Il vino, gli asini, la bici (poca): tutte le passioni di Marzio Bruseghin  

01.12.2024
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VITTORIO VENETO – Mentre saliamo per la strada che da Vittorio Veneto porta a casa di Marzio Bruseghin, gli siamo grati per aver declinato l’invito a fare questa intervista in bicicletta. Già in macchina le rampe sono impressionanti, certamente sopra il 20%, con fondo in cemento irregolare, intervallate ogni dieci metri da canalette per l’acqua. Il nome della strada d’altronde non mente: Via Sfadigà.

Ad accoglierci arriva Bruna, la mamma di Marzio, cuoca ufficiale di San Maman, l’agriturismo che gestiscono. Ci fa entrare, il caminetto è acceso. Appoggiate sopra in bella mostra, una fila di statuette di asini di ogni tipo e colore. 

Sopra il caminetto fanno bella mostra molte statuette di asini, arrivate da tutto il mondo
Sopra il caminetto fanno bella mostra molte statuette di asini, arrivate da tutto il mondo

Bruseghin arriva pochi secondi dopo. «Scusa, stavo facendo un lavoro in cucina, ci prepariamo per il fine settimana».

Lo ringraziamo calorosamente per averci evitato quella rampa micidiale. «Adesso vado in bici una volta ogni due anni – dice sorridendo – e questo è l’anno no. E quella salita lì l’ho già fatta abbastanza in vita mia». 

Anche perché tra vigna, animali, agriturismo il tempo per pedalare è oggettivamente poco. Ci sediamo e apre una bottiglia di Amets, il Prosecco che produce. Iniziamo chiedendogli come va il lavoro agricolo in questo periodo dell’anno.

«Adesso non c’è moltissimo da fare in vigna – racconta – quindi approfitto per fare tutti i lavoretti che nelle altre stagioni rimando sempre. Poi ho comunque gli animali a cui star dietro e il fine settimana c’è l’agriturismo. La prossima settimana in ogni caso inizio la potatura, che andrà avanti mesi, di solito finisco poco prima di Pasqua».

Amets, l’etichetta prodotta da Bruseghin, naturalmente a tema asino
Amets, l’etichetta prodotta da Bruseghin, naturalmente a tema asino
Ma fai tutto da solo?

Io e mio papà. Io taglio i tralci, lui li piega e li lega. Abbiamo quasi 20.000 piante da curare una ad una, e quindi ci vuole il suo tempo.

Come hai imparato questo mestiere, i tuoi genitori erano vignaioli?

Loro no, ma i miei nonni erano contadini. Quando avevo circa 28 anni ho iniziato a pensare a cosa avrei voluto fare da grande, così nel 2002 ho comprato questo posto. Nel 2004 abbiamo piantato i primi vigneti poi via sempre di più. Invece l’agriturismo è arrivato molto dopo, nel dicembre del 2019. Forse è brutto dirlo, ma quando smetti di correre non sai fare niente, al futuro bisogna pensarci per tempo. Se non resti nell’ambiente, una volta finita la carriera non serve a tanto saper andare in bicicletta.

Non hai mai pensato di restare nel mondo del ciclismo?

Sinceramente no, la vita da nomade mi pesava e continuare a quel modo sarebbe stato difficile per me. Volevo fare altro, e poi questo lavoro mi piace. All’aria aperta, in mezzo alla natura, con i miei ritmi. Dopotutto il lavoro degli sportivi è uno dei più precari che esista, quindi avere qualcosa di solido mi dà molta tranquillità.

L’azienda agricola di Bruseghin è nata nel 2002
L’azienda agricola di Bruseghin è nata nel 2002
Credi che il mondo del ciclismo sia più difficile ora che ai tuoi tempi?

Credo di sì, perché adesso i posti buoni sono più buoni, ma anche molti meno. Una volta non c’era tutto questo divario tra le squadre, ora se non sei in una World Tour è difficile essere seguiti bene. Poi adesso è diventato proprio un altro sport.

In che senso?

Sei sotto pressione tutto il tempo, occorre pensare a come promuoversi, a come vendersi. Non solo in gara, ma anche e soprattutto a livello di comunicazione. Devi interagire ogni giorno con i social ed essere sempre disponibile, quando invece noi magari potevamo staccare del tutto per settimane volendo. Ora invece quell’aspetto è parte integrante del lavoro.

All’entrata del locale si è accolti dalla sagoma di un asino illuminato
All’entrata del locale si è accolti dalla sagoma di un asino illuminato
Uno sport più ansiogeno?

Per noi forse sì, ma per i ragazzi di oggi magari no, perché in questo mondo ci sono cresciuti. La generazione ansiogena ormai è andata in pensione… Poi c’è anche da dire che adesso il ciclismo è un prodotto venduto meglio, non a caso è più di moda ora che vent’anni fa.

A proposito di ciclismo come prodotto, che idea ti sei fatto sulla vicenda dello slittamento della presentazione del Giro?

