Il caso Iannelli: la versione ufficiale, discorso ormai chiuso?

03.03.2025
6 min
Salva

«Il ciclista durante la volata finale tentava il sorpasso del gruppo in cui stava gareggiando, perdendo l’equilibrio della bicicletta, per poi sbilanciarsi alla sua sinistra, così da andare a sbattere con il pedalino sinistro e la ruota anteriore del velocipede sul primo pilastro del cancello del civico 45 di via Roma, per poi cadere con il capo sull’altro pilastro del predetto cancello ed infine sbalzare in avanti di pochi metri, dove rimaneva inerte fino all’arrivo dei soccorsi. In base alle dichiarazioni rese da Giulia Fassina, si appurava altresì che in merito all’accaduto non venivano segnalate irregolarità sportive, in quanto Iannelli avrebbe perso autonomamente l’equilibrio, senza coinvolgimento di terzi ciclisti gareggianti».

Il viaggio nel racconto di Carlo Iannelli prosegue con un estratto del rapporto dei Carabinieri intervenuti, che raccolgono la testimonianza della giudice in moto. La sua relazione parla di una manovra di Giovanni Iannelli, che si è spostato verso sinistra nel tentativo di superare il gruppo lanciato in volata. In quel tratto non c’erano transenne a delimitare la carreggiata né protezioni per impedire agli atleti di finire contro colonne, pali della luce, cestini per l’immondizia. Nonostante sia appena morto un ragazzo di 23 anni, non c’è nulla da segnalare.

La caduta di Giovanni Iannelli avviene in volata e per i rettilinei di arrivo la normativa tecnica prevede dispositivi di sicurezza diversi e specifici che in quel caso sembrano tutto fuorché a norma. Non a caso la giustizia sportiva sanziona gli organizzatori. Eppure nulla di tutto ciò basta per aprire un’inchiesta.

La ruota anteriore non sembra aver urtato un muro a 70 all’ora
La ruota anteriore non sembra aver urtato un muro a 70 all’ora

L’innominabile

A un certo punto si scopre che la maglia bianca dei giovani al Giro d’Italia Giovani U23 del 2020 avrà la sponsorizzazione di Aido, l’Associazione italiana donatori organi. I genitori di Giovanni hanno donato i suoi organi e nella mente di Carlo Iannelli prende forma un’idea.

«Si dà il caso che mio figlio Giovanni abbia corso il Giro d’Italia U23 nel 2018 – dice – portandolo a termine con grande fatica. Nel 2019 muore e dona gli organi, nel 2020 c’è questa piccola opportunità. Così mi metto in contatto con gli organizzatori del Giro, ma anche con la Presidente di AIDO, la dottoressa Flavia Petrin. La chiamo, le spiego quale sarebbe la mia intenzione e lei la accoglie con grandissimo entusiasmo. Dice che sarebbe fantastico, ma io freno il suo entusiasmo, dicendole che non sarà affatto semplice. E infatti quella dedica a Giovanni non si è mai realizzata, perché di Giovanni non se ne deve parlare. Giovanni è diventato un innominabile».

Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Un giovanissimo Edoardo Zambanini conquista la maglia bianca AIDO al Giro U23 del 2020
Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Un giovanissimo Edoardo Zambanini conquista la maglia bianca AIDO al Giro U23 del 2020
E la dottoressa che cosa ha detto?

Una volta che la mia idea viene dichiarata improponibile, la chiamo nuovamente e lei mi dice che ha fatto di tutto, ma non è stato possibile. E io allora le dico che al suo posto ritirerei la sponsorizzazione e lei alla fine ammette che la sponsorizzazione non è diretta di AIDO. Dice che loro sono gli sponsor etici e ci mettono il nome, ma i soldi sono di Chiesi Farmaceutici, un’azienda farmaceutica che produce i broncodilatatori. Quando capisce che sono per questo contrariato e minaccio di farlo sapere in giro, fa un comunicato ufficiale di AIDO, in cui spiega come funziona la loro sponsorizzazione.

Nel frattempo l’inchiesta va avanti?

Viene nominato Roberto Sgalla come consulente del Pubblico Ministero di Alessandria: un tesserato della Federazione come consulente di un’inchiesta in cui si indaga per presunte responsabilità di soggetti tesserati. Prima di questo, Sgalla fa anche il consulente per la Procura della Federciclismo. Eppure nonostante il suo parere, la Procura non solo parla di transenne irregolari, ma parla anche di estrema pericolosità di quel rettilineo d’arrivo. Tant’è che sanziona la società organizzatrice nella misura massima per due gravissime irregolarità direttamente correlata alla morte di Giovanni: cioè la transennatura non conforme e l’estrema pericolosità del rettilineo d’arrivo.

Iannelli ha partecipato al Giro d’Italia U23 del 2018
Iannelli ha partecipato al Giro d’Italia U23 del 2018
L’inchiesta penale non ha sbocchi, ma nel frattempo un accenno di giustizia c’è stato grazie alla causa civile?

