Casa Astana, quando si cambiano pedali e tacchette Look?

15.02.2022
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Come facciano i professionisti a scegliere il pedale giusto e come possano di conseguenza regolarsi le persone… normali, lo abbiamo già detto. Lo step successivo su cui abbiamo soffermato la nostra attenzione è quando e come i pedali e le tacchette cedono all’usura. Un’idea nata alle corse, osservando l’abrasione sulla superficie del pedale. Anche se non è certo qualche graffio sull’appoggio, quanto piuttosto la perdita di efficacia della molla, a suggerirne l’eventuale sostituzione. Per questo ci siamo rivolti a Gabriele Tosello, meccanico dell’Astana Qazaqstan Team, usando come banco di prova i pedali Look del team kazako.

«L’usura del pedale – dice Tosello – è qualcosa di molto relativo. Penso che un amatore possa farci un anno intero, ma se si tratta di un amatore che corre ed esce quasi tutti i giorni, allora rientriamo nella categoria dei corridori e questo è il mio terreno. E noi ogni tre mesi al massimo i pedali li cambiamo, per eliminare quel poco di gioco che inevitabilmente si crea».

Nibali usa pedali Keo Blade Carbon con tacchette nere: quelle fisse
Nibali usa pedali Keo Blade Carbon con tacchette nere: quelle fisse

Cicli infiniti

Osservando il rituale degli atleti in corsa, gli agganci e gli sganci sono ripetuti. Per andare al foglio firma. Poi per tornare all’ammiraglia. Per andare alla partenza. Per partire. Al traguardo. Per raggiungere l’ammiraglia. Se a questi vari rituali si aggiungono i passaggi che si svolgono immancabilmente a casa e le condizioni di polvere e sporco in cui spesso lavorano pedale e tacchette, si capisce che la molla sia sottoposta effettivamente a cicli ripetuti di fatica.

«Il professionista se ne accorge – precisa Tosello – perché si crea un piccolo gioco che può creare fastidi alle ginocchia agli atleti più sensibili o che abbiano già qualche problemino. Succede che la molla perda un po’ di forza e di conseguenza non riesca più a stringere la tacchetta».

L’usura dell’appoggio è marginale: va verificata invece la molla
L’usura dell’appoggio è marginale: va verificata invece la molla
Quali modelli usate in Astana?

Il top di gamma, il Keo Blade con la molla in carbonio e i cuscinetti in ceramica. Noi li cambiamo ogni tre mesi, anche perché la lamina in carbonio che ne garantisce il funzionamento non ha possibilità di regolazioni. Non è che perda poi tanta forza, ma stiamo parlando davvero di valori minimi. I pedali nascono con 4 durezze: 8-12-16-20

Voi quali usate?

La 20 è per i velocisti, perché è la più dura. I nostri preferiscono la via di mezzo, la 16: il pedale rimane attaccato bene e non è una durezza estrema. Ovviamente parliamo di durezza di aggancio e sgancio, mentre la libertà di movimento viene dalle tacchette. Nere, grigie e rosse. Chi ha meno problemi usa le nere, quelle fisse. Gli altri stanno sulle grigie.

Le tacchette nere sono quelle fisse e richiedono il posizionamento più preciso
Le tacchette nere sono quelle fisse e richiedono il posizionamento più preciso
Un po’ di nomi per capire?

Nibali usa le nere, ma è chiaro che il posizionamento della tacchetta deve essere perfetto. Per questo le mettiamo noi con la nostra dima. Anche Velasco usa le nere, diciamo che sono la scelta del 40 per cento dei corridori.

Supponiamo che la tacchetta si usuri, passano alla scarpa di scorta o aspettano la sostituzione?

Aspettano, la scarpa di scorta la prendono solo per l’uscita singola, se proprio non si fa in tempo a sistemare la scarpa da gara. Si sente la differenza a livello di durezza della tomaia, per questo si approfitta dei momenti senza corse per verificare e cambiare le tacchette.

In corsa non si cambiano mai?

Si evita, francamente. Con le tacchette, che si usurano per l’uso, perché ci camminano o che si rompono in caso di caduta, si gioca d’anticipo. Al via di un Giro d’Italia, ad esempio, si controllano tutte, in modo da partire con la scarpa giusta.

Alcuni corridori continuano a usare i Look Keo 2 con la molla in metallo
Alcuni corridori continuano a usare i Look Keo 2 con la molla in metallo
Lo sporco di una tappa sul pavé incide sull’usura di pedali e tacchette?