La partenza dall’Albania secondo me è una bella idea. Certo però che non si può arrivare a presentare un evento del genere a gennaio, se salta il piano A devi già avere un piano B pronto. Secondo me più generale c’è un problema a monte. Vegni è come uno sceneggiatore o un regista che deve fare il suo film utilizzando ventuno scene, in modo che stiano assieme il meglio possibile. Invece la sensazione che ho è che mettano insieme queste ventuno scene senza un’idea sotto.

Bruseghin indica le sue vigne, in tutto quasi ventimila piante
Bruseghin indica le sue vigne, in tutto quasi ventimila piante
Un esempio?

La tappa con arrivo ad Asolo di quest’anno, che in teoria doveva essere di riposo. Ma non pensano al fatto che se cadi o hai un problema meccanico poco prima dello strappo finale è un attimo perdere anche due minuti, cioè più che in una salita dolomitica. Il fatto è che così i corridori si stancano anche mentalmente, e poi quando è ora non danno spettacolo. Invece servono anche i trasferimenti veri, per arrivare freschi nelle tappe davvero importanti. Come anche secondo me sarebbe fondamentale mettere la neutralizzazione ai – 5 km nelle tappe in pianura. 

Visto che siamo in tema Giro, ci racconti un po’ del tuo anno magico, il 2008, in cui hai fatto terzo in classifica generale?

Quello è stato l’anno in cui ho raccolto i risultati più importanti, ma anche la stagione precedente avevo fatto buone cose. In realtà erano 3-4 anni che stavo bene, in cui avevo raggiunto forse il mio livello massimo. Nel 2008 ci sono state varie combinazioni di eventi, tutto si è incastrato al meglio e il settimo posto del 2007 si è trasformato in terzo. Ma non è che io fossi migliorato chissà che, sono state le situazioni che hanno girato bene. A volte, come in tutto, serve anche la fortuna.

Al momento gli asini sono diciannove, un grande passione e un aiuto per tenere puliti i prati dell’azienda
Al momento gli asini sono diciannove, un grande passione e un aiuto per tenere puliti i prati dell’azienda

Nel frattempo la luce sta calando e prima che sia buio facciamo un giro a vedere tutti gli animali dell’azienda. Bruseghin e famiglia hanno maiali, galline, anatre, conigli. E poi, naturalmente, gli asini, che in questo momento sono diciannove.

Com’è nata questa passione?

Quando ho comprato questo posto c’erano già sei asini del precedente proprietario, e un po’ alla volta mi sono affezionato, molto semplicemente. Anche perché sono utilissimi per tenere pulito il prato. Nel tempo poi sono diventati il simbolo sia del lavoro in vigna che del ciclismo. Adesso sono come i cani, li chiamo e loro arrivano. Al punto che ora mi dicono che sono più famoso come “quello dei mus” che come corridore. E forse non hanno tutti i torti…

Il vino Amets è anche scelto della Liquigas come regalo di Natale
Il vino Amets è anche scelto della Liquigas come regalo di Natale
Gli asini sono anche il simbolo del vino che producete, l’Amets. Ce ne parli?

Facciamo tre tipi di vino, Prosecco DOCG, Extra Dry e Colfondo, circa 40 mila bottiglie l’anno. Tutto biologico. Vendiamo in Italia ma anche all’estero, soprattutto in Norvegia, Croazia e Olanda. Le consegne vicine la faccio direttamente io con il furgone, e mi piace perché è anche un modo per coltivare, oltre alle viti, le amicizie. È questo il bello del vino, si presta a fare due chiacchiere, a stabilire un rapporto umano. Alla fine il contadino è ancora quello che produce qualcosa di tangibile, reale.  Dal niente creiamo un prodotto che magari dura anni, decenni.

Una bella soddisfazione, specie se lo si fa quasi tutto con le proprie mani come in questo caso…

Esattamente. Poi c’è anche un altro aspetto che mi piace, quello spaziale. Come un articolo che può venire letto anche in Giappone da persone che non conosci, così anche il vino può trasmettere un’emozione fino dall’altra parte del mondo. 

Vino e affettati, tutto di produzione propria
Vino e affettati, tutto di produzione propria

Bruseghin va a prendere degli affettati, tutti rigorosamente fatti in casa, e torna con un vassoio pieno di insaccati dall’aspetto molto allettante. Quando torna chiedo se si vede da un’altra parte, magari tra qualche anno.

«Non credo – risponde – qui sto proprio bene. Riesco a fare quello che mi piace senza correre troppo. Poi durante il fine settimana quando il ristorante è aperto lavo i piatti, mia mamma cucina e mia sorella serve ai tavoli. Abbiamo pochi coperti, venticinque massimo, perché vogliamo che le persone si sentano coccolate, dare il miglior servizio possibile. La verdura che si mangia a pranzo la raccolgo la mattina stessa, quindi altro che fresca, quasi ancora si muove… E questa qualità la puoi dare solo se fai numeri piccoli, cosa che mi lascia anche il tempo di stare con i clienti e fare due chiacchiere su vino e sport».