Ho fatto quella causa perché non potevo più tollerare le umiliazioni alle quali Giovanni è stato sottoposto. L’ho avviata sulla scorta del primo giudizio sportivo del 2 marzo 2020, che ha sanzionato la società per le gravissime irregolarità direttamente correlate alla morte di Giovanni. Era la sola cosa che potevo fare, senza aspettare la Procura della Repubblica di Alessandria. Ho avviato un giudizio civile in pieno Covid, con tutte le difficoltà per notificare gli atti, perché gli ufficiali giudiziari erano quasi tutti in casa. La causa è andata avanti per quattro anni e si è conclusa il 13 agosto del 2024 con una sentenza di 50 pagine emessa dal giudice civile del Tribunale di Alessandria, la dottoressa Alice Ambrosio.

Si parla di gravi negligenze, si riconosce il suo impianto accusatorio, che però non conta per la giustizia penale?

Si parla di gravissime negligenze di tutti coloro che avevano organizzato la gara, individuabili nella manifesta scarsità di transenne obbligatorie nel tratto finale di gara. Nella mancata protezione delle colonne di mattoni rossi contro cui è andato ad impattare Giovanni, “prospicienti se non addirittura situate sulla sede stradale percorribile dai corridori”.

Per capire il quadro, sua moglie in tutto questo combattere che posizione ha?

Sinceramente non l’ho caricata di tutto questo fardello, ho voluta tenerla fuori, lei e le mie figlie. La cosa fa tanto male a me e non volevo arrecare ulteriore dolore anche a loro, per cui me la sono caricata tutta io sulle spalle e porterò questo fardello finché avrò fiato e forza. Poi quando non ci sarò più, pazienza. E’ una vicenda straziante, sono sei anni che non faccio altro se non rileggere, riscrivere, rileggere e riscrivere. Vi posso dire però che la vicenda non è assolutamente conclusa e spero ci siano delle novità importanti. E che questa storia, come dico e scrivo spesso io, non serva solamente a migliorare il ciclismo, ma serve a migliorare anche questo Paese da certe situazioni, da certi contesti. Lo faccio per tutti i Giovanni Iannelli che sono stati dimenticati. Che sono stati chiusi nei cassetti, che sono stati archiviati dalla cattiveria umana, ma quella cattiveria umana ha nomi e cognomi.

Giovanni Iannelli era un ragazzo di famiglia, innamorato delle sue sorelle e dei cugini
Giovanni Iannelli era un ragazzo di famiglia, innamorato delle sue sorelle e dei cugini
Questo suo martellare sui social è come incatenarsi a un cancello?

Mi sono sottoposto a delle umiliazioni indescrivibili, ma vedrà che prima della fine non escludo che a un cancello mi incatenerò davvero. Anche se facendolo passerei per quello che ha perso la testa. Invece io, purtroppo per loro, sono più lucido di prima. Continuo a lavoricchiare perché non ho rendite, non ho nessun tipo di entrata, se non quelle del mio lavoro. E intanto sto cercando di aiutare tante persone nel mondo del ciclismo, che sono state a loro modo massacrate.

Il primo ottobre 2024, una sentenza civile condanna in primo grado gli organizzatori della gara di Molino dei Torti a un risarcimento, ravvisando tutte le irregolarità tecniche denunciate dalla parte lesa. Il 10 ottobre, Carlo Iannelli presenta ancora ad Alessandria un’istanza di riapertura indagini, che viene respinta il giorno dopo. La motivazione è lapidaria: non è necessario fare ulteriori indagini, perché tutti hanno capito come siano andate le cose. Ma è davvero così? E’ stato fatto tutto il necessario per fare luce su questo immenso disastro?

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Il caso Iannelli: 7 ottobre 2019, la morte del figlio Giovanni

Il caso Iannelli: le ricostruzioni che non tornano

Il caso Iannelli: le ricostruzioni che non tornano

02.03.2025
8 min
Salva

Giovanni Iannelli muore a 23 anni, contro una colonna di mattoncini rossi priva di transenne a 150 metri dal traguardo. Il video della caduta in volata è sgranato e mosso, ma rende il senso dell’immobilità dopo l’urto. Ne hanno parlato i giornali e, come raccontato nell’articolo di ieri, anche il Ministro dello Sport Abodi. Ne hanno parlato Le Iene, eppure nulla si muove. Solo un giudizio civile per il momento ha condannato gli organizzatori, ma in quella sentenza Carlo Iannelli, suo padre, non ha mai visto il seme della giustizia. Al punto di aver detto più volte che vi rinuncerebbe, a patto che venga celebrato un processo penale.

Nel frattempo continua a scrivere sui social di tutti per richiamare l’attenzione. Come per incatenarsi davanti agli occhi e le coscienze di tutti quelli che, a vario titolo, possono immaginare ciò che accadde in quella casa il 5 ottobre del 2019. 

Suo padre Carlo gli passa la borraccia: una scena che in Toscana era decisamente abituale
Suo padre Carlo gli passa la borraccia: una scena che in Toscana era decisamente abituale
Avvocato Iannelli, l’abbiamo lasciata all’ospedale di Alessandria, ripartiamo dall’ultima domanda: che cosa accade dopo?

Scopro che la corsa è stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico.

Come fa a dirlo?

Io c’ero arrivato da me, comunque è scritto nella sentenza del giudizio civile.

Visto che lei ha fatto parte a lungo della macchina federale, capitava spesso che ci fosse questo tipo di mancanze?