Sicuramente. La terra gratta, anche quella di una Strade Bianche. Dopo l’ultima Roubaix abbiamo quasi dovuto cambiare tutto. Quando Vincenzo vinse il Tour e si corse sul pavé bagnato, la sera controllammo scarpe e pedali e rimettemmo a posto quelli danneggiati.

Sul camion non mancano i ricambi…

Proprio no. Abbiamo una scorta di 20-25 coppie di pedali e almeno 30 coppie di tacchette per ogni colore. Meglio averne di più, che trovarsi senza (ride, ndr).

Finora hai parlato dei Keo Blade, ma guardando bene, i corridori usano anche altro…

Infatti i corridori, come la gente che usa la bici per passione, hanno i loro gusti e le loro abitudini. La scelta del pedale va a sensazione e non vi nascondo che alcuni usano il Keo 2, quello di gamma intermedia, perché gli dà la possibilità di regolare la molla

Un’eccezione al top di gamma a tutti i costi?

Decisamente. E poi parliamo di corridori importanti come Lutsenko, De la Cruz, Tejada e lo stesso Gazzoli. Non parliamo di corridori che hanno avuto problemi, ma che ci tengono a sapere che la molla è tirata, per cui a volte prendono la brugola e ci danno un giro. Anche se, visto che stiamo parlando di un pedale di gamma inferiore, in quei casi la molla si tira sempre al massimo. E soprattutto per loro la sostituzione del pedale ogni tre mesi è quasi obbligata.

Cambiate mai la molla?

Non ne abbiamo necessità, nel senso che ne abbiamo la possibilità e cambiamo direttamente il pedale. Però confermo che è la molla la parte che si usura. Rendersene conto o meno dipende dalla sensibilità di chi la usa.

Rosti all’Astana: «La prestazione è fisica, tecnica e mentale»

17.12.2021
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Nell’Astana che è ripartita da Vinokourov, è arrivato anche una vecchia conoscenza del nostro ciclismo: quel Marino Rosti che aveva fatto parte dell’entourage di Nibali fino al passaggio nella Trek-Segafredo. Rimasto al Team Bahrain, nel 2021 Rosti è uscito dal giro, ma visto che l’aspetto mentale sta diventando preponderante e che lui ha una formazione legata alle Scienze Motorie e alla Psicologia dello Sport, la squadra kazaka gli ha riaperto le porte. In questi giorni di ritiro spagnolo, abbiamo voluto sentire anche lui (in apertura fotografato sul Teide durante il riveglio muscolare del mattino), per capire in cosa consista il suo lavoro.

«Il mio rapporto con Astana – conferma il sanmarinese – c’era stato anche in passato, per tre anni. Perciò, chiuso il rapporto con il Bahrain, ho chiesto se avessero necessità. Anche perché essendo ormai in pensione, posso garantire una disponibilità superiore, non avendo più la problematica lavorativa che mi condizionava con i permessi, i distacchi e tutti quegli aspetti formali. Il mio ruolo rimane lo stesso. La definizione di psicologo dello sport potrebbe creare qualche resistenza nelle persone, quindi si parla di mental coach. E comunque è vero, perché fai una sorta di percorso con i ragazzi che cerchi di aiutare anche dal punto di vista psicologico. E’ un aiuto ulteriore…».

Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Non solo gambe, anche testa…

La prestazione è fisica, tecnica e mentale. Per la performance ci si concentra sempre sull’aspetto fisico, sulla forza, la resistenza, la velocità, i carichi di lavoro. Si lavora sulla posizione in bici e poi magari il terzo aspetto raccoglie i precedenti. Perché come diceva il buon Franco Ballerini, puoi avere anche una macchina da 1.000 cavalli, ma se la centralina non va, la macchina non rende

E tu lavori sia sul fisico sia sulla testa, giusto?

Come iter formativo, ho fatto sia il percorso di Scienze Motorie che quello psicologico, per cui abbino i due aspetti in un progetto che si chiama Benessere Psicofisico. Quando tu stai bene fisicamente, hai una corretta postura, un corretto equilibrio fisico, lavori sulla mobilità articolare e sul benessere fisico, la testa lo sente e ti permette di rendere di più

Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Esiste anche un rapporto individuale con gli atleti?

