Bégo a viso aperto. Ecco chi è l’iridata juniores

10.10.2023
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«Attenti alla Bégo, perché va davvero forte». Lo aveva detto Federica Venturelli in primavera, aveva visto lontano. Julie Bégo, francese, neo campionessa del mondo juniores, è una abituata a bruciare le tappe. Neanche il tempo di conquistare la maglia iridata che l’ha messa in un cassetto, perché già dal giorno dopo ha preso posto alla Cofidis per gareggiare con le più grandi, per prendere confidenza con quello che sarà il suo nuovo mondo.

Parlandoci, non è qualcosa che stupisce perché una delle prime impressioni che si ricava dal dialogo è la sua forte autostima, sicurezza di sé e di quel che l’aspetta. Ci siamo trovati di fronte a una ragazza più matura dei 18 anni compiuti a gennaio. Desiderosa sì di lasciare un segno, ma che guarda anche al di là, intorno ad essa. D’altronde il suo approdo al ciclismo è giunto al termine di un lungo processo.

In Scozia, la francese Bégo ha centrato il momento giusto per la fuga, dopo un attento studio del percorso
In Scozia, Bégo ha centrato il momento giusto per la fuga, dopo un attento studio del percorso

«Ho sempre fatto molto sport con i miei genitori, fin da quando ero piccola – racconta la ciclista di Bourgoin-Jallieu – sci alpinismo, mountain bike, seguendo loro. Per un po’ mi sono dedicata all’atletica leggera agonistica, all’età di 10 anni. Mi piaceva moltissimo correre all’aria aperta, facevo soprattutto cross, intorno ai 3 chilometri. Può sembrare strano, ma quel che non mi piaceva tanto era l’aspetto agonistico, dovermi applicare con la testa. Così dopo un anno lasciai, preferivo pedalare con la mia mtb nei giri intorno casa. Era una cosa per me stessa, ma poi ho pensato che anche nella mtb potevo provare le competizioni e da lì è iniziato tutto».

I media riportano che tu eri sicura già mesi prima della tua vittoria mondiale, che cosa te lo faceva dire?

Non è proprio così, dicevo che già da inizio stagione avevo puntato l’obiettivo sui mondiali. Avevo visto il percorso, studiato ogni particolare e lavorato per essere al meglio per quel giorno. Gli allenamenti sono stati fondamentali, mi sono dedicata anima e corpo. Soprattutto ai rilanci, azioni di 30 secondi o un minuto che per me erano un mondo nuovo. Era quello che volevo e alla fine l’ho avuto.

Bégo ha esordito con la Cofidis al Giro dell’Emilia, chiudendo 28esima (foto Cofidis/Getty Images)
Bégo ha esordito con la Cofidis al Giro dell’Emilia, chiudendo 28esima (foto Cofidis/Getty Images)
Tra le avversarie della tua categoria, nel corso dell’anno chi hai visto come tua principale avversaria, in funzione anche del futuro?

Diciamo che ce ne sono almeno due. Una è Cat Ferguson che mi sono ritrovata davanti al Trofeo Binda, lei è molto forte allo sprint e alla Bizkaikoloreak in Spagna, la gara a tappe dove mi ha dato molto filo da torcere. L’altra è Federica Venturelli, la sconfitta al Tour du Gevaudan pur avendo lo stesso tempo non l’ho mandata giù. E’ davvero fortissima, penso che saranno avversarie dure anche nella categoria superiore.

Subito dopo i mondiali sei entrata alla Cofidis gareggiando contro le più forti. Quali sono state le tue prime sensazioni?

Sono stata molto felice di accedere subito alla squadra principale, appena conquistata la maglia iridata. La Cofidis mi è venuta incontro anche nella mia esigenza di proseguire gli studi: frequento ingegneria alla Scuola Politecnica Universitaria di Savoia e voglio la laurea. Per me questa esigenza viene anche prima del ciclismo perché una carriera sportiva non dura per sempre e io voglio costruire il mio futuro. Il team manager, mi ha proposto di anticipare i tempi e gareggiare sin da subito contro le più grandi, per acquisire esperienza. Queste gare sono per me importantissime, mi stanno facendo scoprire un mondo nuovo.

Per Julie la carriera ciclistica deve andare di pari passo con lo studio (foto Cofidis/Getty Images)
Per Julie la carriera ciclistica deve andare di pari passo con lo studio (foto Cofidis/Getty Images)
Per te cambia tutto: distanze, avversarie più esperte, modo di correre. Sei mai preoccupata per questo?

