La Tappa Bartali, la nipote Gioia racconta nonno Gino

09.05.2025
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Il prossimo 18 maggio il Giro d’Italia affronterà la Gubbio-Siena, nona frazione. Sarà questa la Tappa Gino Bartali. L’immenso, l’Intramontabile, come veniva chiamato, ha una tappa a lui dedicata dal 2000. Quest’anno ricorrono 25 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 5 maggio di quell’anno.

Bartali è stato uno dei giganti del pedale. Un mito in carne ed ossa. Partendo da questa frazione, abbiamo voluto parlare di lui con sua nipote Gioia, per ricordare l’uomo, il nonno, oltre che il campione. E sapere cosa rappresenta per lei questa commemorazione così speciale.

La Tappa Bartali del prossimo 18 maggio: Da Gubbio a Siena, 181 km
La Tappa Bartali del prossimo 18 maggio: Da Gubbio a Siena, 181 km
Gioia, quante cose ci sarebbero da raccontare su suo nonno. Iniziamo parlando della Tappa Bartali del Giro…

Mi ricordo che qualche anno fa a premiare la tappa Bartali ci fu Vittorio Adorni, che conoscevo già ed era una persona bravissima. Gli scrissi un messaggio, una battuta come per dire: ci sei tu, non ci sono io! Io ho avuto il privilegio di premiare la tappa Bartali nel 2018, a Gerusalemme. Quando il Giro partì da Israele ci furono grandi onori per il nonno. Fu una grandissima emozione, anche per il contesto.

Ricordiamo che Gino fu nominato Giusto tra le Nazioni per il suo impegno durante la Seconda Guerra Mondiale…

Per me fu un privilegio e mi auguro che presto ci sia l’opportunità di presiedere nuovamente a questa premiazione. Portare il ricordo e la memoria di mio nonno non è il mio lavoro. E’ qualcosa che faccio per la passione che mi lega a lui.

Come è nata l’idea della Tappa Bartali?

Come si suol dire, l’abbiamo scoperto dai giornali. Non c’è stata una comunicazione ufficiale alla famiglia, ma credo sia comunque bellissimo.

Quest’anno la tappa Bartali è in Toscana, come è successo spesso. C’è un criterio per sceglierla o dipende solo dalla geografia?

Sinceramente non conosco la dinamica con cui viene stabilita la tappa Bartali, ma è indubbio che una tappa in Toscana significa celebrare il suo amore per la sua terra. Nonno Gino era innamorato di Firenze. Aveva anche una casa a Siena. Magari non mi immagino una tappa Bartali in Piemonte a casa di Coppi! Ricordo un’intervista in cui disse: «Io sono e mi sento italiano, quindi preferisco pagare più tasse, però voglio restare qui». Firenze era il suo mondo, la sua storia, le sue origini.

Gioia indica il nome di Gino nella lista dei Giusti a Gerusalemme
Gioia indica il nome di Gino nella lista dei Giusti a Gerusalemme
Ha nominato Firenze, da dove è partito il Tour de France l’anno scorso. Abbiamo parlato con Prudhomme e sembrava colpito dalla figura di Bartali. I francesi l’hanno celebrato più di noi?

E’ andata sicuramente benissimo per quanto riguarda la figura del nonno, un po’ meno per quanto riguarda il coinvolgimento. Ho comunque fatto un intervento a piazzale Michelangelo dove ho detto che il nonno ha ancora tanto da dare. Sono passati 25 anni dalla sua scomparsa, ma il suo ricordo è in crescendo. Prima era mio padre Andrea, figlio primogenito, a portarlo avanti…

Chiaro…

E nel tempo questa memoria è cresciuta. C’è gente che mi dice: «Ho la foto di tuo nonno». «Ho l’autografo di Bartali». Chi mi invia poster… Il tramandarsi continua, di generazione in generazione. Una memoria che ha avuto un inizio, ma non vedo una fine. Mi parlano spesso anche della foto dello scambio della borraccia.

E lei cosa risponde?

Che tra i due c’era un enorme rispetto e una grande amicizia anche fuori dalla bici. Nonno diceva che lo sport senza solidarietà era inutile. Quella foto li ritrae con la borraccia tra le mani, ma mi ha detto che tante volte se l’erano scambiata. Non importava chi la dava a chi. Diceva che Fausto era una delle persone più corrette. Nonno soffriva molto gli sgarbi, le cattiverie… anche quelle scritte dai giornali. Leggeva tutto. Quando partì per il Tour del ’48 i titoli dei giornali scrivevano: Gino il vecchio.

Che poi quel Tour lo vinse…

Ha subito certe cose e da toscanaccio verace ci stava male. Riguardo a Coppi va detto anche che la stampa ha enfatizzato tanto quella rivalità. Bisognava tenerla viva, specie con due personaggi così grandi. Di buono c’è che anche noi, nipoti e figli, siamo diventati amici. Ho un bellissimo rapporto con Faustino e Marina Coppi, e anche con la pronipote di Girardengo, Michela.