Quando ero vicepresidente del Comitato Regionale Toscano, ero tra quelli che nominava il responsabile della struttura tecnica, che all’epoca era Alessandro Rolfi. E Alessandro mi chiamava, anche di notte, e mi diceva: «Carlo, hanno presentato il programma di gara e non ci sono i documenti relativi alla sicurezza». E io gli dicevo: «Alessandro, sospendi tutto. Chiama la società e fa integrare quella documentazione». Perché quei documenti sono essenziali. Significa che la società ha fatto una verifica delle condizioni di sicurezza. Il programma di gara così approvato le consente di fare il giro dei vari Enti interessati dalla manifestazione per chiedere le autorizzazioni.

Cosa ha scoperto per la gara di Molino dei Torti?

In quel caso, il programma di gara viene presentato il 29 agosto 2019 e viene approvato dalla Struttura Tecnica del Comitato Regionale Piemontese. Il responsabile era Luca Asteggiano. E’ quel signore che fa il video ed è grande amico di Imere Malatesta, il direttore sportivo di mio figlio, che nel video bestemmia. E che però, quando viene chiamato dai Carabinieri di Lucca per essere sentito sull’accaduto, fa delle dichiarazioni che il Pubblico Ministero richiamerà nel decreto di archiviazione.

Via Roma a Molino dei Torti, il tratto di strada in cui è avvenuto l’incidente oggetto della relazione di Gianni Cantini
Via Roma a Molino dei Torti, il tratto di strada in cui è avvenuto l’incidente oggetto della relazione di Gianni Cantini
Che cosa dice Malatesta?

Nonostante abbia appena perso un corridore, mio figlio, dice che il circuito in questione a suo avviso è semplice. Che non era una gara da considerare pericolosa, poiché sono altre le strade o i tracciati pericolosi. Dice che rientra nella “media” delle gare, che non ha notato anomalie e per questo non ha ritenuto di fare alcuna segnalazione.

Quando ha cominciato a capire che nelle varie versioni qualcosa non tornava?

Subito. Con quei pochi documenti raccolti nei giorni successivi alla morte di Giovanni, ho incaricato Gianni Cantini, un direttore di corsa internazionale e docente in materia di sicurezza alle corse ciclistiche, di prepararmi una relazione tecnica. Dopo una quindicina di giorni sono stato ricevuto dal Pubblico Ministero di Alessandria, Andrea Trucano. L’appuntamento era fissato per le 15. Così la mattina sono andato a Molino dei Torti: non c’ero ancora stato e ho fatto un video in cui si vedono tutti quegli ostacoli mortali. Quella strada è costellata di ostacoli mortali. Farci disputare una volata, ma anche il passaggio dei corridori è una follia.

Cosa le dice il Pubblico Ministero?

Entro nella sua stanza insieme al mio avvocato e sulla scrivania c’è un fascicolo con scritto: Giovanni Iannelli. Trucano lo apre di fronte ai miei occhi e dentro non c’è niente. E’ vuoto, neanche un verbale della Polizia Municipale. E’ morto un ragazzo, gli dico, ma lui mi guarda e solleva le spalle per confermare che è così. Poi mi dice di aver studiato i codici, ma che di corse non sa niente. Così io gli rispondo che siccome mi aspettavo questa sua obiezione, ho portato la relazione di Gianni Cantini.

Che cosa c’è scritto in quella relazione?

Sono 10 pagine in sui si parla di tragedia annunciata. E nella chiusura, Cantini aggiunge che per la sicurezza della gara fosse doveroso fare molto di più di quanto non sia stato fatto il 5 ottobre 2019. Si chiede, anzi, come sia stato possibile che la Direzione di Corsa abbia permesso di dare il via alla gara in assenza delle minime misure di sicurezza necessarie. Non c’erano transenne a sufficienza e non c’erano protezioni per gli ostacoli sporgenti, come quella colonna. E conclude chiedendosi come sia possibile che il verbale di gara del Collegio di Giuria non segnali e non sanzioni alcuna mancanza tecnico organizzativa.

Giovanni Iannelli studiava economia Aziendale. Qui è con Rebecca, la compagna conosciuta al liceo
Giovanni Iannelli studiava economia Aziendale. Qui è con Rebecca, la compagna conosciuta al liceo
Come si conclude l’incontro con il Procuratore di Alessandria?

A un certo punto, dopo due ore, io e il mio avvocato stiamo per alzarci e il Pubblico Ministero dice che il Procuratore Capo vuole salutarci. Esce dalla sua stanza e rientra dopo pochi secondi con il Procuratore Capo di Alessandria, Enrico Cieri, amico del professor Renato Balduzzi, padrino di quella corsa ciclistica e già Ministro della Salute del governo Monti.

In cosa consiste il saluto?

Enrico Cieri si mette seduto, mentre io probabilmente non parlavo in maniera pacata, diciamo che forse ero un po’ esagitato. E lui dice: «Avvocato, avvocato, non stiamo parlando di criminali. Stiamo parlando eventualmente di organizzatori negligenti». In quel momento ho una strana sensazione, come se il discorso fosse già chiuso. Ma per chiarire se sia stata negligenza o colpa, sarebbe stato interessante avere i tabulati telefonici del 5 ottobre 2019, per capire qualcosa di più su eventuali contatti. Ma i tabulati non li abbiamo visti. Un processo servirebbe a questo: anche semplicemente a fugare ogni sospetto. 

Ci sono stati invece dei contatti fra Carlo Iannelli, il papà di Giovanni, e l’organizzatore della corsa in cui il figlio è morto?