A volte si entra nel ragionamento e nel rapporto personale per costruire un percorso che si chiama mental training. Si lavora sulla definizione degli obiettivi, l’ansia da prestazione. Si lavora su quelli che possono essere i momenti di difficoltà a volte causati da piccoli aspetti, come magari la mancanza del risultato dopo aver lavorato tanto o problemi personali. A volte bisogna entrare in una sorta di dialogo con i ragazzi per trovare quel bandolo della matassa, che ti fa ripensare a tante cose. Quindi costruisci anche un approccio mentale, senza intestardirsi solo sull’aspetto fisico.  

A memoria, si può dire che inizi al mattino con il risveglio muscolare.

Seguiamo ogni giorno un programma ormai collaudato, che dà un certo riscontro. Grazie all’attivazione del mattino, i ragazzi si sentono meglio sulla bici. Si sentono più centrati. Mentre di pomeriggio curiamo l’aspetto del recupero, quindi facciamo allungamenti, una progressione yoga, uno stretching per ciclisti costruito sulle mie esperienze.

Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Stretching per ciclisti?

Con loro bisogna lavorare su certi aspetti sulla mobilità della schiena e il recupero delle gambe. Abbiamo inserito la respirazione diaframmatica che permette di ossigenare meglio il fisico e migliorare anche da quel punto di vista. E poi facciamo rilassamento, mental imagery nel rivedere situazioni passate su cui costruire il futuro.  E così rientri nel percorso psicologico per riacquistare più fiducia in te stesso, avere più stimolo, più determinazione, più concentrazione. E’ un cerchio che si chiude. 

Nasce tutto dalla loro libera scelta?

Ovviamente! Si fa in privato e quando uno lo richiede, perché non bisogna mai imporre questa cosa come se fosse dovuta. Adesso magari sta diventando anche un po’ di moda e comunque con il dialogo più riservato si comincia a ragionare su certe cose. Ma prima il ragazzo cerchi anche di conoscerlo, capire se è disponibile o se voglia farsi seguire a livello psicologico, come è capitato che abbiano già chiesto.

Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
E se ti chiede supporto?

Allora di fa una sorta di coaching, si parla cercando di capire le cose. La risposta si trova assieme, ma il più delle volte gli dico che la risposta ce l’hanno nella pancia. Parte tutto da lì, dalle emozioni, dalle sensazioni che uno sente dentro di sé. 

I ragazzi accolgono queste pratiche?

C’è più consapevolezza, i giovani sono sensibili a questi aspetti, mentre la vecchia generazione certe cose non le non le possedeva, perché non era nel loro stile e nella loro consuetudine. Adesso arrivano con percorsi già avviati, che noi cerchiamo di spingere ancora più avanti.

Poco fa hai parlato di yoga.

Con lo yoga hai una sensazione piacevole che col tempo diventa anche una sorta di controllo del corpo, che risponde. Si crea un dialogo. Avevo cominciato a usarlo nel 2007 con la Marchiol, poi sono passato alla Liquigas assieme a Sagan e l’abbiamo portato avanti. Ero sempre collegato con Paolo Slongo, perché lui era il preparatore quindi si lavorava in sintonia. E anche oggi c’è un confronto quotidiano col preparatore, con l’osteopata e con il medico. Si lavora in equipe con report giornalieri. Magari l’osteopata mi dice che il tale corridore ha bisogno di un particolare stretching. Più questi report sono giornalieri, meglio segui l’atleta.

Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Sarai una presenza costante al seguito della squadra?

Ai ritiri sicuramente. Però magari con qualche atleta è venuto fuori che nella terza settimana del grande Giro, quando le tensioni cominciano a essere forti, poter fare una sorta di recupero oltre fisico e anche mentale può fare la differenza. Si sta buttando giù il programma. Intanto so già che a alla fine di gennaio tornerò sul Teide. Insomma, sono tornato in mischia…

Felline cerca continuità e l’occasione per sbloccarsi

09.12.2021
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Il 2022 è ormai alle porte e Fabio Felline non vede l’ora di scoprire che cosa ha in serbo l’anno nuovo. Dopo averci portato alla scoperta della tappa del Giro sulle sue colline e all’inizio della preparazione a Calpe, il trentunenne dell’Astana Qazaqstan Team ci ha raccontato le sue ambizioni per la nuova stagione e ripercorso quella passata.

Quali sono state le ultime cose che hai fatto prima di partire per la presentazione in Kazakhstan?