Maggio 2018, Gioia Bartali premia Tom Dumoulin, per la prima volta è lei a celebrare la tappa dedicata a suo nonno
Maggio 2018, Gioia Bartali premia Tom Dumoulin, per la prima volta è lei a celebrare la tappa dedicata a suo nonno
Quando si è resa conto da bambina di avere un nonno così importante? C’è un momento preciso?

Sono cresciuta con la consapevolezza del suo personaggio. L’ho toccata con mano. Magari si andava in un ristorante e la gente lo salutava, gli stringeva la mano, o tutto il locale si alzava per applaudirlo. Per una ragazzina queste cose fanno effetto. E io ero un po’ vergognosa!

E ora continua a portare avanti il suo ricordo…

Quando partecipo a eventi dedicati al nonno, parlo da nipote. Non porto mai un testo scritto. Il Gino Bartali corridore lo conoscono. Io porto l’uomo, il nonno. Racconto il mio affetto.

Le è mai capitato che le raccontasse di una corsa?

No, però per caso, all’inizio degli anni ’90 sono andata a trovare lui e mio padre che seguivano il Giro d’Italia. C’era una tappa da Porto Sant’Elpidio a Sulmona e mi sono ritrovata in macchina con il nonno a percorrerla. La gente lo salutava ovunque. Mi disse: «Guarda ti faccio vedere come facevo le traiettorie in discesa». Quel giorno mi disse anche un’altra cosa: «Di me parleranno più da morto che da vivo».

E lei?

Mi misi a ridere, non capivo bene. Secondo me lui aveva la consapevolezza di aver fatto del bene, mi riferisco chiaramente al periodo della Guerra. Lo fece senza nulla in cambio, rischiando la vita per salvare persone che non conosceva. Era un cattolico fervente, un cristiano vero. Devoto a Santa Teresina del Bambin Gesù. Era un terziario carmelitano. Il suo progetto era quello di arrivare in paradiso. E’ stato seppellito solo con il mantello dei Terziari Carmelitani, senza tasche. Come a dire che non possiamo vivere solo per arricchirci, per accumulare.

Sarà uno spettacolo anche tra gli sterrati quello della prossima Tappa Bartali. Qui Pidcock alla Strade BIanche in una cornica di pubblico di altri tempi
Sarà uno spettacolo anche tra gli sterrati quello della prossima Tappa Bartali. Qui Pidcock alla Strade BIanche in una cornica di pubblico di altri tempi
A suo nonno sarebbe piaciuto questo ciclismo di oggi? Ci sono corridori che fanno imprese d’altri tempi…

Non so, lui ha vissuto un ciclismo del tutto diverso. Non credo si sarebbe rivisto in quello attuale. Era un altro mondo: c’era gente che faceva 100 chilometri in bici solo per raggiungere la gara. So però che ha dato consigli a tantissimi corridori, anche a Bugno e Chiappucci. Ma ripeto: era un ciclismo diverso. Mio nonno anche quando si allenava, scriveva a mia nonna, Adriana, il suo grande amore.

Che storie…

Circa 200 lettere, stupende. Mia nonna le ha conservate con cura. Lui le scriveva quando era via per le gare o per allenarsi. Attraverso quelle lettere ho conosciuto un lato di mio nonno che ignoravo: un Gino romantico, uomo di fede. Scrisse anche una lettera al cardinale Elia Dalla Costa per dirgli che avrebbe smesso di correre. In quella lettera diceva che la bicicletta era ciò che più lo avvicinava alla preghiera. Io penso sempre che mio nonno fosse un piccolo contadino che ha seminato. E noi oggi stiamo raccogliendo i suoi frutti.

E quella memoria infinita, no?

Esatto!

Gioia Bartali, nel nome del nonno

27.06.2024
5 min
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Da molti anni ormai Gioia Bartali è impegnata a tenere viva la memoria del nonno Gino. Presenzia a serate, incontri con le scuole, eventi di ogni tipo in cui porta avanti i valori che hanno fatto diventare Ginettaccio “Giusto delle Nazioni”, oltre che uno dei corridori più vincenti e amati della storia. Per lei quindi questi sono giorni speciali, con l’imminente partenza del Tour de France da Firenze proprio in ricordo di Gino Bartali.

Gioia, questi saranno giorni fittissimi di impegni per voi della famiglia Bartali. Come sta andando l’avvicinamento alla Grande Partenza del Tour de France dedicata a suo nonno?