Bruseghin fuori dalla terrazza dell’agriturismo con il suo cane, compagno di mille avventure
Bruseghin fuori dalla terrazza dell’agriturismo con il suo cane, compagno di mille avventure
Quindi la bici scende dal chiodo davvero solo una volta ogni due anni?

Sì sì, proprio così. L’anno scorso degli amici mi hanno portato a fare un giro da Cortina col passo Tre Croci e le Tre Cime: durissimo. Alla fine della giornata ero molto felice di sapere che non l’avrei più toccata per due anni. Perché poi la bici soffre di una strana forma di Alzheimer, non si ricorda chi sei, cosa hai fatto, quante tappe hai vinto. Ti guarda come se non ti conoscesse.

Ultima domanda. Quando correvi tenevi il tempo sulla salita di casa per capire se eri in forma, come molti colleghi?

Tieni conto che quelle rampe hanno punte al 28% e io le facevo con 39×25, massimo 39×27. Quindi no, mai tenuto il tempo una volta in vita mia, mi bastava riuscire ad arrivare a casa in qualche modo. Anzi, se trovavo una macchina o un trattore mi facevo tirare molto volentieri.

Pedranzini: la Valtellina e i pro’ come motore del turismo

20.07.2023
4 min
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BORMIO – La cornice all’evento di presentazione del team Eolo-Kometa è stata la piazza Kuerc di Bormio. I corridori del team professional, guidato da Ivan Basso e dal suo staff, si sono goduti l’abbraccio della comunità di Bormio. Tra le varie autorità e appassionati presenti, c’era anche Giacomo Pedranzini, proprietario dell’azienda Kometa (nella foto di apertura davanti all’azienda di famiglia insieme ai corridore della Eolo-Kometa). Sponsor che dà il secondo nome alla professional

«Il progetto della Eolo-Kometa – ci dice in prima battuta – che a me piace chiamare “la squadra di Basso e Contador”, è nato sette anni fa. Aveva un obiettivo chiaro, per me e la mia famiglia, che ha deciso di aderire a questa iniziativa. Ovvero quello di consumare del cibo sano, promuovendo attraverso lo sport l’assunzione di uno stile di vita attivo». 

Terra eroica

La scelta di allenarsi in questo contesto non è casuale, la Valtellina è da anni teatro di grandi sfide a colpi di pedale. Da Bormio parte la salita al Passo dello Stelvio, il valico automobilistico più alto d’Italia ed il secondo in Europa. Non lontano da qui si nascondono le pendenze del Passo Gavia e del Mortirolo. Insomma, in Valtellina il ciclismo è di casa. 

«La Valtellina è, prima di tutto – continua Pedranzini – terra di agricoltura eroica e poi di ciclismo altrettanto eroico. I vigneti che si affacciano sulla strada che attraversa la valle sono la testimonianza della fatica e della passione che gli agricoltori hanno verso questo territorio. Negli ultimi 20 anni il turismo legato al ciclismo è cresciuto a dismisura, arrivando ad eguagliare quello dello sci. Questo fatto, per la Valtellina, è un risultato eccezionale, offrire un turismo sano e rispettoso dell’ambiente e delle attività economiche della valle è un grande traguardo».

Il motore del professionismo

Una grande spinta è arrivata dallo sport agonistico, le battaglie che hanno caratterizzato queste salite hanno portato tanti appassionati su queste strade. Una volta ammirate le bellezze naturalistiche gli appassionati non hanno potuto far altro che ripercorrere a loro volta queste strade. 

«Siamo partiti da una squadra continental – riprende – poi fortunatamente siamo arrivati al modello professional, partecipando agli ultimi tre Giri d’Italia. Alla corsa rosa abbiamo anche collezionato due splendide vittorie in tappe iconiche. Speriamo di contribuire ad un ulteriore rilancio del ciclismo in Italia. La bicicletta era la cultura del nostro Paese, che dominava nel ciclismo internazionale. Portare una squadra professionistica su queste strade in ritiro vuol dire farle vivere anche al di fuori del contesto agonistico, che dura solo un giorno. La cultura e la passione per lo sport devono abbracciare questa terra tutto l’anno».

L’esempio Ungheria

Il Giro d’Italia nel 2022 è partito dall’Ungheria, una terra ed una popolazione che hanno calorosamente abbracciato il ciclismo e la corsa rosa. L’azienda della famiglia Pedranzini, Kometa appunto, nasce in questa valle ed ha anche uno stabilimento in Ungheria. Giacomo Pedranzini vive quel territorio, cosa ha lasciato il ciclismo da quelle parti un anno dopo?

 «Ha lasciato – conclude – un Giro di Ungheria con strade affollate e con tanto entusiasmo di contorno. Il risultato più bello, che ha dato il maggior riscontro, è che gli ungheresi sono stati contentissimi dell’evento. La stessa organizzazione ha detto che quella è stata una delle migliori partenze dall’estero del Giro. Questo deve fare il ciclismo professionistico, essere un motore di crescita per lo sport a tutti i livelli».