Sono andato a fare un test, a provare delle scarpe e a controllare la posizione. Da più di 15 anni ormai ho un rapporto stretto con Mariano (il biomeccanico Alessandro Mariano, ndr), per cui quando c’è qualche modifica da fare, chiedo sempre prima il benestare a lui. 

Come è stato il tuo autunno?

Ho fatto quattro settimane di stacco e poi ho ripreso verso fine novembre. Con il nostro piccolo Edoardo non è che abbiamo fatto vacanza vera e propria, però qualche gita ce la siamo concessa. Ora però sono ripartito e qui in ritiro comincerò a capire quali saranno i programmi concreti.

Che ne pensi del ritorno di Nibali all’Astana? 

Con Vincenzo non avevo mai corso, ma senza dubbio è una bella motivazione averlo in squadra. Non posso dire che è il mio migliore amico, perché non abbiamo mai lavorato insieme in tutti questi anni, per cui sarà tutto da conoscere e da scoprire. Nella lista dei grandi campioni del ciclismo del nuovo millennio, dopo Alberto Contador e Fabian Cancellara, avrò l’opportunità di lavorare con un altro grande di quest’epoca.

Riavvolgendo il nastro di quest’anno: sei soddisfatto del 2021 e cosa chiedi al 2022?

Mi piacerebbe tornare a vincere come è successo nel 2020. Negli ultimi due anni sento di essere andato sempre forte, ovvio che non basta mai, però oggettivamente sono soddisfatto. 

La preparazione è ripresa: in questi giorni Fabio conoscerà i programmi 2022
La preparazione è ripresa: in questi giorni Felline conoscerà i programmi 2022 (foto Instagram)
La tappa della Tirreno-Adriatico chiusa al quarto posto dietro ai fenomeni Van der Poel, Pogacar e Van Aert è stato uno dei momenti più belli?

Sicuramente, però quello che mi è dispiaciuto è che per come andavo, soprattutto in quel periodo lì, non ho raccolto quanto avrei potuto. Faccio il mea culpa, perché ci sono stati dei periodi in cui avrei potuto vincere però, per un motivo o per un altro, non ho mai concluso nulla. Mi auguro di avere la stessa gamba, se non anche migliore e di riuscire a concretizzare con maggiore continuità.

Dove e come dipenderà dalla squadra?

Non ho ancora idea di preciso perché dobbiamo ancora definire tutto. E’ inevitabile che la mia posizione sia cambiata rispetto al passato, non sono più il Fabio Felline di 25 anni alla Trek, che faceva il jolly o il battitore libero, scegliendo di correre a sensazione. C’è un tempo per tutto, il prossimo anno compirò 32 anni: so di essere un uomo squadra e più una garanzia come bravo lavoratore che come vincente. E’ ovvio che, come ho detto, vorrei tornare alla vittoria, però il ciclismo è un lavoro e non si può sempre fare ciò che si vuole. Al Giro di quest’anno ad esempio avrei potuto giocarmi qualche tappa, però c’era un obiettivo classifica con Vlasov e per cui le mie chance sono state ovviamente di meno. L’obiettivo è andare sempre forte, perché così le cose vengono di conseguenza.

Classe 1990 come Colbrelli (qui al Fiandre 2017), Felline cerca di sbloccarsi come Sonny
Classe 1990 come Colbrelli (qui al Fiandre 2017), Felline cerca di sbloccarsi come Sonny
Come si torna a vincere dopo qualche periodo a secco?

Basta qualche situazione favorevole e la ruota gira, come sempre accade. Prendo come esempio Sonny (Colbrelli, ndr) perché siamo cresciuti insieme e fino all’anno scorso eravamo magari visti sullo stesso piano. Tutto è partito da qualcosa, non è arrivato a caso. Se non avesse preso fiducia al Romandia con la tappa vinta, magari non si sarebbe attivato tutto il circolo virtuoso col Delfinato, il campionato italiano, quello europeo e poi il trionfo di Roubaix. Quando vinci, sei più sereno, sei più appagato e non hai più nulla da perdere. Si creano delle situazioni mentali che ti fanno fare uno step ulteriore. Al Giro 2020, ad esempio, sono andato forte come non mai anche perché ero galvanizzato dall’aver vinto il Memorial Pantani a fine agosto.

Tra Sobrero e Ganna, sembra che qualcosa si muova nel ciclismo piemontese, sei d’accordo?

Loro sono due fenomeni, però il problema è che alle loro spalle c’è il buio totale.