Sono stata l’altro giorno alla presentazione a Firenze invitata da Giancarlo Brocci, l’ideatore dell’Eroica di Montalcino e quindi bartaliano DOC, se vogliamo dire così. Lunedì mattina c’è stata una prima cerimonia ad Assisi, da dove dei ragazzi venuti da Israele sono partiti per commemorare la figura del nonno. Hanno percorso in bici la strada da Assisi a Firenze, la stessa che lui ha affrontato sotto il nazifascismo per aiutare gli ebrei perseguitati durante la guerra. Appartengono tutti all’organizzazione “Bartali – Youth in Movement”, delle vere e proprie scuole in cui i ragazzi uniscono la scuola e il ciclismo.

Ci dice qualcosa di più di quest’organizzazione?

Si tratta di un progetto nato dopo la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme nel 2018. E’ stato concepito e portato avanti ancora oggi dall’allora direttore della Israel Cycling Academy Ran Margaliot. Anche l’anno scorso ero stata a visitare uno dei centri dove vivono e studiano questi ragazzi. Poi siamo state nuovamente allo Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme. Insomma, anche in Israele c’è un buon percorso di memoria per il nonno. E’ una figura che lì è ancora molto rispettata e ricordata.

E poi come è andata avanti la sua settimana?

Da Assisi mi sono spostata a Firenze, per la precisione nel comune di Bagno a Ripoli, dove martedì c’è stato un evento dedicato a Bartali e a Gimondi. C’era anche Norma Gimondi ed è stato sicuramente un altro bellissimo momento legato allo sport e al ricordo di questi due grandi nomi. A seguire, ieri nel giardino della Sinagoga di Firenze c’è stato un momento di commemorazione organizzato dalla Israel-Premier Tech in onore del nonno, cui hanno preso parte i corridori che parteciperanno al Tour con tutto lo staff.

Quel che resta di Gino Bartali (1914-2000) sono le vittorie, la fede e l’eroismo nel salvare decine di ebrei durante la Guerra
Quel che resta di Gino Bartali (1914-2000) sono le vittorie, la fede e l’eroismo nel salvare decine di ebrei durante la Guerra
E oggi?

Andrò alla presentazione ufficiale delle squadre, invitata dalla Regione Emilia-Romagna. Ero già stata loro ospite qualche tempo fa alla Stazione Centrale di Bologna per l’inaugurazione del treno che Trenitalia ha voluto dedicare alla figura di Pantani, Bartali e Coppi, anche quello un evento bellissimo. Dopodiché andremo alla partenza di sabato e ci godremo il passaggio a Ponte ad Ema, la città natale di mio nonno, dove è presente un museo dedicato a lui.

La Grande Partenza sarà anche l’occasione per ricordare anche altri grandi nomi del passato. Oltre a suo nonno, Gastone Nencini e Ottavio Bottecchia, Fausto Coppi e Marco Pantani…

Certamente, figure altrettanto importanti. Io personalmente sono anche molto vicina alla famiglia Nencini e sono molto felice che i corridori passeranno dalle parti del Mugello per ricordarlo. La Toscana ha veramente regalato tanto a questo sport secondo me, dei campioni di un’eccellenza assoluta. Hanno portato avanti il vero senso del ciclismo, del ciclismo davvero eroico, dei tempi in cui pedalare era un’impresa a tutti gli effetti, qualcosa che andava oltre lo sport. Ciò che mi rende orgogliosa di mio nonno è che ha trasmessi grandissimi valori. Io sono molto attiva anche nelle scuole. Mi invitano spesso perché Gino Bartali continua ad essere un personaggio molto amato anche al di fuori dall’ambito ciclistico. Per quello che ha fatto durante la guerra, per l’esempio che rappresenta per i giovani…

Gioia è molto presente anche nelle scuole: il messaggio di Gino è molto sentito (foto Facebook/Gioia Bartali)
Gioia è molto presente anche nelle scuole: il messaggio di Gino è molto sentito (foto Facebook/Gioia Bartali)
A questo proposito, cosa vuol dire per voi della famiglia essere protagonisti in un momento così particolare, che renderà omaggio alla figura di suo nonno in tutto il mondo?

E’ un evento molto speciale per tutti noi della famiglia. Mio papà avrebbe desiderato che fosse possibile già per i cento anni dalla nascita del nonno, ma allora ancora i tempi non erano maturi. Per questo mi rende particolarmente felice poter esserci, per ricordare anche mio padre Andrea che negli anni si è speso moltissimo per portare avanti la memoria di Gino. Dire che noi della famiglia siamo orgogliosi è riduttivo. E’ un grandissimo onore che un evento come il Tour de France dedichi la partenza a nostro nonno. Qualcosa di davvero, davvero memorabile.

Eroica, il ciclismo d’altri tempi raccontato da Giancarlo Brocci

17.04.2022
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“Indice di luminosa virtù e di fermezza irremovibile, degno d’un eroe.” Questa è la definizione che si trova sul dizionario sotto la voce “eroica”. Questa parola però rappresenta molto di più. Un movimento, un evento che è stato ed è tutt’ora in grado di riportare il ciclismo fuori dall’asfalto, di nuovo sulle strade bianche. Un ritorno al ciclismo degli Eroi, con la lettera maiuscola, che hanno forgiato la disciplina delle due ruote con imprese e storie che ancora oggi segnano questo sport.

