Ferrand Prevot, è fatta: mancava il Tour, ha vinto anche quello

03.08.2025
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«Stamattina sognavo di vincere in giallo – sorride Pauline Ferrand Prevot che ha appena conquistato il Tour de France Femmes – così ho detto al direttore sportivo: “Se possiamo provare a vincere in giallo, lo faremo”. E’ stata una giornata veloce. Ho commesso un errore in partenza e mi sono ritrovata dietro un buco nella prima discesa, costringendo le mie compagne agli straordinari per riportarmi davanti. Mi sono sentita un po’ in colpa. Ma mi ha insegnato una lezione: sono rimasta davanti. Non è stato facile, è stata una questione di tattica».

Il podio finale: questa volta vince Ferrand Prevot, Vollering ancora seconda, terza Niewiadoma, regina del 2024
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Jeannie Longo calpestata

Come era prevedibile, Jeannie Longo ha fatto sentire la sua voce e in una intervista a L’Equipe ha detto di essersi sentita calpestata dal fatto che le sue vittorie al Tour de France siano state dimenticate. Però anche la grandissima francese ha ammesso di aver tifato per la sua erede, che effettivamente in partenza ha rischiato di vanificare il grande sforzo fatto ieri sulla Madeleine.

Come da lei raccontato, Ferrand Prevot ha dovuto sacrificare tutte le compagne per rientrare in gruppo e poi controllare da sola le favorite per quasi 100 chilometri, prima di staccarle ai meno 6,5 dal traguardo di Châtel.

«Alla fine – prosegue nel racconto – mi sono detta che avrei visto come mi sentivo sull’ultima salita. Ho attaccato, ma non pensavo di poter continuare e vincere così. Ho dato davvero il massimo negli ultimi metri di questo Tour de France. Sono felice di essere riuscita a vincere questa tappa e la classifica generale».

Distanza, cadenza e posizione

Nella sua carriera convivono i successi internazionali più importanti in tutte le discipline. Questo ha richiesto un adattamento specifico molto importante, che ad esempio non è riuscito a Tom Pidcock. Rimasto star della MTB, il britannico non è ancora riuscito a vincere gare di pari livello su strada.

«Il primo gap da colmare – ha spiegato il suo ds Boven – era legato alla lunghezza delle gare. La strada richiede molta pazienza, lunghe salite a un ritmo più lento. Per questo le abbiamo consigliato di stare seduta e tenere una cadenza elevata, che le permette di risparmiare energia. Invece per darle la possibilità di imparare a stare in gruppo, anziché mandarla in altura ad aprile, Pauline ha corso le classiche del Nord, dove la lotta per il posizionamento in gruppo è decisiva. Ha così corso dalla Strade Bianche all’Amstel Gold Race, passando per il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, che ha vinto».

Quattro chili in pochi giorni

Un altro scoglio era quello del peso, perché non vinci il Tour se hai i numeri di una cacciatrice di classiche. E nel suo rimarcare i sacrifici fatti c’è soprattutto questo aspetto: la dieta che ha svolto è stata efficace, ma Pauline ammette di non poter tenere questo peso per tutto l’anno o si ammalerebbe.

«Ora sembra facile – ha spiegato a L’Equipe – ma credo di aver puntato molto in alto quest’anno in preparazione al Tour de France. Ha comportato molti sacrifici e ora so che non ho fatto tutto questo per niente. E’ una grande vittoria e una grande lezione di vita. Il Col de la Madeleine è lungo 20 chilometri e ogni chilo in più non è l’ideale, per cui mi sono dovuta sottoporre a una dieta. Ormai sono abituata a iniziarla circa sei settimane prima dell’obiettivo e ho perso circa 4 chili in poco tempo, proprio mentre aumentavo l’allenamento».

La vittoria di Ferrand Prevot in maglia gialla: un desiderio che coltivava dal mattino
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Attentissima alle ricognizioni

Dopo la Vuelta, da cui si è ritirata non avendo grandi sensazioni, la francese è andata ad Andorra e ha iniziato a lavorare sulle salite lunghe, come durante il ritiro in altura a Tignes, all’inizio di luglio. L’intero blocco di allenamento è stato scandito da numerose ricognizioni.

Ancora Boven racconta dell’attenzione maniacale di Ferrand Prevot per la ricognizione delle tappe: un’abitudine che le deriva dalla mountain bike. Sorridendo anche lei ammette di aver provato per due volte la tappa della Madeleine nei giorni del ritiro. Nulla è stato lasciato al caso. E il Tour, quello femminile, torna dopo una vita a parlare francese.

Jungels dà un calcio alla iella, ma sul Tour arriva il grande caldo

10.07.2022
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Il caldo è arrivato tutto insieme e adesso si rimpiange l’arietta fresca della Danimarca e poi del Belgio. Bastava guardare in faccia Bob Jungels su quest’ultima salita e poi dopo l’arrivo per rendersi conto di quanto la calura si sia sommata alla fatica delle scalate. Ma il lussemburghese aveva così tanti conti da regolare, che non ha avuto paura di andarsene da solo a 62 chilometri dall’arrivo e non ha perso la testa quando sembrava che Thibaut Pinot dovesse farne un sol boccone. Strano modo di correre quello della fuga, che ha preferito cincischiare, finendo poi con il mangiarsi le mani.

