Giro d'Italia dilettanti 1992, Marco Pantani, Cavalese-Pian di Pezzè

Giro, un altro ricordo. Cosa sapete della Montagna Pantani?

10.12.2025
7 min
Salva

Non solo Corno alle Scale, c’è un altro arrivo del prossimo Giro d’Italia che ha acceso un ricordo a dir poco speciale. A Pian di Pezzé si concluderà infatti la 19ª tappa, il vero tappone dolomitico con salite come il Giau e il Falzarego prima della scalata finale, nominata Montagna Pantani. Sapete perché? Si è arrivati lassù una sola volta: era il 1992, a capo di un altro tappone dolomitico al Giro d’Italia dei dilettanti, quando un giovanissimo Marco Pantani attaccò da par suo e strappò la maglia di leader all’altrettanto giovane Wladimir Belli.

«Si partiva da Cavalese – ricorda il bergamasco – poi si scalavano il Sella, il Gardena, il Campolongo e da lì si scendeva ad Alleghe per fare la salita finale. Mi ricordo che ero il leader della corsa e la mattina andai da Marco e gli dissi: “Vabbè dai, hai fatto terzo nel 1990, secondo l’anno scorso, ti toccherà fare un altro podio”. Lui invece mi guardò in cagnesco e mi disse: “Belùn, preparati: oggi te la cavo!”

Belli, Casagrande, Pantani

Fine di giugno del 1992, nell’estate che annuncia le Olimpiadi di Barcellona, cui l’Italia prenderà parte con Rebellin, Gualdi e Fabio Casartelli, che di Belli è compagno di squadra alla Domus 87. Ma per il momento la Spagna è più lontana dei 1.250 chilometri che dividono Cavalese dalla capitale catalana. Il 30 giugno si parla di futuro fra i tre italiani che nelle ultime stagioni hanno dominato la corsa organizzata dalla Rinascita di Ravenna. Oltre a Belli, primo nel 1990, c’è anche Francesco Casagrande, vincitore nel 1991. E poi Pantani, terzo e secondo nei due anni precedenti.

«Però partiamo dalla cronometro a Marina di Pietrasanta – racconta Belli – in cui, come sempre, gli avevo dato una… settimana, avevo un bel vantaggio. Non andavo fortissimo quel Giro, non ero in condizione al 100 per cento, perché l’anno prima avevo firmato il contratto da professionista e la testa era già di là».

L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L'azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall'arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)
L’azione di Pantani inizia a 70 chilometri dall’arrivo: scala da solo Sella, Gardena e Campolongo (immagine Rai Play)

La maglia a Cavalese

Non è il ciclismo dei watt, al mattino si mangia la pasta in bianco col pomodoro a parte, anche se Pantani a volte la condisce con la marmellata. La sua bici è una Carrera con il telaio in acciaio, perché anche lui ha firmato il contratto e da agosto salirà a bordo della corazzata di Boifava e Quintarelli. Belli invece andrà alla Lampre di Saronni e Algeri.

«Il mio diesse Locatelli – ricorda – neanche voleva mandarmici al Giro, perché lo sapeva che non avevo il peso giusto. Ma io avevo insistito, la tappa di San Pellegrino arrivava vicino casa e invece proprio quel giorno mi resi conto di fare fatica. Poi arrivammo a Cavalese e li ci fu la prima vera selezione. La maglia se non sbaglio l’aveva ancora Marco Serpellini, però Marco prese e andò via sul Passo San Lugano e dietro rimanemmo in pochi. Lui vinse la tappa e io misi la maglia. Andò forte, ma pensavo che mi sarebbe bastato controllare quel vantaggio piuttosto importante. Ero fiducioso, insomma, molto fiducioso. Invece il giorno dopo Marco mi sfidò. E io decisi di fargli capire subito che non ci fosse trippa per gatti».

Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni
Sull’ammiraglia dell’Emilia Romagna (il Giro si correva per formazioni regionali) c’erano Orlando Maini e Davide Balboni

Attacco frontale

Il resto è storia. Pantani attacca sul Sella e alle sue spalle il gruppo esplode. Fa quello che avrebbe fatto più e più volte tra i professionisti, guadagnandosi il suo posto nella storia. Casagrande cede quasi subito, poi tocca a Belli. Resistono soltanto due colombiani, che non lo impensieriscono. Il Sella da solo, poi il Gardena. E quando è sul Campolongo e chiede un po’ di zuccheri all’ammiraglia, dietro si accorgono di non averne. E’ il giorno in cui Orlando Maini, che con Davide Balboni guida la squadra dell’Emilia Romagna, entra nel vialetto di una casa e chiede un pacco di zucchero a una signora, ben lieta di aiutare.

L’arrivo ai piedi di Pian di Pezzé lo vede ancora in compagnia dell’ultimo colombiano, ma bastano pochi chilometri perché anche quello salti. Pantani ha regalato una sola tappa in carriera, quella di Selva Val Gardena a Guerini. Ma al contrario di quello che avviene oggi con il cannibale iridato, il suo atteggiamento venne preso per arroganza.