L’Eroica intesa come il gruppo di eventi, racchiude tutti i valori che il ciclismo di una volta era in grado di trasmettere. Con le rievocazioni e la sua continua evoluzione, è diventato oggi un concetto che definisce un modo di interpretare il ciclismo. Giancarlo Brocci, fondatore di Eroica, ci ha accompagnato nella storia di questo evento che ha influenzato il mondo e ora è presente in molti angoli del pianeta.

Giancarlo Brocci, ideatore e fondatore di Eroica (foto Facebook/Eroica)
Giancarlo Brocci, ideatore e fondatore di Eroica (foto Facebook/Eroica)

Atti d’amore

Parlando con Giancarlo Brocci si capisce fin da subito che questo concetto sia nato e cresciuto da una sua voglia di valorizzare ciò che gli stava intorno e che lo appassionava di più, il ciclismo di una volta

«Eroica è nata – dice Brocci – per due atti d’amore. Il primo, per come lo sport del ciclismo si andava perdendo. Stava diventando una produzione di spettacolo in mano ai manager che seguendo l’avvento dei diritti televisivi hanno indirizzato gli sport in una direzione volta alla spettacolarizzazione, in un cinema. Si stava perdendo quella che era l’essenza del ciclismo e che ha rappresentato per l’Italia.

«Il secondo atto d’amore era per il territorio. Il mio territorio. Il rischio era che tutto diventasse periferia e che le campagne si spopolassero. L’ambizione di alcune autorità era solo quella di di rimpolpare le città per portare più linfa al commercio cittadino. Uno degli input più genuini fu quello della salvaguardia delle strade bianche, che a quel tempo rappresentava per assurdo, un parametro di zona repressa».

La rievocazione è fedele e ha come prerogativa l’utilizzo di materiali antecedenti al 1987 (foto Facebook/Eroica)
La rievocazione è fedele e ha come prerogativa l’utilizzo di materiali antecedenti al 1987 (foto Facebook/Eroica)

La storia

Per capirne l’evoluzione e lo sviluppo della filosofia che oggi viene esportata nel mondo, bisogna fare un passo indietro e capire da dove è nata questa manifestazione.

«La prima edizione – racconta Brocci – è del 1997. Era un gadget gratuito della Gran Fondo Gino Bartali. La risposta fu di 92 partecipanti contro i 520 della GF. Alla prima edizione si poteva partecipare con qualsiasi bicicletta».

«Fatta il 5 ottobre. Andò sulla rivista a novembre. A quel tempo non poteva competere di certo con le Gran Fondo più affermate. Pian piano però fece notizia e si conquistò le pagine di carta stampata. Poi le copertine, perché era un’immagine particolare e unica.

«L’anno successivo – dice Brocci – si replicò e si aumentò di poco a 140 iscritti. Alla terza edizione però si incrementarono i partecipanti e si dovette resistere alla quasi normalizzazione, con l’evento che riscuoteva successo, ma senza una vera e propria esplosione. Io lo facevo per pura passione e divertimento. Non avevo in mente un progetto rivolto al puro guadagno».

Le strade bianche sono una motivazione in più per la riqualificazione e la conservazione di questi tratti distintivi (foto Facebook/Eroica)
Le strade bianche sono una motivazione in più per la riqualificazione de la conservazione di questi tratti distintivi (foto Facebook/Eroica)

Passo dopo passo

La crescita costante dell’evento dovuto alla sua unicità fece si che fosse costante ma senza un vero e proprio exploit. Ci sono però tre passaggi importanti che ne hanno determinato la sua affermazione a livello prima nazionale e poi internazionale. 

«Il primo step – spiega Brocci – fu una fase personale, in un periodo della mia vita dove potevo permettermi di sperimentare. Nel mio paese Gaiole in Chianti. Al tempo era una corsa in ottobre, che si preparava in due mesi. Con regole nostre, non competitive e con un’organizzazione semplice. La direttrice dell’Apt di Siena, Fiorenza Guerranti, aprì le porte del territorio che promuoveva e decidemmo di far passare parte degli itinerari anche per le strade intorno a Siena.

«Il secondo step fu nel 2004, quando arrivò il primo sponsor internazionale. Selle Royal che acquistò lo storico marchio inglese Selle Brooks. Per rilanciare il brand ci contattarono, e ci dissero che una manifestazione di quel tipo sembrava creata ad hoc per rilanciare il marchio. Così si presentarono con giornalisti europei e del Nord America e le prime foto e articoli iniziarono a fare il giro del mondo».