«E’ difficile dire come mi senta in questo momento – ha detto Jungels appena tagliato il traguardo – sono sopraffatto. Per questo sono venuto al Tour. So cosa significa questo per la squadra. Da qualche anno soffro di infortuni. Sono molto felice ora. La mia forma sta migliorando sempre di più».

Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati
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Maledizione alle spalle

Non doveva neanche partire. Per la stessa regola che oggi ha rispedito a casa Guillaume Martin e per la quale non sono partiti Trentin e Battistella, Jungels è risultato positivo al Covid quando la carovana si stava assemblando a Copenhagen e doveva fermarsi. Ma mentre gli altri prendevano mestamente la via di casa, Bob è rimasto in virtù di una carica virale bassissima. E forse anche in questo si potrebbe leggere un segno del destino.

Sembrava uno di quelli che, lasciata la Quick Step, avessero smesso di andare forte. Per la singolare regola o maledizione che colpisce tutti quelli che scelgono una strada diversa. Da Cavendish a Gilbert, passando per Terpstra e Viviani. Invece sulla strada di Jungels si è frapposta una serie infinita di acciacchi e problemi, culminati con l’operazione all’arteria femorale, la stessa di Aru e poi di Conci.

«A volte – ha raccontato – non riuscivo nemmeno a tenere il passo con il gruppo. Ricordo in Catalogna. Ero devastato, perché mi stavo allenando duramente, facendo tutto quello che potevo. E’ stato molto difficile. Ho anche pensato di smettere. Ho sempre corso per vincere, è stato degradante. Ne ha risentito anche il mio carattere. Normalmente sono una persona aperta, ma qualcosa mi impediva di esserlo».

Come alla Liegi

Per questo non avrebbe mai mollato, a maggior ragione sapendo che alle sue spalle un dolore grande almeno quanto il suo spingeva nei pedali di Pinot, ansioso a sua volta di rivedere la luce.

«Oggi potevo correre solo così – racconta Jungels – sapevo di dover provare da lontano perché sull’ultima salita sarebbe stato impossibile staccare i favoriti. Mi ha ricordato la mia vittoria a Liegi (Jungels ha vinto Doyenne nel 2018, partendo da solo dalla Roche aux Faucons, ndr), quando Vanendert si avvicinava sempre di più. Ma io continuai ad andare al mio ritmo, perché non volevo scoppiare. Gli ultimi due chilometri, sia allora sia oggi, sono stati infiniti. Il Tour ha 21 tappe e volevo vincerne una. Oggi ho preso tutti i rischi ed è successo. Voglio ringraziare tutti i miei compagni di squadra».

Pinot cresce

Pinot la prende con filosofia, acciuffato e poi saltato da Castroviejo e Verona, che di gambe ne avevano ancora tante e non si capisce perché le abbiano nascoste.

«Peccato – dice Thibaut – ma siamo arrivati con due minuti e mezzo a una salita che si addiceva a Bob, mentre avremmo dovuto limitare i danni in pianura. Se fosse stata una salita leggermente più dura, sarebbe stato diverso. Ma non ho rimpianti, ho dato davvero tutto me stesso. Ho capito in cima all’ultima salita che sarebbe stato complicato. Anche se gli avevo preso parecchio tempo, lui ha guidato bene nelle parti più scorrevoli. Ha fatto un numero. Ma questo è il mio primo giorno di buone sensazioni e ne sono felice di questo. Stanno arrivando le due settimane più importanti e questa è la cosa principale».

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere anche oggi
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere

La Porsche dei sogni

Fra i compagni di Jungels alla Ag2R Citroen, Oliver Naesen è stato uno degli ultimi ad arrivare. E mentre si informava se fosse vero che avesse vinto il compagno, come aveva sentito alla radio, ha raccontato un divertente aneddoto accaduto ieri sera ai colleghi fiamminghi di Het Nieuwsblad che lo attendevano al pullman della squadra.

«Ha fatto un numero pazzesco – ha detto – e ha tolto un grosso peso dalle nostre spalle. Da quando O’Connor è uscito di classifica, ci siano ritrovati senza un compito preciso e tutto è diventato più nebuloso. Questa vittoria significa missione compiuta. Ieri a tavola parlavamo delle nostre auto da sogno e per Bob era quella di un film, una Porsche 964. Quella molto chic di Bad Boys 1. Ha detto che se avesse vinto oggi, l’avrebbe comprata. Ho idea che dovrà spendere parecchi euro».

Domani intanto si riposa, ma sarà una giornata da gestire. Martedì si ricomincia con un arrivo in salita a Megeve. E con queste temperature, il minimo passaggio a vuoto si pagherà caro. E anche le energie sprecate in questo giorno di luglio potrebbero non tornare più.

Inoltre in gruppo si respira la tensione per il giro di tamponi predisposti dagli organizzatori. In Francia si lavora come ai vecchi tempi e siano benedetti gli uomini di ASO. Ma andare a casa per una positività al Covid sarebbe una scocciatura infinita.