Matthew Brennan è tornato a casa da poche ore. Con in valigia il trofeo per la vittoria al GP de Denain, una prova del Pro Series: terza gara in Francia, terza vittoria. A un certo punto il telefono squilla, dall’altra parte ci sono i vertici della Visma-Lease a Bike.
«Matthew, sei stato convocato per il Catalunya. Non ci sarà Vingegaard e tu prenderai il suo posto. Ossia sarai tu la punta del team».
«Ma il Catalunya è una corsa per scalatori, che cosa ci vado a fare? ». La sua domanda resta senza risposta. Anzi, la risposta la darà lui…
Una crescita prepotente
Prima tappa della corsa iberica e ci si avvia verso una volata di un gruppo anche abbastanza corposo. C’è gente veloce, molto veloce come Groves o l’iridato di ciclocross Del Grosso, ma il britannico li mette tutti in fila. Quarta vittoria consecutiva e i vertici della Visma si sfregano le mani di fronte a tanto talento.
«Sono davvero rimasto sorpreso – racconta Franz Maassen, il diesse che di esperienza ne ha da vendere (la sua Amstel ai danni di Fondriest nel 1991 resterà negli annali) – quando lo abbiamo portato pensavamo potesse far bene, anche magari lottare per una tappa, ma farlo in maniera così prepotente ci ha lasciato senza parole. Quando l’ho visto agganciarsi alla ruota di Del Grosso non ho potuto trattenere il mio entusiasmo per quel che stava accadendo. E non si è fermato lì».
Già, perché Brennan ha poi chiuso al 2° posto la tappa successiva e dopo un paio di frazioni vissute come aiutante degli altri se n’è presa ancora un’altra, al punto da spingere i responsabili a fermarlo, evitandogli lo sforzo delle due tappe finali, le più dure. Un simile gioiello va maneggiato con cura…
La storia della “paghetta”…
De Groot era stato chiaro a inizio stagione, parlando di questo diciannovenne britannico di Darlington come di un talento puro. «Sapevamo che aveva fatto la sua trafila nello Stockton Wheelers, un club della sua città e poi era passato sotto le abili mani di Giles Pidcock, il papà di Tom. Lo vidi nel 2023 e mi accorsi che aveva un gran potenziale nelle crono brevi come negli sprint ristretti, così decisi che meritava un’occasione».
Il britannico approdò così alla squadra olandese e all’inizio non mancava anche un po’ di scetticismo. Di ragazzi nei devo team ne approdano tanti, quelli che brillano davvero però non sono molti. «Gli parlai chiaro – ricorda De Groot – gli dissi “vediamo se in due anni riusciamo a fare di te un professionista”. Gli parlammo di allenamento e alimentazione, di approccio mentale alle gare come alla sua attività in genere, di tattiche di corsa. La cosa che mi colpì è che non fece riferimenti allo stipendio: molti a quell’età si sentono già in diritto di nominarlo, vedono le cifre e ti parlano di “paghetta”. Non era il suo caso: lui pensava a lavorare».
Un ragazzino più maturo della sua età
Proprio il lavoro è la chiave di volta, non solo nel suo rendimento ma soprattutto nella considerazione che nel team acquisiscono su di lui e lo stesso De Groot, all’indomani dei suoi successi in terra iberica, lo ha raccontato a Rouleur: «Già dopo i primi esercizi non potevamo credere ai nostri occhi. Abilità fisica, una capacità di guida impressionante probabilmente mutuata dalla pista, ma anche il saper stare fuori dalle gare: il riposo nella maniera giusta, il saper stare nel team, pochi fronzoli e tanta concretezza. Abbiamo capito lì che avevamo un altro gioiello fra le mani».
Era il 2024 e sin dalle prime gare si capiva che non era un corridore comune. Due vittorie in Slovenia, poi altri piazzamenti lungo la primavera. Già a maggio il suo destino era segnato, portandolo nel team maggiore per il 2025 mentre lui continuava a collezionare risultati (anche la vittoria nella tappa finale del Giro Next Gen). Niente però in paragone a quest’anno.
Avere Kuss per gregario…
In casa Visma-Lease a Bike hanno quasi paura ad avere un atleta simile, a doverlo gestire. Dopo i suoi successi iberici lo hanno riportato in fretta e furia a casa, limitando al massimo i contatti con i media. Una scelta loro, non sua, infatti quando gli si chiede se tanta pressione lo mette in difficoltà lui risponde serafico: «Non è diverso da quando esco di casa a Darlington…». Segno di grande maturità e di una visione ancora un po’ bambinesca del suo mestiere, il che probabilmente è anche la sua forza.
Lo si capisce anche da come racconta le sue vittorie in terra catalana: «Per me è stato un grande onore aver potuto correre con certi nomi, averli al mio fianco dopo che ero abituato a vederli in tv. Ma la corsa che mi sono portato via con più emozione da lì è un ricordo: eravamo nella seconda tappa e in salita stavo soffrendo il ritmo degli avversari. Si è messo vicino a me Sepp Kuss, ha iniziato a incitarmi, si è messo a tirare per me, riportandomi in gruppo. Capite? Sepp Kuss, il trionfatore della Vuelta. E’ qualcosa di speciale».
E ora? Quasi solo WorldTour…
Dopo questi risultati il programma di Brennan cambia. Ora farà solo gare WorldTour e Pro. E’ come uno di quei ragazzi prodigio americani che vanno al college quando alla loro età sarebbero ancora alle medie… De Groot ha ben chiaro il suo impiego: «Romandia, Norvegia e campionato nazionale, poi riposo». E a chi, in patria, inizia a indicarlo come erede di Cavendish il tecnico neerlandese ribatte quasi con fastidio: «Avete mai visto Cav vincere uno sprint di una corsa con 3.000 metri di dislivello? Matthew l’ha fatto, ma lui non è un velocista, pesa 67,5 chili, è un altro corridore. I paragoni non stanno in piedi».
Una curiosità: la seconda tappa del Catalunya, Brennan l’ha persa da Ethan Vernon, un altro britannico con radici nella pista. Magari un domani saranno compagni nel quartetto e forse proprio la decisione se continuare a fare pista è una delle grandi scommesse del futuro del ragazzino britannico. Un altro dei candidati ad entrare nell’olimpo dei giovani fenomeni del ciclismo, sempre più popolato…