L’intuizione di Giancarlo Brocci di portare l’arrivo della prova riservata i pro’ in Piazza del Campo a Siena (foto Facebook/Eroica)
L’intuizione di Giancarlo Brocci di portare l’arrivo della prova riservata i pro’ in Piazza del Campo a Siena (foto Facebook/Eroica)

Eroica dei pro’

A chiudere il cerchio delle intuizioni che hanno portato Eroica ad essere quella che è diventata oggi, c’è la gara dei pro’. «Una mia idea – racconta Brocci – che prese forma nel 2005. Claudio Martini l’allora Presidente della Regione Toscana, mi dimostrò totale appoggio e mi spronò a fare dei progetti ancora più ambiziosi. I messaggi di supporto erano positivi e la Toscana in occasione dell’evento diventava un palcoscenico senza tempo.

«Così il 9 ottobre 2007 – dice – quell’idea prese forma e si partì da Gaiole in Chianti direzione Piazza del Campo di Siena con la Monte Paschi Eroica. Fu vinta da Aleksandr Kolobnev, con entusiasmo generale e condiviso da tutti i tifosi. A meno di cinque mesi ci fu la seconda edizione, il 7 marzo del 2008. Venne vinta da Fabian Cancellara davanti ad Alessandro Ballan. Un ordine d’arrivo che parlava da solo con il vincitore della Parigi-Roubaix davanti al vincitore del Fiandre.

«Questa immagine fece il giro del mondo e l’Eroica prese forma e il giusto palcoscenico. Da allora ci siamo potuti permettere di escludere nel 2009 le bici moderne. Questo ci fece passare da 3.300 iscritti a 2.200. La regola del partecipare con una bici antecedente al 1987 fu un limite iniziale che però già dall’anno successivo fece tornare i numeri a 3400 partecipanti, facendo partire una crescita costante fino agli 8.710 iscritti del 2021».

L’evento è presente anche sulle Dolomiti e sfrutta le strade bianche per evitare il traffico sui passi (foto Facebook/Eroica)
L’evento è presente anche sulle Dolomiti e sfrutta le strade bianche per evitare il traffico sui passi (foto Facebook/Eroica)

Eroica nel mondo

Eroica è quindi diventata sinonimo di valorizzazione del territorio e ritorno alle origini, ai valori di un ciclismo che si stava per dimenticare. Dall’estero questo messaggio è stato percepito e la voglia di replicarlo ha fatto sì che il brand Eroica venga continuamente esportato in tutto il mondo

«Siamo in Giappone e Sud Africa – afferma Brocci – e abbiamo successi clamorosi in Inghilterra. Per esempio a Goodwood i primi di agosto faremo la rievocazione della vittoria mondiale di Giuseppe Saronni del 1982. E ancora Germania, Spagna, Svizzera, Stati Uniti. Inoltre abbiamo creato la formula Nova Eroica che ha aperto un nuovo filone e piace molto. Consiste nella possibilità di utilizzare bici gravel e ha segmenti cronometrati.

«Siamo riusciti – conclude – a riportare la bici da corsa di nuovo fuori dall’asfalto. La necessità di trovare un contesto più tranquillo dovuto a un traffico sempre più arrogate. Un’altra motivazione è quella di recuperare strade che da inaccessibili possono tornare amiche delle due ruote. Per esempio noi faremo una Nova Eroica sul Gran Sasso. Abbiamo individuato insieme alla regione Abruzzo 53 km di strade, sistemate e recuperate. Io le chiamo “piste ciclabili naturali“. Allo stesso modo abbiamo lavorato per Eroica Dolomiti».

Il libro “Bartali, l’ultimo eroico. L’uomo di ferro nato per il Tour”, Minerva Edizioni (foto Facebook/Eroica)
Il libro “Bartali, l’ultimo eroico. L’uomo di ferro nato per il Tour”, Minerva Edizioni (foto Facebook/Eroica)

Gli eroi del passato

I concetti che Giancarlo Brocci snocciola sono ricchi di passione e si comprende il perché una manifestazione così caratteristica, riesca a riscuotere così tanto successo nel mondo

La sua ispirazione deriva dal ciclismo degli eroi e alla domanda: perché si chiama Eroica? La risposta è stata questa: «A suo tempo quel tipo di ciclismo era considerato ciclismo da eroi. Il mio ultimo libro “Bartali, l’ultimo eroico”, parla di un ciclismo che dal mio punto di vista è finito con lui (Gino Bartali,ndr) che poi è cambiato definitivamente con Fausto Coppi. Henri Desgrange al Tour de France voleva non solo il campione ma l’eroe. Ci sono stati campioni che riuscivano ad eccellere solo in quella competizione. Come Ottavio Bottecchia che vinse quasi solo in quella competizione.

«Henri Pélissier disse a Desgrange quando si ritirò dal Tour vinto da Bottecchia del 1924: “Voi non volete il purosangue, ma il mulo. Non volete i muscoli ma il callo”. Erano corse di resistenza. Il Tour che vinse Lucien Buysse fu il più lungo della storia del 1926 e contava 5745 chilometri. Erano corse da Eroi.