«Ero dietro attaccato a un filo – ricorda Belli – e pensavo: mollerà, mollerà, mollerà, mollerà. Invece mollai io e andai in crisi anche di testa. Mi sentivo forte, per questo accettai la sfida testa a testa. Invece per la prima volta nella mia carriera presi una sberla non solamente fisica, ma soprattutto mentale. Non ero abituato a farmi staccare. In più, nell’inverno tra il 1991 e il 1992, avevo iniziato a soffrire attacchi di panico. Al tempo non sapevo cosa fossero, ma non riuscivo più a rimanere concentrato sul ciclismo. Però questo non toglie che Marco fece una cosa grandissima, ancora una volta non aspettando l’ultima salita, ma attaccando subito».

A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti
A Pian di Pezzè, Pantani conquista la maglia di leader del Giro dilettanti

Nasce l’amicizia

Della salita di Pian di Pezzé, Belli ricorda molto poco, perché ammette di non avere una grande memoria fotografica. E perché ci arrivò così conciato per le feste da non avere la lucidità e forse nemmeno la voglia di guardarsi intorno. Pantani vince la tappa e conquista la maglia gialla, che difenderà agevolmente l’indomani nella tappa di Gaiarine, vinta da Mariano Piccoli.

«So solo che presi una valanga di minuti – ammette Belli – perché quando si molla, si molla. Dopo l’arrivo non lo incontrai, andai a fargli i complimenti alla partenza del giorno dopo. Soprattutto i primi anni, non si parlava molto. Ci eravamo conosciuti da juniores e poi abbiamo sempre avuto un rapporto di stima reciproca, pur non parlando tanto. Da professionisti invece si matura, si ha più tempo per stare insieme e si capisce che prima dei corridori ci sono le persone. Da dilettanti facemmo con la nazionale la Settimana Bergamasca del 1991, che vinse Armstrong. Eravamo in camera insieme e nacque un po’ più confidenza. Da lì in avanti rimanemmo avversari, ma alla fine c’era qualcosa di più profondo e più umano. Quando c’era da ridere e scherzare, Marco non si tirava indietro».

Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001
Wladimir Belli, Marco Pantani, Giro d'Italia 2001
Fra Belli e Pantani nacque una bella amicizia negli anni tra i pro’. Qui siamo al Giro del 2001

Come Pogacar, 20 anni prima

Oggi quel modo di correre è la cifra stilistica di Pogacar. Nessuno ci ha più provato per anni fatto salvo Contador e il Froome al Giro del 2018: l’atleta calcolatore da cui meno sarebbe stato logico aspettarselo.

«E’ tornata la tendenza a correre da pirati – riflette Belli, brillante opinionista di Eurosport – la tendenza è quella di partire più da lontano. Le situazioni sono cambiate, c’è più coraggio. Pogacar insegna che si può fare. Tanti ci provano e rimbalzano, ma altri ci provano e poi arrivano. Hanno capito che non si può più aspettare l’ultima salita, perché il livello è alto per tutti. E a proposito di Pantani, ricordo una scena alla partenza da Asiago al Giro del 1998. Io ero compagno di squadra di Zulle che aveva la maglia rosa e lo aveva umiliato a cronometro e staccato a Lago Laceno. Marco venne da me e come sei anni prima io gli dissi che si sarebbe potuto accontentare. Lui mi guardò e mi disse: “Belùn, preparati: oggi gliela cavo!”. A me tornarono in mente le stesse parole di Cavalese, mi venne un brivido lungo la schiena e pensai che sarebbe stata una giornata lunga. Anche quella volta sappiamo bene come andò a finire…».

Tour, Vuelta e cadute: Roglic come Zulle?

17.07.2022
6 min
Salva

Roglic come Zulle? Il paragone prende sempre più piede nell’ambiente ciclistico e ad accomunare lo sloveno al campione svizzero della fine degli anni 90 non ci sono solo le due Vuelta vinte in sequenza dopo altrettanti insuccessi al Tour (dove conquistò per due volte il secondo posto), ma soprattutto una predisposizione sempre più evidente alle cadute, ma sarebbe meglio dire alla sfortuna. Una carriera fatta di grandi attese. Vittorie nell’avvicinamento alle corse. Poi sfortune puntuali come maledizioni quando arriva il momento di concretizzare il tanto lavoro.

Se il paragone regge, sarà il lettore a dirlo alla fine della storia, ma una premessa è doverosa: nel definire il corridore Zulle abbiamo scelto di prescindere dal suo coinvolgimento nell’affare Festina, in un’epoca giocoforza diversa da quella attuale, sulla quale pende il giudizio della storia.

Chi era Alex Zulle? Un corridore quasi per caso. Nato da un appassionato svizzero e dalla madre proveniente dal Brabante, da ragazzino Alex alla bici neanche ci pensava. Da buono svizzero era appassionato di sport invernali e soprattutto di sci alpino, ma da ragazzo una discesa gli costò una grave frattura. Nel percorso rieducativo lo misero in sella e da lì iniziò la sua storia, che a livello agonistico prese il via a 18 anni.

Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96
Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96

Miope, ma senza lenti

La storia di Zulle, che in una decina d’anni ha vinto molto risultando un grande specialista delle corse a tappe, non può prescindere da un fattore: la sua miopia. Ad Alex mancavano 4,5 diottrie da entrambi gli occhi e quindi era costretto a portare gli occhiali. Questo ne ha sempre fatto un segno distintivo perché nella storia sportiva i campioni con gli occhiali non sono stati tanti, ma soprattutto ancor meno dall’evoluzione delle lenti a contatto. Zulle però non ne ha mai fatto uso, quindi utilizzava gli occhiali in ogni situazione e questo spesso ha rappresentato un handicap.

Grande passista (è stato anche campione del mondo a cronometro, come Roglic è campione olimpico di specialità), Zulle in salita riusciva a cavarsela e spesso a ottenere risultati di spicco quando riusciva a salire del suo passo. Come tanti passisti allora e anche oggi, dato che la figura dello scalatore puro è andata via via svanendo. Indimeticabile il suo duello con Pantani nella prima parte del Giro 1998, quando mise alle corde il romagnolo, staccandolo a Lago Laceno e poi umiliandolo nella crono di Trieste. Prima di subirne però la vendetta nella tappa di Selva di Val Gardena che fece la storia di quel Giro.

Il problema però arrivava in discesa. Zulle non aveva una grande dimestichezza, avendo iniziato a guidare la bici quand’era già grande, figurarsi poi su terreni sconnessi o, peggio, con la pioggia e il bagnato. A quel punto la discesa diventava un’avventura non per mantenere i distacchi, ma semplicemente per concluderla senza danni. Cosa che non riusciva sempre.

Tante vittorie e… tante cadute

Ecco perché la sua carriera, più che dalle vittorie (neanche poche, ben 71 tra cui oltre alle due Vuelta nel ’96 e ’97 e al mondiale a cronometro nel ’96 spiccano Romandia, Parigi-Nizza, Giro dei Paesi Baschi e tante altre classifiche generali) è contraddistinta dagli scivoloni. A cominciare dalla Vuelta del 1993, tappa di Alto del Naranco: Zulle è in lotta per la maglia amarillo con il connazionale Rominger. Piove sulle montagne asturiane e la discesa è tosta. Gli occhiali si appannano, le goccioline rendono difficile seguire le traiettorie, la bici svicola e finisce in un fosso. Zulle si rialza, ma la bici dov’è? La ricerca gli fa perdere un minuto abbondante. Risale in bici ma il distacco è troppo. Proverà a recuperare con una cronometro finale tanto prodigiosa quanto inutile.

Tour de France 1996, tappa di Les Arcs. Non una tappa come le altre, perché per la prima volta Miguel Indurain è alle corde, tanto che alla fine perderà oltre 4 minuti. Zulle ne perde anche di più, con due cadute consecutive. Nella seconda, a cavarlo d’impaccio sono i fotografi, non prima però di aver immortalato lo sfortunato svizzero in mezzo ai cespugli.

Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli
Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli

1997, l’anno del riscatto

Che Zulle sia però anche un corridore capace e non solo il “Mr.Magoo della bici” com’era stato un po’ ingenerosamente etichettato oltre Manica, lo dimostra nel 1997. Un anno che va avanti fra cadute in serie, al Delfinato, al Giro di Svizzera (che gli costa la frattura della clavicola) e al Tour de France, con conseguente ritiro perché l’osso non si era ancora saldato per bene. Eppure recupera e lavora sodo, fino ad aggiudicarsi la Vuelta di fine stagione.

Due anni dopo, al Tour, Zulle conquista il secondo posto dietro Armstrong (il primo dei sette Tour vinti dall’americano e poi cancellati dall’albo d’oro). Un’impresa considerando che nella seconda tappa si passa dal Passage du Gois, una strada di due miglia che è soggetta ai rialzi della marea e quindi è sempre coperta di acqua e fango. Fatto sta che una marea di corridori cade e nel bailamme Zulle è costretto a ripartire… senza occhiali, persi in quel caos di corridori e fango. Il distacco accumulato sarà tanto, ma l’elvetico riuscirà comunque a costruirsi un Tour di primo piano fino a finire secondo a 7’37” dall’americano.

Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”
Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”

La carriera dell’elvetico si è conclusa nel 2004, sulla via di un lento tramonto, finendo con una grande festa per celebrare i suoi successi più che le sue sfortune. Poi si lui di sono perse un po’ le tracce, non frequenta più il mondo del ciclismo vissuto in anni davvero difficili e controversi.

Ogni tanto qualche capatina la fa nelle cicloturistiche, soprattutto in Spagna teatro di gran parte della sua carriera ciclistica. Lo si vede pedalare in mezzo al gruppo, pluricinquantenne ancora in buona forma fisica. E naturalmente, con gli occhiali dritti sul naso…