Assolutamente no! Ho visto il presidente della società Ennio Ferrari e il sindaco di Molino dei Torti al funerale di mio figlio. Dopodiché non ho più avuto nessun tipo di rapporto, nessuno.

Che cos’altro non torna secondo lei nella ricostruzione ufficiale?

La deposizione del Commissario di Giuria in moto: Giulia Fassina. Per verificarla sarebbe bastato che in Procura avessero periziato il video, da me portato al Pubblico Ministero Andrea Trucano, la prima volta ci sono andato. Gli dissi che avrebbe potuto recuperare il file originale dal telefono di Luca Asteggiano che lo aveva girato e forse su quello la perizia sarebbe stata più agevole. Ma il telefono non è stato preso e il video non è stato periziato. Comunque a prescindere da questo, basta andare sul posto, in via Roma a Molino dei Torti, e mettersi nella posizione dove era Giulia Fassina, cioè in via Luigi Einaudi. Nel video la si vede arrivare con la moto e il casco arancione.

Che cosa ha testimoniato Fassina?

Ha dichiarato che si trovava a 10-15 metri dal punto dell’incidente, quando in realtà i metri sono circa 70 e per giunta era dalla parte opposta della strada. Con il casco in testa, le persone davanti e i corridori che passavano, non può aver visto nulla di così chiaro. Tanto che lei stessa si tradisce e la tradisce anche Luca Botta, il Presidente del Collegio di Giuria, quello secondo cui non c’era nulla da segnalare.

Come la tradisce?

Di fronte alla Procura federale, il Procuratore Nicola Capozzoli fa un’eccezione. Le fa presente che Luca Botta, che si trovava sull’auto del Presidente di Giuria, ha detto che si erano sentiti via radio nell’immediatezza e lei gli avrebbe detto che non aveva visto nulla. Ma davanti alla Procura, Fassina dice che probabilmente Luca Botta si è sbagliato, che lei non gli ha mai detto di non aver visto nulla. 

E’ riuscito a ricostruire quanto accadde dopo la caduta?

Il corridore che dà il colpo al manubrio a Giovanni è il dorsale 51, Niccolò Tamussi della Delio Gallina. Cade anche lui e si frattura lo scafoide. Nonostante abbia questa frattura, immagino anche dolorosa, viene preso e portato in una stanza di fronte al Collegio di giuria e gli chiedono cosa sia successo. Poi non lo portano dai Carabinieri, che erano già lì. Lo mandano via, chiudono le porte della stanza, si riuniscono e alla fine la versione ufficiale è quella che Giulia Fassina ripete quando le viene chiesta.

E’ certo che Tamussi non abbia parlato con i Carabineri?

Tamussi è stato contattato da mia figlia Margherita. E in una chat, che ovviamente ho portato alla Procura, le racconta come sono andate le cose. Chat che a quando pare la Procura ha completamente ignorato. Mentre il direttore sportivo di Tamussi prende un pezzo di pedale, che si è frantumato nell’impatto contro la colonna, e va dall’accompagnatore della squadra di mio figlio. Gli dice: guarda che cosa è successo, a Giovanni si è rotto il pedale e per questo è caduto.

Non è possibile?

Guardate le foto della bici e delle scarpe di Giovanni. Quello è un pedale che si è sbriciolato nell’impatto, non un pedale che si è rotto mentre pedalava. A questo si aggiunge la voce di un corridore che era accanto a Giovanni, Dario Salvadori. Quel giorno era in corsa e probabilmente ha continuato a seguire la vicenda. Legge i giornali, legge la storia del pedale rotto, si registra ad una testata online e scrive parole precise. Il senso è: non scrivete cavolate, non è stata la rottura di un pedale a far sbandare Giovanni, quanto piuttosto un corridore che è voluto passare dove non c’era lo spazio. E così facendo ha urtato il manubrio di Giovanni che è partito per la tangente senza neanche avere il tempo per rendersene conto. Io questo ragazzo non lo conosco neanche, sono entrato in contatto con lui, ho portato tutto alla Procura, ma non è successo niente. Di tutto quello che stiamo dicendo ci sono prove documentali, è tutto scritto. Eppure non ci sono orecchie per intendere, capite? Zero. Perché non si deve fare questo processo?

Il caso Iannelli: 7 ottobre 2019, la morte del figlio Giovanni

01.03.2025
6 min
Salva

«Negligenza, imperizia, imprudenza – dice Carlo Iannelli – gli estremi basilari della colpa penale. Sarebbe bastato che venisse celebrato un giusto processo per omicidio colposo, mettendo nel piatto che questi signori venissero anche assolti. Sarei stato il primo a battere le mani. Non posso accettare che non si faccia un processo davanti alla morte di un ragazzo di vent’anni e in presenza di elementi a iosa. C’è qualcosa di strano, oppure no? Un processo sarebbe servito anche a concentrare davvero l’attenzione sul tema trascurato e ignorato della sicurezza».

L’avvocato di Prato, padre di Giovanni Iannelli morto in una corsa piemontese di cinque anni fa, dice tutto d’un fiato e così per un’ora e mezza di intervista. I più lo hanno bloccato, perché i suoi interventi sui social sono fastidiosi e irriverenti. Eppure, visto l’argomento, bloccarlo ci è parsa una mancanza di rispetto. Oggi proviamo ad ascoltare e capire perché questo padre avvocato cammini da cinque anni sul filo della pazzia, cercando invano di arrivare a un processo. Abbiamo diviso questa intervista in più puntate, che pubblicheremo oggi e nei prossimi giorni.