Per quale ragione secondo te?

C’è una mentalità del cavolo. Le strade non invogliano ad andare in bici, ci sono sempre più rischi, per cui già per quella ragione un genitore, a meno che non abbia una passione reale, perché dovrebbe portare il figlio a pedalare? Poi l’altra cosa me l’ha fatta notare proprio Sobrero. Mi ha detto che quando lui era allievo o juniores, c’ero io come professionista. Vedendo che ce l’avevo fatta io, lui si è detto: «Devo farcela anch’io». Il problema è che ci sono pochissimi modelli a cui ispirarsi, basti pensare che quando sono passato pro’ io, davanti a me non c’era nessuno, l’unico era Sergio Barbero che aveva smesso 10 anni prima. E ancora prima, negli anni Novanta per ispirarsi bisognava ricordare Italo Zilioli. 

Fabio Felline, Memorial Pantani 2020
La vittoria al Memorial Pantani 2020 ha dato a Felline morale per il Giro d’Italia
Fabio Felline, Memorial Pantani 2020
La vittoria al Memorial Pantani 2020 gli ha dato morale per il Giro dello stesso anno
Dunque non sei così ottimista nemmeno per il futuro?

No e mi dispiace perché, a meno che non spunti fuori qualcuno, manca il ricambio generazionale ed è facile che per un po’ di tempo mancherà dietro a loro due. Ganna e Sobrero sono due fari, ma non bastano. Adesso ho perso il giro del ciclismo giovanile e non vorrei dire una cavolata, ma non ho sentito di allievi o juniores piemontesi che spopolano a livello nazionale per cui il timore è che debbano passare altri 10 anni per tirare fuori altri professionisti di ottimo livello.

Eppure, è una regione che pullula di appassionati delle due ruote, come lo spieghi?

Manca un vivaio in Piemonte. Quando ero piccolino, vedevo molte meno persone in bici, ma quelli che incrociavo correvano tutti, mentre adesso vedi tanta gente che ha comprato la bici, che si è avvicinata al ciclismo più tardi e purtroppo non è quello che fa il ricambio generazionale. Ci vorrebbe di nuovo maggiore cultura del nostro sport che negli anni si è un po’ persa.

Moscon ritrova la fiducia, il sorriso e… l’italiano

05.12.2021
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C’era anche Moscon ieri sul volo di rientro dal Kazakhstan alla Spagna e nella valigia, oltre allo stupore per gli scenari mai visti prima, Gianni portava un carico di entusiasmo tutto nuovo, fresco, leggero. Dopo il 2021 delle vittorie di primavera, del Giro corso in grande supporto di Bernal e la Roubaix sfuggita di mano per sfortuna e forse per qualche errore tecnico, il trentino ha voltato pagina. Te ne accorgi da tante spie. Dal tono di voce. Dalla rapidità con cui risponde ai messaggi. Dal fatto di essere uscito da un cono di luce non suo. Si riparte e non da zero. E ha ragione Velasco quando dice che gli sembra di trovarsi nella Zalf in cui corsero assieme.

«Sei anni nel gruppo Ineos sono tanta roba – dice Moscon –  ma non ho nessuna nostalgia. Si chiude un ciclo. Resto in contatto con gli amici, non è un addio. L’ambiente è sempre quello del ciclismo. Ma nella nuova squadra respiro tante sensazioni positive. Sembra davvero lo spirito di quando eravamo dilettanti, l’entusiasmo di quando ogni cosa ti sembra nuova. Credo che l’Astana sia più a misura mia, un ambiente familiare. La forte componente italiana fa la differenza. E vedo in tutti la voglia di tornare a essere una grande squadra».

Moscon ha ritrovato l’equilibrio in una squadra a misura d’uomo e nella sua campagna (foto Instagram)
Moscon ha ritrovato la serenità in una squadra a misura d’uomo (foto Instagram)

Un viaggio impegnativo

Il viaggio è stato impegnativo, come ha raccontato Velasco. Sei ore di volo da Francoforte e cinque ore di fuso guadagnate. Sono sbarcati alle quattro del mattino, la seconda notte sono andati a dormire tardi e il volo di rientro era all’alba. Hanno dormito a dire tanto per due ore, recuperando semmai in aereo. Alle tre del pomeriggio di ieri sono arrivati in Spagna e sono usciti a fare un giretto in bici, per resistere alla tentazione di addormentarsi.