«Io ho fatto – conclude Brocci – tutti i lunghi delle corse più famose al mondo. Sono convinto che il lungo della Terra Eroica sia il più duro di tutti. Con i suoi 112 chilometri e quasi 4.000 metri di dislivello di strade bianche, con quelle bici, è una vera prova da eroi. Ci sono ciclisti che partono alle quattro del mattino e arrivano a notte inoltrata. Per questo, “La bellezza della fatica e il gusto dell’impresa”. Non a caso l’ho chiamata Eroica, non placida…».

Tre Valli Varesine, una storia lunga 100 anni

03.10.2021
5 min
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Con l’edizione di martedì, la Tre Valli Varesine entra nel novero delle gare ultracentenarie, un club ancora abbastanza ristretto pur considerando l’enorme quantità di corse che si disputano in tutto il mondo. Sin dal 1919 era abitudine per gli appassionati affrontare una classica disegnata fra le tre principali valli del territorio: Valcuvia, Valganna e Valtravaglia.

Per tre volte la gara non è stata disputata: nel 1943 e ’44 quando gli eventi bellici post Armistizio dell’8 settembre resero impossibile l’allestimento della corsa e proprio lo scorso anno, in piena diffusione del Covid. E’ vero, molte gare d’inizio autunno 2020 andarono in scena, buona parte recuperi della prima parte dell’anno (Giro d’Italia in primis). Trovare una data utile non era semplice, ma d’altro canto a Varese, in quei tristi giorni, c’era altro a cui pensare. L’ultima volta, nel 2019, vinse dunque Primoz Roglic e al via c’erano Vincenzo Nibali in maglia Bahrain, Alejandro Valverde campione di Spagna, Davide Formolo col tricolore e Mads Pedersen, fresco di iride ad Harrogate (foto di apertura).

Paradossalmente, l’ultimo terribile virus è riuscito dove non arrivò l’influenza spagnola, in rapida diffusione in tutto il mondo proprio negli anni della nascita della Tre Valli, ma è anche vero che il mondo del ciclismo di allora era molto diverso, frequentato da pochi appassionati e soprattutto decisamente “no global”. Basti pensare che per trovare un vincitore straniero della corsa lombarda bisognerà attendere fino al 1957, quando a trionfare fu il belga Germain Derycke.

Tre Valli percorso 2021
Il percorso della Tre Valli Varesine, oltre 197 chilometri che promettono scintille: questa l’altimetria del tratto in linea
Tre Valli percorso 2021
Il percorso della Tre Valli Varesine, oltre 197 chilometri che promettono scintille: questa l’altimetria del tratto in linea

Da Bestetti a Roglic, sempre spettacolo

Chi pensa, considerando l’aspetto geografico della provincia varesina, a una corsa piatta e lunga attesa dello sprint a ranghi compatti si sbaglia di grosso. Nel corso della sua storia la Tre Valli ha sempre saputo regalare spettacolo ed emozioni. E’ praticamente impossibile considerare in anticipo la soluzione della corsa, sin dalla sua edizione inaugurale andata a Pierino Bestetti.

Ripercorrendo in un rapido viaggio 100 anni di corsa, tornano in mente il primo successo di Bartali nel ’38 al termine di una fuga a 4. Poi la vittoria di Fausto Coppi dieci anni dopo proprio su Bartali in uno sprint a 9; ancora Coppi nel ’55, unica edizione dove la Tre Valli venne trasformata in una cronometro individuale lunga ben 100 chilometri.

Dal 2017 è un feudo straniero

Venendo a tempi più recenti, due campioni hanno contraddistinto la Tre Valli ottenendo il record di vittorie, ben 4. Gianni Motta ne siglò 3 di fila, dal 1965 al ’67 con l’aggiunta del 1970. Giuseppe Saronni vince nel ’77, ’79 e ’80 e poi nel 1988. Dei campioni attuali, Vincenzo Nibali firmò l’edizione del 2015 con un’azione delle sue, anticipando il gruppo di 8”. Una tattica abbastanza simile a quella dello sloveno Primoz Roglic, campione uscente che nel 2019 ha preceduto di 3” la volata dei “superstiti” vinta da Giovanni Visconti.

Va detto che anche se la Tre Valli resta un feudo nazionale con 86 vittorie azzurre contro sole 13 straniere, è dal 2017 che manca un successo italiano: in quell’anno vinse il francese Alexandre Geniez, l’anno dopo il lettone Tom Skuijns, in entrambi i casi precedendo l’altro transalpino Thibaut Pinot che nel finale di stagione è solito tirare fuori dal cilindro sempre qualcosa di buono.

Roglic Tre Valli 2019
La stoccata da campione di Primoz Roglic nel 2019: chi sarà il suo erede?
Roglic Tre Valli 2019
La stoccata da campione di Primoz Roglic nel 2019: chi sarà il suo erede?