La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite
La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite

La sponda del Ministro

Perché il Ministro dello Sport dovrebbe parlare ripetutamente di questo caso, se tutto fosse davvero a posto? Anche giovedì, durante la presentazione della Coppa Italia delle Regioni, Andrea Abodi ha fatto un riferimento alla vicenda. Come aveva già fatto il 25 gennaio all’indomani della morte di Sara Piffer.

«Il tema della sicurezza – ha detto il Ministro – purtroppo assurge alle cronache quando succede qualcosa che lascia il segno nella vita delle persone, delle famiglie. Ci sono ancora troppi morti, questo vale nei giorni normali, ma vale anche nei giorni delle competizioni. Qua ci sono ancora dei temi irrisolti. Io vorrei che a fronte di morti durante le competizioni, ci fosse un accertamento puntuale, tempestivo, efficace, credibile, convincente delle responsabilità. Non cerchiamo un colpevole, cerchiamo l’individuazione di modelli di sicurezza che, anche attraverso l’esperienza drammatica di chi se n’è andato, ci consenta di essere sempre più efficienti proprio sul fronte della sicurezza».

L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
Carlo, ci dica, chi era suo figlio Giovanni?

Giovanni era un ragazzo esemplare, un corridore esemplare, il cui solo errore è stato quello di amare la bicicletta e il ciclismo. Per Giovanni il ciclismo non era una ragione di vita, era una cosa bella della sua vita. A lui piaceva andare in bicicletta per la sensazione di libertà che provava, ma mio figlio non era solo un ciclista. Era anche uno studente, un ragazzo di 22 che aveva un foltissimo gruppo di amici non solo nel mondo del ciclismo. Giovanni era tante altre cose. Era la bontà, la bellezza fatta persona. Chiunque l’abbia conosciuto è concorde nell’attribuirgli grandissime doti di umanità, di generosità, di lealtà e di correttezza. Questo era Giovanni. Un ragazzo che non meritava certamente di finire così e non meritava il trattamento che gli stanno riservando.

Che cosa ricorda di quel 5 ottobre del 2019?

Ero al primo piano di casa mia, a Prato, e stavo guardando il Giro dell’Emilia, vinto da Primoz Roglic. Mia moglie invece era nella stanza accanto. A un certo punto, era finito da pochi minuti il Giro dell’Emilia, la sento urlare e sento un tonfo. Vado di là ed era lei che aveva il telefonino in mano e me lo mostrava: «Caduta a Molino dei Torti, un corridore dell’Hato Green immobile a terra». E lì mi si gela il sangue, perché i velocisti della squadra erano due, quella era una corsa per velocisti. Poteva essere Giovanni oppure Lorenzo. Quindi mi sono attaccato al telefono cercando di parlare con qualcuno della squadra, ma nessuno mi rispondeva perché erano momenti concitatissimi.

E poi?

Ad un certo punto riesco a parlare con Imere Malatesta, il direttore sportivo di Giovanni, e lui mi dice che lo stanno portando con l’elicottero ad Alessandria. Io non mi ricordo neanche cosa avessi addosso, se ero vestito, se avevo un pigiama, non me lo ricordo. Mi ricordo che prendo le chiavi della macchina e dico a mia moglie: «Partiamo!». Non so come ho fatto ad arrivare ad Alessandria, veramente non lo so come ho fatto. Durante la strada, cercavo sempre di mettermi in contatto con qualcuno, però nessuno mi rispondeva. A un certo punto, arrivato a circa 50-60 chilometri da Alessandria, mi telefona l’altro direttore sportivo, Mirko Musetti. Io ovviamente mi fermo sulla corsia d’emergenza e lui mi dice: «Guarda Carlo, Giovanni è in rianimazione. Questo è il numero, telefona subito alla rianimazione».

Cosa le dicono?

Telefono subito e mi risponde un dottore, il quale parte da lontano. Mi dice che mio figlio ha avuto un incidente in bicicletta, ma io gli dico che so tutto e voglio sapere come sta. E lui parla di «una sorta di tempesta perfetta». Nel senso che si sono assommate delle circostanze che hanno reso il quadro molto critico. E poi al termine della telefonata mi chiede dove mi trovi. Io gli dico che sono sull’autostrada e mi manca poco per raggiungere l’ospedale. E lui mi dice: «Guardi, vada piano, piano, piano, piano». Ho pensato che fosse morto e ovviamente non sono andato piano. Sono arrivato alla rianimazione di Alessandria e in tarda serata sono potuto entrare nella rianimazione.

Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Che cosa ha trovato?