Non posso negare che tutto ciò un po’ mi ha stressato. Mi sono subito accorta che è tutto un altro livello, un altro correre, già arrivare al traguardo diventa una conquista. Poi in gara è tutto molto continuo, non c’è mai una pausa, si va sempre a tutta e questo è molto difficile. Comunque mi sto abituando molto velocemente. Alla Tre Valli Varesine ad esempio sono caduta proprio sull’ultima salita, ma per il resto ero lì col gruppo e già riuscivo a essere propositiva. Mi serve solo un po’ di tempo.

Il titolo mondiale ti dà maggiore pressione, temi i giudizi della gente se non riuscirai subito a vincere?

So che il giudizio della gente può essere impietoso, soprattutto sui social, ora ci si aspetta molto da me. Ma quel che conta è la mia fiducia in me stessa, il ciclismo lo vivo per me stessa, cerco di essere abbastanza corazzata a quel che dicono di me. Non mi preoccupo se non vincerò subito, quel che conta è avere la consapevolezza di quel che posso fare. Di quel che pensa la gente non mi interessa.

Con la maglia del Team Feminin Chambery, dove la Cofidis l’ha fatta correre nel biennio da junior (foto team)
Con la maglia del Team Feminin Chambery, dove la Cofidis l’ha fatta correre nel biennio da junior (foto team)
Tu hai vinto il titolo mondiale ma vai forte anche nelle corse a tappe: che cosa preferisci fra queste e le corse in linea?

Io preferisco le gare a tappe perché ti offrono più chance. Ho sempre la sensazione che nelle gare d’un giorno, se non va tutto alla perfezione, non hai modo di rimediare. Nelle corse a tappe c’è meno pressione, se un giorno va male c’è quello successivo per rimettere le cose a posto. A ben pensarci trovo in tutto questo anche un po’ d’ironia perché un po’ rappresenta il decorso della vita. C’è poi un altro aspetto che mi piace delle corse a tappe ed è l’influsso che può avere la stanchezza. I valori cambiano nel corso della gara e quando le mie avversarie sono stanche, è allora che si fanno le differenze, perché credo di avere buone capacità di recupero e di resilienza per fare la differenza. Certo, le gare juniores non sono la stessa cosa, staremo a vedere.

Come ti definiresti, come ciclista e come persona?

Ah, beh, come ciclista, penso di essere una a cui piace attaccare. Mi piace prendere le corse di petto e probabilmente questo rispecchia anche il mio modo di essere nella vita.

Agli europei di Drenthe la Bégo ha vinto il bronzo nel team relay, ma in linea ha chiuso 13esima
Agli europei di Drenthe la Bégo ha vinto il bronzo nel team relay, ma in linea ha chiuso 13esima
C’è una ciclista che ti piace maggiormente, a cui ti ispiri?

Marianne Vos, perché è una che ha vinto tutto e dappertutto, sia le classiche che le grandi corse a tappe, ha lasciato un’impronta indelebile in questo mondo, è davvero eccezionale. Il suo curriculum è impressionante.

Che cosa rappresenta per una ciclista francese il Tour de France, nato da poco?

Significa molto per me. Ho sempre visto il Tour de France come un viaggio. Quando dico alla gente che vado in bicicletta, che sono una ciclista tutti immediatamente pensano al Tour e mi chiedono se ci parteciperò. Penso sia un sogno per tutti coloro che fanno questa professione, una tappa obbligata.

Bego imprendibile, Venturelli a un passo dal bronzo

05.08.2023
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GLASGOW – Quando si sono rese conto che la francese là davanti fosse imprendibile, dietro le ragazze hanno iniziato a cincischiare, pensando che toccasse alle inglesi chiudere il buco sull’imprendile Julie Bégo. Pioveva. La strada è diventata viscida, come sul ghiaccio. La stessa fuggitiva a un certo punto ha rischiato. Federica Venturelli a quel punto sentiva di avere gambe e voglia di allungare, ma da sola non si andava da nessuna parte e inesorabilmente la corsa si è chiusa. Dallo sprint per l’argento, l’azzurra è uscita con il quarto posto. E per questo, quando ce la troviamo davanti, non sa se essere felice.

«Non saprei darmi un voto – dice – però è stata un’esperienza positiva. Ci abbiamo provato fino alla fine, il risultato è mancato per poco. E’ l’ennesimo quarto posto di questa stagione (sorride con una punta di ironia, dopo due quarti posti agli europei in pista, ndr). Però direi che abbiamo condotto una buona gara, soprattutto nei primi tre giri. Siamo state unite, poi quando si è fatta la selezione purtroppo sono rimasta da sola. Ci stava su un percorso così impegnativo. Insomma, c’era da aspettarsi che non tutte riuscissero a reggere. E’ andata così, alla fine non siamo riuscite a chiudere sulla francese, che ha fatto un buon attacco. Io ho provato a prendermi un posto del podio. Però è andata male per pochi centimetri».

