Il prossimo 18 maggio il Giro d’Italia affronterà la Gubbio-Siena, nona frazione. Sarà questa la Tappa Gino Bartali. L’immenso, l’Intramontabile, come veniva chiamato, ha una tappa a lui dedicata dal 2000. Quest’anno ricorrono 25 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 5 maggio di quell’anno.
Bartali è stato uno dei giganti del pedale. Un mito in carne ed ossa. Partendo da questa frazione, abbiamo voluto parlare di lui con sua nipote Gioia, per ricordare l’uomo, il nonno, oltre che il campione. E sapere cosa rappresenta per lei questa commemorazione così speciale.
Gioia, quante cose ci sarebbero da raccontare su suo nonno. Iniziamo parlando della Tappa Bartali del Giro…
Mi ricordo che qualche anno fa a premiare la tappa Bartali ci fu Vittorio Adorni, che conoscevo già ed era una persona bravissima. Gli scrissi un messaggio, una battuta come per dire: ci sei tu, non ci sono io! Io ho avuto il privilegio di premiare la tappa Bartali nel 2018, a Gerusalemme. Quando il Giro partì da Israele ci furono grandi onori per il nonno. Fu una grandissima emozione, anche per il contesto.
Ricordiamo che Gino fu nominato Giusto tra le Nazioni per il suo impegno durante la Seconda Guerra Mondiale…
Per me fu un privilegio e mi auguro che presto ci sia l’opportunità di presiedere nuovamente a questa premiazione. Portare il ricordo e la memoria di mio nonno non è il mio lavoro. E’ qualcosa che faccio per la passione che mi lega a lui.
Come è nata l’idea della Tappa Bartali?
Come si suol dire, l’abbiamo scoperto dai giornali. Non c’è stata una comunicazione ufficiale alla famiglia, ma credo sia comunque bellissimo.
Quest’anno la tappa Bartali è in Toscana, come è successo spesso. C’è un criterio per sceglierla o dipende solo dalla geografia?
Sinceramente non conosco la dinamica con cui viene stabilita la tappa Bartali, ma è indubbio che una tappa in Toscana significa celebrare il suo amore per la sua terra. Nonno Gino era innamorato di Firenze. Aveva anche una casa a Siena. Magari non mi immagino una tappa Bartali in Piemonte a casa di Coppi! Ricordo un’intervista in cui disse: «Io sono e mi sento italiano, quindi preferisco pagare più tasse, però voglio restare qui». Firenze era il suo mondo, la sua storia, le sue origini.
Ha nominato Firenze, da dove è partito il Tour de France l’anno scorso. Abbiamo parlato con Prudhomme e sembrava colpito dalla figura di Bartali. I francesi l’hanno celebrato più di noi?
E’ andata sicuramente benissimo per quanto riguarda la figura del nonno, un po’ meno per quanto riguarda il coinvolgimento. Ho comunque fatto un intervento a piazzale Michelangelo dove ho detto che il nonno ha ancora tanto da dare. Sono passati 25 anni dalla sua scomparsa, ma il suo ricordo è in crescendo. Prima era mio padre Andrea, figlio primogenito, a portarlo avanti…
Chiaro…
E nel tempo questa memoria è cresciuta. C’è gente che mi dice: «Ho la foto di tuo nonno». «Ho l’autografo di Bartali». Chi mi invia poster… Il tramandarsi continua, di generazione in generazione. Una memoria che ha avuto un inizio, ma non vedo una fine. Mi parlano spesso anche della foto dello scambio della borraccia.
E lei cosa risponde?
Che tra i due c’era un enorme rispetto e una grande amicizia anche fuori dalla bici. Nonno diceva che lo sport senza solidarietà era inutile. Quella foto li ritrae con la borraccia tra le mani, ma mi ha detto che tante volte se l’erano scambiata. Non importava chi la dava a chi. Diceva che Fausto era una delle persone più corrette. Nonno soffriva molto gli sgarbi, le cattiverie… anche quelle scritte dai giornali. Leggeva tutto. Quando partì per il Tour del ’48 i titoli dei giornali scrivevano: Gino il vecchio.
Che poi quel Tour lo vinse…
Ha subito certe cose e da toscanaccio verace ci stava male. Riguardo a Coppi va detto anche che la stampa ha enfatizzato tanto quella rivalità. Bisognava tenerla viva, specie con due personaggi così grandi. Di buono c’è che anche noi, nipoti e figli, siamo diventati amici. Ho un bellissimo rapporto con Faustino e Marina Coppi, e anche con la pronipote di Girardengo, Michela.
Quando si è resa conto da bambina di avere un nonno così importante? C’è un momento preciso?
Sono cresciuta con la consapevolezza del suo personaggio. L’ho toccata con mano. Magari si andava in un ristorante e la gente lo salutava, gli stringeva la mano, o tutto il locale si alzava per applaudirlo. Per una ragazzina queste cose fanno effetto. E io ero un po’ vergognosa!
E ora continua a portare avanti il suo ricordo…
Quando partecipo a eventi dedicati al nonno, parlo da nipote. Non porto mai un testo scritto. Il Gino Bartali corridore lo conoscono. Io porto l’uomo, il nonno. Racconto il mio affetto.
Le è mai capitato che le raccontasse di una corsa?
No, però per caso, all’inizio degli anni ’90 sono andata a trovare lui e mio padre che seguivano il Giro d’Italia. C’era una tappa da Porto Sant’Elpidio a Sulmona e mi sono ritrovata in macchina con il nonno a percorrerla. La gente lo salutava ovunque. Mi disse: «Guarda ti faccio vedere come facevo le traiettorie in discesa». Quel giorno mi disse anche un’altra cosa: «Di me parleranno più da morto che da vivo».
E lei?
Mi misi a ridere, non capivo bene. Secondo me lui aveva la consapevolezza di aver fatto del bene, mi riferisco chiaramente al periodo della Guerra. Lo fece senza nulla in cambio, rischiando la vita per salvare persone che non conosceva. Era un cattolico fervente, un cristiano vero. Devoto a Santa Teresina del Bambin Gesù. Era un terziario carmelitano. Il suo progetto era quello di arrivare in paradiso. E’ stato seppellito solo con il mantello dei Terziari Carmelitani, senza tasche. Come a dire che non possiamo vivere solo per arricchirci, per accumulare.
A suo nonno sarebbe piaciuto questo ciclismo di oggi? Ci sono corridori che fanno imprese d’altri tempi…
Non so, lui ha vissuto un ciclismo del tutto diverso. Non credo si sarebbe rivisto in quello attuale. Era un altro mondo: c’era gente che faceva 100 chilometri in bici solo per raggiungere la gara. So però che ha dato consigli a tantissimi corridori, anche a Bugno e Chiappucci. Ma ripeto: era un ciclismo diverso. Mio nonno anche quando si allenava, scriveva a mia nonna, Adriana, il suo grande amore.
Che storie…
Circa 200 lettere, stupende. Mia nonna le ha conservate con cura. Lui le scriveva quando era via per le gare o per allenarsi. Attraverso quelle lettere ho conosciuto un lato di mio nonno che ignoravo: un Gino romantico, uomo di fede. Scrisse anche una lettera al cardinale Elia Dalla Costa per dirgli che avrebbe smesso di correre. In quella lettera diceva che la bicicletta era ciò che più lo avvicinava alla preghiera. Io penso sempre che mio nonno fosse un piccolo contadino che ha seminato. E noi oggi stiamo raccogliendo i suoi frutti.
E quella memoria infinita, no?
Esatto!