Giovanni era stato sottoposto a un intervento disperato. Se fosse capitato a una persona anziana, non sarebbero neanche intervenuti. Ma avendo vent’anni, hanno provato l’impossibile. La verità è che Giovanni purtroppo è morto sul colpo, perché l’impatto con la testa contro quella colonna di mattoni rossi a 70 chilometri orari è stato devastante. Era steso nella rianimazione, attaccato alle macchine. Era caldo. Respirava. Era bello come un dio greco, in faccia non aveva nulla, perché la lesione era nella parte posteriore della testa. Aveva solamente questo turbante in testa e appena qualche piccola sbucciatura. E’ rimasto così fino a lunedì 7 ottobre 2019, quando ci hanno chiamato i medici e ci hanno dato la notizia che Giovanni era morto. Io e mia moglie ci siamo consultati neanche più di tanto e abbiamo deciso di optare per l’espianto degli organi. Abbiamo scoperto poi dalla sua fidanzata che Giovanni si era detto favorevole casomai gli fosse successo qualcosa, per dimostrare il suo altruismo, nella vita di ogni giorno e nel ciclismo. Si metteva a disposizione, era veramente l’amico che tutti vorrebbero avere. Quando eravamo alla rianimazione, da Prato è partito un gruppo di ragazzi, amici al di fuori del ciclismo. Ho visto questi coetanei di Giovanni, quindi poco più che ventenni, che facevano fatica a camminare…

Che cosa accade dopo?

Io per oltre trent’anni mi sono occupato di ciclismo. Sono stato per dieci anni presidente della Ciclistica Pratese, organizzando corse per tutte le categorie, dai giovanissimi fino ai professionisti, con il Gran Premio Industria e Commercio. Sono stato per otto anni vicepresidente del Comitato Regionale Toscano della Federciclismo. Sono stato per 15 anni un giudice agli Organi di Giustizia sempre eletto dalle varie assemblee: regionale e nazionale. Non mi ha mai nominato nessuno. Questo per dirle che io ho tutto chiaro sin dall’inizio, chiarissimo. E così, appena mi sono un po’ ripreso, ho iniziato a fare un’investigazione per conto mio, con i miei modestissimi mezzi. E ho scoperto che a fronte di un rettilineo di arrivo particolarmente pericoloso, quella corsa era stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico…

Cannibal Team, una squadra fuori dagli schemi

05.09.2022
6 min
Salva

Guardando settimana dopo settimana l’andamento dell’attività juniores internazionale, è facile notare come ai primi posti delle grandi prove, sia a tappe che d’un giorno, ci siano due team che spopolano. Uno è l’Auto Eder che abbiamo visto essere l’emanazione fra i più giovani della Bora Hansgrohe. La storia del Cannibal Team, che già dal nome sembra incutere terrore, è ben diversa. Formazione di nascita belga, è qualcosa che va molto al di là: una vera e propria multinazionale di talenti, con corridori che provengono da ben 17 Nazioni.

Un team che fa dell’originalità il suo punto forte e lo si capisce già dalla sua singolare storia, raccontata con infinita passione dal suo direttore sportivo Francis Van Mechelen.

«L’idea è nata una decina di anni fa a me e mia moglie, Erika Aliskeviciute – spiega – che correva e che è ora la presidente del team. Eravamo in Lituania allora e volevamo dare la possibilità di fare ciclismo ai nostri figli Vlad e Gloria, ma non trovavamo un team adatto».

Erika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad e Gloria Van Mechelen
Erika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad Van Mechelen

«Così abbiamo pensato di fare da soli, facendo una squadra solo di coetanei dei nostri figli (Vlad è del 2004, Gloria due anni più grande). Loro crescevano, passavano di categoria e lo stesso faceva il team, facendo crescere con loro altri ragazzi che arrivavano da ogni parte del mondo, fino ad arrivare alla realtà attuale con 24 corridori di 17 Paesi diversi».

Perché avete scelto questa soluzione?

Noi abbiamo scelto inizialmente ragazzi provenienti da Paesi dove il ciclismo non è uno degli sport maggiormente praticati, per dare loro modo di vivere la propria passione, ma pian piano siamo cresciuti e l’idea con noi. Noi viviamo in Lituania, il Paese di mia moglie, ma i ragazzi sono in Belgio per seguire l’attività. Abbiamo ben chiaro ciò che vogliamo fare noi e vogliono fare i nostri ragazzi, dobbiamo solo metterli nelle condizioni migliori per raggiungere i loro limiti. Non è un caso se Vlad è l’unico belga del team.

Da sinistra Ermakov (RUS), Van Mechelen (BEL), Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)
Da sinistra Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)
La particolarità, visto il momento storico, è che al suo interno ci sono ciclisti russi, ucraini e americani…

Per noi questo è molto importante. I ragazzi sono cresciuti insieme, sono amici tra loro e la guerra gli è piovuta addosso. Sono un esempio di come lo sport trasmetta messaggi ben diversi da quelli che sentiamo nei telegiornali. Sono qualcosa da raccontare ai giovani, per far capire che è lo sport il terreno adatto per competere, in maniera leale, in comunità, restando amici. I corridori russi sono arrivati molti mesi fa, hanno iniziato ad allenarsi con gli ucraini e hanno subìto la guerra esattamente come i loro coetanei provenienti dall’altra parte. Odiano la guerra allo stesso modo, sono vittime come noi perché la guerra non ha vincitori, fa solo vittime.

Tra tanti ciclisti non ci sono italiani. Avevate pensato a qualche corridore nostrano da contattare?