Il podio finale con da sinistra Ferguson, Bégo e Moors. Tre big della categoria, ma la Venturelli era all’altezza
Il podio finale con da sinistra Ferguson, Bégo e Moors. Tre big della categoria, ma la Venturelli era all’altezza

Buono in prospettiva

La zona dei bus è giusto alle spalle di George Square, il cuore della città e di questi mondiali sparsi per miglia e miglia nei dintorni. Dato che il pullman della nazionale l’hanno parcheggiato davanti al velodromo e da lì non si può muovere, per le corse di oggi è arrivato quello Vittoria e Daniele Callegarin, che lo guida, ha gli occhi dell’innamorato. Il ritorno ai mondiali ha un gran buon sapore.

Paolo Sangalli, tecnico delle ragazze, è vicino al furgone col meccanico Foccoli in attesa che le ragazze tornino tutte, per poter fare il punto.

«Il quarto posto – dice – è la medaglia di legno, la posizione più brutta in cui puoi arrivare. Però hanno fatto quello che hanno potuto. Nelle nostre previsioni, c’era di restare davanti in due, ma Eleonora La Bella non era in giornata. Se ci fosse stata lei, qualcosa di meglio avremmo fatto. Non ho ancora parlato con Federica Venturelli, mi dirà com’è andata. So solo che era un percorso molto, molto duro. Con la pioggia, ogni curva è diventata un pericolo.

«Sapevamo che la Francia avrebbe attaccato, ma io pensavo anche che la Gran Bretagna chiudesse, invece non hanno avuto gambe neanche loro. Diciamo che il quarto posto può essere una mezza delusione, ma in prospettiva di crescita è stata una buona esperienza. E ha confermato che il percorso, come si è sempre detto, è un percorso da classiche. Arriveranno davanti i corridori da classiche, fra le donne elite e anche gli uomini. A ruota fai fatica perché ad ogni curva devi rilanciare…».

Onore alle britanniche

Venturelli è come se avesse sentito, ma quando parla con noi deve ancora confrontarsi con il tecnico azzurro. Non ci sta a pensare che qualcuna delle avversarie abbia fatto la furba, ma è innegabile che le gambe di alcune siano mancate all’appello.

«Le inglesi – dice – hanno corso in modo più che onesto. Hanno chiesto anche il mio contributo per chiudere e io ho dato qualche cambio. Però alla fine quando hanno capito che ero da sola e che non avrei tirato come tutte loro messe insieme, non mi hanno detto più niente. Quindi, al contrario dell’omnium in pista, dove la Ferguson ha giocato d’azzardo stando sulla mia ruota, in questo caso hanno lavorato come una squadra e non hanno sicuramente ostacolato il mio risultato».

Per Federica un altro quarto posto, il quarto in gare titolate tra pista e strada
Per Federica un altro quarto posto, il quarto in gare titolate tra pista e strada

Rimpianti? Sì, no, forse…

L’ultima annotazione è sul percorso, mentre gli addetti dell’antidoping pressano perché la lasciamo andare. Dice che per lei asciutto o bagnato non è cambiato molto e che in questo la scuola del cross è preziosa.

«Però – sorride la Venturelli – penso che per alcune altre ragazze gli ultimi giri abbiamo fatto la differenza. Ho visto anche qualcuna ragazza che si è staccata, quindi la pioggia ha reso più insidioso un percorso che già di per sé era complicato da comprendere e su cui muoversi. Non ho rimpianti quando la francese ha attaccato, perché ero davvero tirata, davvero a tutta e quindi non sarei riuscita a starle a ruota. Nel finale, il progetto era quello di attaccare sull’ultimo strappo, però non mi sono sentita le gambe. Forse se fossi entrata in una delle tante fughe, mi avrebbe permesso di far andare la gara in un altro modo, però era troppo dura per correre dietro a chiunque. Sono stati 70 chilometri assolutamente impegnativi, anche senza fare attacchi inutili».

Francia, 13 anni dopo

Il mondiale delle donne junior è andato a Julie Bégo (18 anni), partita al penultimo giro, quando mancavano 22 chilometri al traguardo. La ragazza di Chambery, stagista alla Cofidis da appena quattro giorni, ha mantenuto un vantaggio di una quindicina di secondi in cima alla salita principale del circuito, Montrose Street, e ha finito per vincere da sola davanti alla britannica Cat Ferguson e alla belga Flower Moors. Per gli amanti delle statistiche, la Francia non vinceva un mondiale junior da 13 anni, dai tempi di Pauline Ferrand-Prevot.