La grande novità del 2021

Fino al secolo scorso, la Tre Valli insieme alle altre classiche del Trittico Lombardo (Coppa Agostoni e Coppa Bernocchi) era la fase decisiva per la preparazione azzurra verso i Mondiali, poi i calendari sono stati rimodellati e ora chi corre a Varese pensa al Lombardia come culmine della fase stagionale, mettendo in gioco le residue energie a disposizione.

Intanto però la Tre Valli Varesine sta cambiando pelle negli ultimi anni, diventando un brand che si rivolge al mondo del ciclismo nel suo insieme: la Piccola Tre Valli Varesine, gara per Under 23 esiste da ben 44 anni, ben più recente è la Granfondo per amatori che ha festeggiato i 5 anni proprio oggi, mentre la novità del 2021 è la nascita della prova femminile, abbinata a quella dei professionisti. Il pacchetto di proposte della Sc Alfredo Binda è sempre più ampio.

Davide Cassani nuovo ct, Alfredo Martini

Cassani, un tuffo nella storia del Giro d’Italia

20.05.2021
2 min
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La tappa del Giro da Siena a Bagno di Romagna non è come tutte le altre, non può esserlo. Stiamo parlando di un tributo a due personaggi che hanno fatto la storia del ciclismo, ma che per molti versi sono stati parte integrante del Paese a prescindere dalla loro attività. Gino Bartali è un’icona assoluta, corridore che ha riempito le pagine dei giornali prima e dopo la guerra, protagonista con Coppi di quello che probabilmente è stato il più grande dualismo della storia dello sport.

Alfredo Martini, che con Bartali correva, ha poi influito in maniera decisa nel corso degli anni sul mondo del ciclismo con la sua saggezza, ricoprendo per molte stagioni il ruolo di Commissario tecnico della nazionale, ruolo che ora è sulle spalle di quello che molti considerano il suo erede designato, Davide Cassani: «Per me è la più grande delle gratificazioni essere avvicinato a lui, è il personaggio al quale mi ispiro».

Che cosa hanno significato questi due nomi?

Sono la storia del ciclismo tutto, questa tappa rappresenta un tuffo nel passato del quale c’è sempre bisogno. E’ un doveroso riconoscimento verso chi ha dato tantissimo al nostro sport non solo con le vittorie o con le corse, ma per il modo di porsi.

Bartali Berzin
Gino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russo
Bartali Berzin
Gino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russo
Che ricordo hai di Bartali?

Quando correvo era presente molto spesso alle nostre corse ed era entusiasmante vedere quanto la gente lo amava. Si fermava spesso a parlare con noi corridori, ci conosceva tutti, era molto piacevole scambiare battute con lui. Aveva un carisma enorme, eppure non lo faceva pesare e neanche ti accorgevi che stavi parlando con un pezzo di storia d’Italia.

E se parliamo di Martini?

E’ il Maestro. Una persona dalla straordinaria cultura e non parlo solo di ciclismo perché aveva la saggezza tipica dell’uomo che ha vissuto tanto, profondamente, che aveva studiato alla scuola della vita. Aveva una conoscenza straordinaria delle persone. La mia più grande soddisfazione è essere stato indicato da lui per il ruolo che attualmente ricopro.

Sono personaggi attuali o testimonianze di un ciclismo passato?

Le epoche sono diverse, ma quella che non è minimamente cambiata è la fatica che si fa in bicicletta, allora come oggi. I loro esempi non ci lasceranno mai e dedicare loro una tappa è un doveroso omaggio perché se il Giro d’Italia è oggi quello che è lo deve anche a loro…

«Gino e Alfredo li conoscevo bene». Poggiali racconta…

20.05.2021
5 min
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«Grazie a Gino mi è venuta voglia di correre in bicicletta. Alfredo è stato un amico vero oltre a un commissario tecnico straordinario». I ricordi di Roberto Poggiali – inossidabile ottantenne fiorentino, già campione italiano dilettanti nel 1962, poi corridore professionista e in seguito direttore sportivo – fanno rivivere due miti del ciclismo mondiale, ai quali è dedicata la 12a tappa del Giro, la Siena-Bagno di Romagna. La corsa transiterà nei paesi natali di Bartali e Martini, Ponte a Ema e Sesto Fiorentino.

Ottantenne in gran forma, ancora oggi Poggiali legatissimo alla bicicletta
Ottantenne in gran forma, ancora oggi Poggiali legatissimo alla bicicletta

«Vivevo sulle rive dell’Arno – ricorda Poggiali – in una zona con diversi distributori di benzina: uno di questi era a meno di 100 metri da casa mia. Un ragazzo di una decina d’anni più grande di me da bambino si era ammalato di poliomielite, aveva braccia fortissime, ma camminava male. Nel pomeriggio, finita la scuola, andavo spesso ad aiutarlo. Da lì passavano anche molti ciclisti degli anni Cinquanta, da Gastone Nencini a Guido Boni a Mario Baroni, e anche Gino Bartali. Sempre abbronzati, atletici, li ho conosciuti in quelle circostanze e così mi venne voglia di andare in bicicletta».