Che effetto ti fa essere in una squadra in cui si parla italiano?

Molto bello, è un valore aggiunto che ti fa sentire a casa. E’ quello che cercavo.

Si poteva cambiare prima?

E’ stato giusto fare sei anni, che per vari motivi sono stati proficui. Ma era arrivato il momento di cambiare, di rimettersi in gioco in una squadra che ha voglia di riscatto. Mi volevano da sempre, avevamo già parlato altre volte. Quando però si sono fatti sotto quest’anno, erano davvero determinati e mi hanno proposto un bel progetto. Trovo un ambiente in cui credono in me al 100 per cento ed è motivante rispetto a quando questa fiducia non era più al massimo.

Le cadute di Roubaix hanno fatto più male al morale o al fisico?

Al morale, al fisico non mi sono fatto niente (ride, ndr). Esco comunque da una stagione positiva. Con tre vittorie, sono tornato ai miei livelli dopo due anni difficilissimi. Il 2020 è stato un buco nero. Peccato per lo scafoide rotto a Kuurne a marzo, sarebbe stata una stagione anche migliore. Era importante fare un buon anno e mi ha dato tanta fiducia.

Quando hai deciso per Astana?

Sarà stato metà agosto, ma non mi ha distratto né mi ha dato motivazioni diverse. Corro innanzitutto per me stesso, per dare il massimo, a prescindere dalla maglia che indosso. E comunque la Ineos è sempre stata corretta nei miei confronti, era giusto dare il massimo sino alla fine.

Come si è svolta la trattativa?

Se ne è occupato Lombardi, che mi aggiornava passo dopo passo. Quando poi abbiamo preso la decisione, mi sono sentito con Vinokourov e Martinelli e a fine settembre ho firmato il contratto.

Settimo ma protagonista alla Coppa Sabatini: con lui c’è Valgren, che vincerà
Settimo ma protagonista alla Coppa Sabatini: con lui c’è Valgren, che vincerà
Che cosa potrà darti Martinelli?

Sicurezza, esperienza e fiducia, che è importantissima perché il corridore dia il massimo. Sto notando una cosa molto positiva e cioè che ci seguono passo dopo passo anche negli allenamenti. Se c’è da correggere qualcosa, te lo fanno notare in tempo reale ed è il segreto del successo. Se invece ti viene dato un programma e devi seguirlo da solo, può capitare che ti allontani dalla linea e arrivi in corsa che non vai come dovresti.

Cosa ti pare del gruppo dei corridori?

Giovani ed esperti, un bel mix, con Vincenzo (Nibali, ndr) che è un riferimento per tutti. Con lui ho un bel rapporto, ci conosciamo da diversi anni. Un’amicizia nata nel ciclismo, ho sempre avuto molta stima nei suoi confronti. Allenarsi con lui, per me che sono cresciuto guardando le sue gesta, non ha prezzo

Attento a come parli, potrebbe pensare che tu gli stia dicendo che è vecchio…

Non è quello (ride, ndr), il fatto è che ha sempre vinto tanto. Quando io ero junior, lui aveva già vinto la Vuelta. Al mio primo anno da under 23, ha vinto il Giro. E’ sempre stato un riferimento.

Con Nibali sempre un buon rapporto: qui al Giro dell’Appennino, nel 2018 leader insieme a Innsbruck
Con Nibali sempre un buon rapporto: qui al Giro dell’Appennino, nel 2018 leader insieme a Innsbruck
Con chi dividi la camera in ritiro?

Con Leonardo Basso, che è un altro valore aggiunto per la squadra. Sa fare il suo lavoro ed è un amico giù dalla bici.

Hai già un’idea di programma o delle corse che vorresti fare?

Ne ragioneremo qui in Spagna. In assoluto direi le classiche e poi uno o due Giri in supporto del leader e pensando alle tappe. Ma è tutto in fase di lancio. Ho iniziato da un paio di settimane a pedalare sulla nuova bici e qui ne approfitteremo per sistemare le misure. Si deve assettare tutto, per essere pronti a correre all’inizio dell’anno.