Grazie per la domanda perché mi consente di sottolineare come i rapporti con il ciclismo italiano e la sua federazione siano sempre difficili. Ogni volta che partecipiamo a una gara italiana dobbiamo sempre presentare una marea di documenti, quando si gareggia in Belgio come in qualsiasi altro Paese è tutto molto più semplice. Nel corso degli anni, anche pochissime settimane fa, abbiamo ricevuto tante richieste da parte di corridori italiani e ne prenderemmo volentieri e vogliamo farlo, ma gli ostacoli che la Fci pone sono davvero enormi. Vi faccio un esempio…

Vlad Van Mechelen fra Ragilo, 1° alla Junioren Rundfahrt e Ermakov, 1° alla Route des Geants
Vlad Van Mechelen, 3° nella penultima tappa in Lunigiana, con Ermakov, 1° alla Route des Geants
Prego…

Ad inizio anno mio Vlad era venuto in Italia per il Giro di Primavera a San Vendemiano, non volevano farlo partire, per fortuna ho trovato persone alla federazione belga che al sabato hanno trasmesso i documenti richiesti, così Vlad ha potuto correre e finire secondo. Bisogna che in Italia qualcosa cambi, non è possibile continuare così, sia per gareggiare, sia per favorire gli scambi, che poi rappresentano un’insostituibile esperienza di crescita.

A tal proposito, come vivono insieme?

Noi abbiamo corridori che vengono da Paesi come Usa o Australia, che hanno bisogno di un visto e possono restare 3 o 4 mesi. Sono quelli delle gare, poi ripartono e tornano successivamente. Quelli europei hanno più facilità di movimento, raggiungono il punto base per un paio di settimane legate all’evento, poi tornano a casa. Noi abbiamo una Team House frequentata da almeno 6-7 ragazzi ogni giorno: fanno tutto insieme, dalle faccende domestiche alle uscite di svago, dallo studio agli allenamenti. Si vive come una vera famiglia e questa comunanza si traduce anche in gara, dove corrono davvero come un gruppo unito.

Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)
Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)
Siete collegati a qualche squadra WorldTour?

Proprio nelle ultime ore abbiamo stretto un rapporto con un team WorldTour come formazione Development, ma lo annunceranno loro. Intanto però i nostri ragazzi hanno già siglato accordi con formazioni U23 dell’area WorldTour: mio figlio e l’estone Ragilo andranno al Team DSM, l’americano Shmidt all’Hagens Berman Axeon, ma anche altri si muoveranno.

Fra loro c’è anche suo figlio Vlad: correre con tanti stranieri lo ha fatto crescere?

Enormemente e non solo come corridore. Noi abbiamo iniziato a far correre i nostri ragazzi quando avevano 10-11 anni, hanno corso in tutta Europa, anche alla vostra Coppa d’Oro, questo li ha portati a gareggiare nelle gare junior Uci senza stress, quasi fosse normale e devo dire che questo atteggiamento mentale ce l’hanno anche i ragazzi italiani, molti dei quali ad esempio parlano bene inglese. Io ho visto Vlad maturare tantissimo come persona e questo serve anche agonisticamente, come si è visto al recente Giro della Lunigiana. Ora è già stato convocato per i Mondiali e ci aspettiamo tanto.

Vlad con due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)
Due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)
Chi sono gli elementi più promettenti?

Sono tanti quelli che possono far bene anche fra i pro’, ma il migliore probabilmente è Roman Ermakov e mi dispiace sinceramente che l’Uci non gli permetta di poter competere ai mondiali penalizzandolo solo per colpa del suo passaporto, penalizzandolo per colpe non sue. Avrà comunque un grande futuro.

Riguardo a questi ragazzi, qual è il suo sogno?

Quando i ragazzi erano piccoli, il sogno era farli salire di categoria in categoria. Ora vogliamo che arrivino al WorldTour, noi intanto andremo avanti, cercheremo di prendere 2-3 ragazzi da ogni Paese e farli crescere insieme, non solo ciclisticamente. Ad esempio i nostri ragazzi hanno tutti appreso l’inglese in massimo 3 mesi. Li facciamo crescere insieme, vivere insieme, diventare uomini veri. Siamo aperti, nonostante tutto, anche a portare da noi qualche italiano: chi volesse può scriverci a cannibalcycling@gmail.com presentandosi con il proprio curriculum. A noi piacerebbe molto…

La dolorosa battaglia di Carlo Iannelli, con i social come arma

04.09.2022
5 min
Salva

«Lo so che faccio la figura del rompic… – esordisce Carlo Iannelli – non sono un leone da tastiera, ma che cosa devo fare? Quale altro strumento ho per far capire che si sta perpetrando una grave ingiustizia, coprendo non solo chi è stato chiamato in causa, negando la possibilità di arrivare alla verità?».

7 ottobre 2019. Quel giorno finisce, troppo troppo presto, la vita di Giovanni Iannelli, promettente corridore pratese vittima di una caduta all’87° Circuito Molinese di Molino dei Torti, gara under 23 in provincia di Alessandria. Quel giorno finisce anche la vita, per come era stata fino ad allora dedicata alla famiglia, al lavoro, al sostegno della passione del figlio, per Carlo Iannelli, avvocato toscano (padre e figlio sono insieme nella foto di apertura).

Iannelli sprint
Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista
Iannelli sprint
Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista

La vita strappata a 22 anni

Ne inizia un’altra, che si tramuta ben presto in una lotta quotidiana, interminabile, per rendere giustizia a suo figlio. Un autentico inferno, fatto di aule di tribunale, carte bollate, documenti su documenti, un labirinto che non porta mai da nessuna parte.