Tutto da rifare

E’ un fiume in piena, Poggiali: il segreto della sua memoria di ferro lo deve molto probabilmente alla sua passione per la bicicletta, che coltiva ancora oggi.

Martini vinse anche corse, ma fu soprattutto un grande gregario
Martini vinse anche corse, ma fu soprattutto un grande gregario

«Dopo 4-5 anni, quando da dilettante vincevo anche belle corse internazionali – prosegue – Bartali cominciò a seguirmi. Eravamo già negli anni Sessanta e lui doveva fare la squadra della San Pellegrino con Coppi: mi venne a vedere in tre o quattro occasioni».

I rapporti con Ginettaccio, però, si intensificarono al di fuori delle corse: «Ci incontravamo spesso alle serate e agli eventi legati al ciclismo (lui era sempre in mezzo) e il nostro rapporto si faceva sempre più stretto. Era spesso critico nei confronti del mondo del ciclismo, voleva alleviare le sofferenze dei corridori e accoglieva con favore le evoluzioni tecniche che stavano trasformando la bicicletta». Burbero, apparentemente duro, un campione nello sport e nella vita, Bartali è stato per decenni un simbolo di passione, onestà, dedizione, ben oltre il termine della sua carriera.

Gino Bartali è stato un modello di rettitudine e anche di fede cristiana
Gino Bartali è stato un modello di rettitudine e anche di fede cristiana

La scuola di Masi

Poggiali, a questo punto della chiacchierata, apre una finestra sul mondo della tecnologia al servizio del professionismo: «Gino Bartali si affidava a buoni maestri, come Gino Cinelli. I suoi telai, avveniristici per l’epoca, erano concepiti per aumentare la velocità e diminuire la fatica. Un altro innovatore era Faliero Masi, che con la sua piccola azienda artigianale costruiva una bicicletta al giorno». Un perfezionista, Masi, che studiava l’angolo più efficace per aumentare la forza propulsiva della pedalata: «Ma ti spiegava anche il perché: “Quando il contadino pigia il piede sulla zappa, non lo pigia mai in verticale, ma lo fa in modo tale che la zappa entri in obliquo nel terreno e allora bisogna pedalare in questa maniera”, diceva. Bartali e io, in quei momenti, eravamo tutt’orecchi».

Papa Alfredo

Il ricordo di Martini, che quest’anno avrebbe compiuto 100 anni, è più vivo e personale. L’incipit dice tutto: «Alfredo è stato un uomo che, se avesse fatto la carriera da ecclesiastico, sarebbe diventato Papa. Sapeva stare in tutti gli ambienti e nello sport è sempre riuscito a mettere le cose al posto giusto, nel momento giusto». Per Poggiali era impossibile non andarci d’accordo: «Umano, riusciva sempre a pianificare tutto e si assumeva sempre le sue responsabilità, non scaricando mai le colpe sui corridori».

La lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tutto
La lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tutto

Un uomo retto

Roberto ha conosciuto bene Martini dal punto di vista professionale: «Oltre a convocarmi in alcuni campionati mondiali, nel 1973 è stato il mio tecnico alla Sammontana».

Un aneddoto privato, però, riassume con efficacia il rapporto tra i due toscani: «Un’estate eravamo al mare insieme – ricorda Poggiali – nello stesso stabilimento balneare. Andavo in macchina con lui, guidavo io: era il periodo delle prove per il mondiale. Bastavano poche parole per dirci tutto. Quando correvo bene, entrava lui: “Oh, oggi mi sei piaciuto Robertino”. Se la domenica successiva andavo più piano: “Eh, oggi saresti fuori”. Una volta ero dentro, una volta ero fuori. E poi si arrivò alla corsa decisiva, la sbagliai, non arrivai tra i primi e dunque quell’anno non mi convocò».

La scena successiva il mattino dopo, sotto l’ombrellone. Inizia Poggiali, risponde Martini.

«Elda dov’è?», era la moglie di Martini.

«Elda non c’è, è rimasta a casa».

«E perché?».

«Perché si vergogna, per l’amicizia che abbiamo. Mi ha fatto una parte perché ti ho lasciato fuori».

«Come? Posso andare un attimo a casa tua?».

Poggiali andò da Elda per chiarire e ricomporre l’amicizia scalfita da questioni professionali: «“Lui ha fatto la cosa giusta – le dissi – avresti dovuto vergognarti se mi avesse convocato senza che me lo fossi meritato. Dovresti essere orgogliosa di quello che ha fatto”. Lei si sciolse e ci abbracciammo».