once continuano a usarla e a vincere. Nel 1999, Jalabert arriva quarto al Giro. Joseba Beloki arriva per due volte terzo al Tour (2000-2001) e una volta secondo (2002). La sua progressione si infrange sull’asfalto della nona tappa del Tour 2003, quando cade rovinosamente (mentre Armstrong si salva tagliando in un campo), riportando la frattura del femore, che di fatto chiude la sua carriera ad alto livello.

Il 2003 è anche l’ultimo anno della Once in gruppo. Saiz va avanti con Liberty Seguros e biciclette Bh, mentre per rivedere il marchio Giant ci sarà da aspettare il 2009.

Nel 2012 Rabobank si ritira, la squadra diventa Team Blanco. Qui Kelderman, Gesink e Renshaw
Nel 2012 Rabobank si ritira, la squadra diventa Team Blanco. Qui Kelderman, Gesink e Renshaw

Menchov, primo Giro

A volere il marchio di Taiwan al suo fianco è infatti la Rabobank, che per anni ha corso su biciclette Colnago. La squadra di Menchov, del giovanissimo Mollema, di Freire, Flecha e di Gesink è uscita dal 2008 con il terzo posto di Menchov al Giro d’Italia, alle spalle di Sastre ed Evans. Per il 2009 si vuole il salto di qualità e probabilmente, oltre alle bici, Giant porta anche le risorse per investire di più. I risultati si vedono.

In sella all’ultima versione della Tcr montata Shimano, Denis Menchov vince il Giro d’Italia, battendo Di Luca, Pellizotti e Basso al rientro dalla squalifica. Garate invece vince una tappa al Tour de France.

Dopo la Gand del 2014, nel 2015 Degenkolb su Giant Propel vince la Roubaix e prima la Sanremo
Dopo la Gand del 2014, nel 2015 Degenkolb su Giant Propel vince la Roubaix e prima la Sanremo
Con il Team Blanco

Il legame fra il gruppo olandese e Giant è forte al punto che quando alla fine del 2011 Rabobank deciderà di uscire da ciclismo in seguito alle ammissioni di Armstrong (avendo altri due anni di contratto, la banca olandese continuerà a pagare il suo impegno, anche se la squadra si chiamerà Team Blanco), la casa orientale rimarrà al suo posto fino al 2013. Il gruppo olandese assumerà poi la denominazione di Belkin e adotterà bici Bianchi, interrompendo una collaborazione andata avanti per cinque stagioni.

Per le Olimpiadi di Rio e Dumoulin viene lanciata la Giant Trinity da crono. Arriva l’argento
Per le Olimpiadi di Rio e Dumoulin viene lanciata la Giant Trinity da crono. Arriva l’argento

Dumoulin, seconda rosa

Ma di uscire non se ne parla. E così a partire dal 2014, Giant diventa primo nome di una nuova squadra assieme a Shimano, che per i due anni successivi sarà Giant-Alpecin. Con la maglia bianconera corrono il giovane Dumoulin, John Degenkolb e Marcel Kittel. Un team per classiche e volate, mentre Dumoulin cresce.

Le bici ora sono due. Il Tcr, è sempre sloping e leggero, ha il telaio in carbonio e va decisamente veloce. Poi c’è la Propel per le classiche, anch’essa sloping e in carbonio, ma antesignana delle bici aero. In tre anni, Degenkolb vince Gand, Sanremo e Roubaix. Kittel ne vince 14, compresa la tappa di Parigi del Tour. Ed è quando la squadra diventa Team Sunweb nel 2017, che Giant vince nuovamente la maglia rosa.

Ci pensa Dumoulin sulla classicissima Tcr e la Trinity per le cronometro che in effetti domina. Le Olimpiadi del 2016, chiuse con l’argento alle spalle di Cancellara, sono state un ottimo banco di prova e quando l’olandese porta la sua bici da crono in trionfo nella crono di Milano, per Giant si chiude un altro cerchio. A fine stagione il Team Sunweb conterà anche l’Eneco Tour dello stesso corridore olandese, ma il marchio taiwanese dirà addio al gruppo dei pro’.

Nel 2017 Dumoulin e la sua Tcr vincono il Giro d’Italia
Nel 2017 Dumoulin e la sua Tcr vincono il Giro d’Italia

La nona Tcr

La lunga storia continua. Chiude Bmc e il blocco di Ochowitz viene rilevato dalla polacca CCC. Forse per avere appoggio finanziario, Giant viene in soccorso della squadra e in collaborazione con la squadra lancia la TCR di nona generazione. La TCR Advanced SL (anche in versione Disc) è l’ultima versione della bici nata nel 1998. La usano Trentin e De Marchi e faranno fatica a separarsene.

Ancora due anni alla CCC. Qui Alessandro De Marchi in fuga al Tour del 2019
Ancora due anni alla CCC. Qui Alessandro De Marchi in fuga al Tour del 2019

Ritorno nel 2022

Se a questo punto vi starete chiedendo il perché di questo articolo, bisognerà che vi anticipiamo quello che per il gruppo non è più un segreto da qualche mese. Giant sta per tornare. I corridori hanno ricevuto le bici e le stanno provando. Ma poiché il rapporto fra la squadra che le userà e il marchio uscente non si è chiuso in modo proprio amichevole, finora non si sono visti annunci.

Il riferimento è al Team Bike Exchange e ancora una volta, saltato a quanto si sa l’accordo con Premier Tech, è lecito supporre che oltre alle bici farà comodo l’ossigeno della grandissima azienda orientale. Mentre sul fronte delle voci, queste sì del tutto soggette a cambiamenti, gira anche quella secondo cui dal 2023 anche Dumoulin potrebbe tornare sulla bici che gli portò la maglia rosa.