Viaggio in Kazakhstan, Velasco inviato speciale di bici.PRO

05.12.2021
6 min
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La capitale ha smesso di chiamarsi Astana nel 2019, quando il presidente Nursultan Narzabaev si è dimesso e le è stato dato il suo nome: Nur-Sultan. Due giorni fa nel velodromo della città si è svolta la presentazione dell’Astana Qazaqstan Team e per Vinokourov è stato davvero un ritorno a casa dopo mesi di… esproprio da parte della compagine canadese che sembrava dovesse rilevare la squadra. E proprio per questo viaggio da mille e una notte, durato due giorni ma pieno di colori, voci ed emozioni, bici.PRO ha nominato un inviato d’eccezione – Simone Velasco – che per noi ha scattato foto e immagazzinato ricordi.

«Un freddo cane – esordisce ridendo – ci siamo ibernati. Abbiamo fatto solo 500 metri fuori dall’hotel, con 10-12 gradi sotto zero. E ci hanno detto che non era neanche freddissimo. Ma è stato un bellissimo evento, organizzato molto bene. Peccato non aver potuto visitare la città, ma non c’era davvero tempo. Ci hanno detto che le stagioni migliori sono primavera e autunno, perché d’estate si arriva a 45 gradi. Se penso a quanti corridori kazaki forti ci sono, si vede che lavorano proprio bene, nonostante un clima del genere…».

Da dove sei partito?

Da Milano. Sono andato su un giorno prima per stare a cena con la mia ragazza. Il 2 dicembre è stato il mio compleanno e praticamente l’ho passato in volo (ride, ndr). Quando siamo atterrati era già passata mezzanotte, quindi non ho nemmeno potuto brindare. Da Milano a Francoforte e poi sei ore fino a Nur-Sultan.

Hai corso alla Gazprom-RusVelo, che differenze si notano fra russi e kazaki?

Completamente differenti. A livello caratteriale, i kazaki sono molto più aperti, direi occidentali, anche se geograficamente non lo diresti. Molto ospitali e poi, cosa che mi ha colpito molto, parlavano tutti l’inglese e anche bene. Fra i russi che ho conosciuto, solo quelli che hanno fatto qualche esperienza di lavoro all’estero sono così. Forse in comune c’è solo la vodka…

Nelle foto che ci hai mandato, si vedono neve e tante bici…

Ci puntano molto, anche a livello paralimpico. Con noi c’erano anche degli atleti ipovedenti che sono stati celebrati con tutti gli onori. Da quando Vinokourov ha vinto le Olimpiadi, la bici è un punto fermo della società. E lui lassù è una star, lo conoscono tutti. Abbiamo fatto un giro in un centro commerciale di uno sponsor e l’autografo e i selfie li chiedevano solo a lui.

Dove si è svolta la presentazione?

In un velodromo molto moderno, attorno al quale hanno creato un polo sportivo in cui c’è praticamente tutto. E’ stato bello però rendersi conto che il ciclismo sia centrale e davvero, visto il clima, sono riusciti a impostare un gran lavoro.

Che tipo di pubblico hai visto alla presentazione?

Purtroppo c’erano parecchie restrizioni Covid, per cui c’erano solo sponsor e autorità. Poi invece ci siamo spostati alla cena di gala, all’Hilton, e lì c’era qualcuno di più. E’ stata molto bella anche quella.

Come siete stati accolti?

Mi ha impressionato quanto fossero curiosi e le domande che facevano. Mi sono sentito accolto come uno di loro. Parlando con Shefer, che ho avuto l’anno scorso alla Gazprom, è venuto fuori che è un tratto comune dei kazaki e che in realtà non abbiamo visto niente.

Stesso clima in squadra?

Ne parlavo con Moscon in aeroporto. Sembra di essere tornati al clima della Zalf, quando correvamo insieme. E’ un po’ di tempo che non vedevo una squadra così, sono convinto che verranno fuori grandissime cose.

Chi è il corridore con la mascherina accanto a te sull’aereo?

E’ Riabuschenko. Abbiamo fatto tutte le categorie giovanili da rivali, siamo amici, ma non avevamo mai corso insieme. Alla fine ci siamo riusciti.

In definitiva che esperienza è stata?

Bellissima per la conoscenza culturale, mi è piaciuto molto. Il viaggio in sé è stato stressante, ma per fortuna ora avremo 15 giorni di lavoro tranquilli e pensando solo alla bici. E’ vero che l’Italia non ha una squadra WorldTour, ma questa è davvero la più italiana. Dieci corridori italiani, cinque direttori, i preparatori. Tutti i corridori parlano italiano. Solo Dombrowski non ci riesce ancora, ma lo capisce benissimo. Sono convinto che imparerà presto anche lui.