Giovanni muore a 22 anni. Cade in volata, finisce contro un pilastro di mattoni, a meno di 150 metri dal traguardo. Le immagini tv, le foto scattate (in rete sono ancora disponibili) dimostrano chiaramente che pur essendo una gara nazionale (come se questo dovesse fare la differenza) non ci sono protezioni adeguate. Quelle protezioni minime necessarie per gestire in sicurezza un evento ciclistico, neanche le transenne se non per gli ultimi 40 metri.

La vicenda prende subito una piega strana: il rapporto dei Carabinieri segnala il loro arrivo sul luogo dell’incidente alle 16,15, la gara si conclude alle 16,24… Non vengono fatti rilievi, misurazioni, non vengono scattate foto né sentiti testimoni tra cui gli altri ciclisti coinvolti nella caduta. Sul verbale si scrive che Giovanni è caduto in maniera autonoma per l’alta velocità, in fase di sorpasso di altri corridori. Il rapporto della giudice di gara segnala che il corridore è stato “incauto”.

Iannelli vittoria
Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014
Iannelli vittoria
Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014

Un cammino di umiliazioni

Questa è solo la prima umiliazione che deve subire Carlo. Nel corso dei mesi, delle udienze, delle arringhe ne arrivano tante altre, affermazioni che fanno rabbrividire come quella dell’avvocato difensore del Comune di Molino dei Torti (chiamato a rispondere in sede penale insieme alla società organizzatrice, ai due direttori di corsa, presidente di giuria e Comitato Regionale Piemontese della Fci): «I genitori hanno altri figli e i nonni altri nipoti».

A tre anni di distanza, Carlo è provato, ma non domo: «Due anni dopo è arrivata l’archiviazione da parte della giudice di Alessandria – dice – negando così la possibilità di un processo. Ho percorso mille altre vie legali per far riaprire il caso, trovando spesso porte chiuse e, quando anche qualcuno si rendeva conto di quanto stava accadendo, si scontrava con il classico muro di gomma. Ricorsi rigettati senza neanche essere esaminati nel merito, appena ricevuti. Ma io non mi arrendo, lo devo alla memoria di mio figlio».

Iannelli Roubaix
13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)
Iannelli Roubaix
13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)

Le due vite di Carlo

La vita di Carlo, che ha sempre vissuto nel ciclismo, da presidente di società a giudice di gara, affiancando quella sua passione al lavoro e corroborandola al seguito di suo figlio Giovanni, passa attraverso due binari. Uno è il costante impegno in sede legale per riuscire ad avere un processo dove finalmente si possa quantomeno discutere di quel che avvenne quel maledetto pomeriggio. L’altro passa attraverso i social.

Molti avranno fatto caso che su Facebook come su Instagram, sotto moltissimi post ciclistici ma anche di altri argomenti, compare Carlo che pubblica gli aggiornamenti su come sta andando la sua battaglia legale. Per certi versi sembra un novello Don Chisciotte, con uno smartphone al posto della lancia, unica arma per combattere uno status quo granitico.

Iannelli Pantani
Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo presto
Iannelli Pantani
Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo presto

La similitudine con Pantani

La sua storia per certi versi ricorda la tenacia con cui Mamma Tonina ha continuato a lottare, giorno dopo giorno, per arrivare alla verità sulla morte di suo figlio Marco Pantani.

«Io ho iniziato ad andare in bici guardando Marco – dice – custodisco in ufficio una foto con lui, mio fratello e Giovanni da bambino. Sono pienamente convinto che dietro la sua morte e le sue vicende precedenti ci sia stato un complotto, ma le similitudini si fermano qui, le circostanze sono troppo diverse».

Il dolore che traspare a ogni sua parola, tanto sofferta quanto soppesata, si mischia alla tenerezza alla domanda su chi fosse Giovanni Iannelli.

«Un ragazzo d’oro, corridore esemplare, che interpretava questo sport con una passione enorme, ma senza cedere mai a nessuna lusinga, a qualsiasi scorciatoia. Si era tesserato a 5 anni, ancor prima di avere l’età per gareggiare da bambino. Ha fatto tutta la trafila, ha iniziato a vincere al primo anno junior, vicino a Signa, battendo in un colpo il campione toscano Baldini e quello italiano Trippi.

Iannelli nazionale
La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme
Iannelli nazionale
La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme

La chiamata in azzurro

«Un giorno al suo diesse Mirco Musetti arrivò la chiamata di Rino De Candido, selezionatore della nazionale juniores: voleva Giovanni per la Parigi-Roubaix di categoria. Mio figlio si ritrovò in squadra con Ganna, Affini, Plebani. Era entusiasta. In gara forò dopo 40 chilometri perdendo il treno giusto, ma volle finirla a tutti i costi, anche se fuori tempo massimo».

Il 7 ottobre saranno tre anni che Giovanni non c’è più. Carlo continua la sua battaglia: «Chiedo solo che un magistrato abbia il coraggio di andare contro il sistema, di esaminare tutte le carte. Di capire che quel giorno sono state commesse gravi mancanze che hanno portato alla morte di mio figlio e che le stesse sono state artatamente coperte. Io continuerò a lottare e a raccontare la mia battaglia».

Quando troverete i suoi commenti in fondo a qualsiasi post, forse da ora in poi li guarderete in modo diverso…