Sembra passato un secolo, era appena l’alba del 2017 quando all’Hotel Fiordaliso di Terracina, sede storica di ritiri quando la Spagna non era ancora così ricercata, incontrammo quattro neoprofessionisti del neonato UAE Team Emirates. Ganna, Consonni, Troìa e Ravasi erano approdati alla corte di Saronni e Gianetti dal Team Colpack che fino all’anno precedente era stato il vivaio della Lampre con cui divideva le bici Merida. Quattro ragazzi diversissimi fra loro che negli under 23 si erano guadagnati la chance del WorldTour.
Ganna, arrivato alla Colpack dalla Viris, aveva partecipato alle Olimpiadi di Rio, aveva vinto il primo mondiale dell’inseguimento, una lunga serie di crono e la Parigi-Roubaix Espoirs 2016. Consonni era campione italiano in carica e, siccome era quello veloce e teneva in salita, aveva fatto incetta di classiche (l’argento ai mondiali di Richmond 2015 però gli bruciava ancora sulla pelle). Ravasi era lo scalatore, secondo al Tour de l’Avenir 2016 dietro Gaudu e vincitore di tappe al Giro delle Valli Cuneesi e al Valle d’Aosta. Infine Troìa, il passistone e l’uomo squadra, che in quella Roubaix U23 del 2016 aiutò Ganna a centrare il successo.


Quattro storie diverse
A distanza di sette anni, Ganna e Consonni sono ancora in gruppo, Ravasi e Troìa non più. Non è scontato fare carriera e meno si è strutturati e più diventa difficile. Questo viaggio, fatto in compagnia di Rossella Di Leo che li fece crescere nel Team Colpack, può essere un’utile lettura per chi si accinge a passare professionista senza avere nelle tasche le cartucce necessarie.
«Per Ganna e Consonni – riflette Rossella – non ci sono problemi, sono ancora lì e stanno dimostrando quel che valgono. Troìa è passato perché era pronto per fare il suo lavoro e mi sembra che negli anni in cui ha avuto il contratto abbia anche dimostrato di lavorare bene. Poi Pippo e Simone hanno cambiato squadra, forse se fossero rimasti, “Olly” avrebbe potuto continuare a fare per loro il lavoro che faceva da sempre alla Colpack. Poi si è felicemente sposato, ha fatto un bimbo e adesso ne ha fatto un altro. Ha scelto un’altra strada e la sta facendo in modo egregio con il lavoro di suo padre».


Tutto bello, ma proprio lui è rimasto senza squadra a 28 anni, dopo aver lavorato bene e a lungo…
Quando vedo i corridori per la prima volta, dico sempre che è molto più difficile smettere di correre che iniziare. Puoi avere 25 anni, puoi averne 30, ma se non ti sei preparato ad un piano B, è la cosa più difficile del mondo. L’ho vissuto anche con Felice Gimondi, che ha finito la sua carriera, però non era ancora pronto. In effetti nel primo anno neanche lui riusciva a capire cosa dovesse fare. Non è una questione di età. A meno che tu faccia come Davide Martinelli e un anno prima ti prepari il piano B, restando sempre nel mondo del ciclismo.
Ravasi è stato molto sfortunato, ha avuto problemi fisici ed è uscito di scena in silenzio…
Edward è sempre stato un po’ cagionevole, però aveva fatto secondo al Tour de l’Avenir. Qualcosa aveva dimostrato, quindi era pronto anche lui. Però è vero che ha sempre avuto problemi anche quando era alla Colpack, la fortuna non è stata dalla sua parte.
Tutti e quattro alla UAE: non poteva essere che proprio Ravasi avrebbe avuto bisogno di una squadra più piccola, viste le sue fragilità?
Quando parlo di queste cose, penso a Ciccone. Quando era al terzo anno da dilettante e magari si pensava di fare come con Consonni che ne ha fatti quattro, Giulio disse che sarebbe voluto passare. Che suo padre faceva l’operaio, il treno stava passando e non se la sentiva di lasciarlo andare. Quando si è trattato di Ravasi, il treno che è passato era un Italo, un Freccia Rossa e come fai a non prenderlo?
Non c’era altro?
Quello c’era e quello ha preso, non c’erano così tante squadre. Anche Consonni sarebbe stato pronto a passare dopo il terzo anno da U23, ma non c’erano squadre e aspettammo che facesse il quarto. Ravasi si è giocato la sua chance, non è questione di intelligenza, è soprattutto questione di scelta. Lo fareste anche voi, no? Non avreste scelto la squadra più importante?


Consonni negli anni è stato la spalla di Viviani e ora di Milan: ha trovato il suo ruolo e lì si è fermato. Potrebbe ambire a di più?
Anche con noi alla Colpack è sempre stato versatile, nel senso che ha vinto ma è sempre stato a disposizione di tutti. E’ sempre stato un uomo squadra, fin da quando era piccolino. Vinceva, però era contento di far vincere gli altri: una capacità che ha sempre avuto. Se poi davanti ne hai uno più forte, come ad esempio Viviani in pista, devi anche essere intelligente. E sono anche certa che alle spalle di Simone ci siano dei ragazzi che aspettino che lui molli per prendergli il posto. In pista puoi durare tanti anni, ma è un grosso sacrificio.
Che però Consonni fa molto volentieri…
Io tante volte non lo capisco, perché è davvero un grosso impegno. La pista è casa loro, capito? Anche quando erano dilettanti, partivano, stavano ore e ore in pista e quando tornavano ti raccontavano di aver mangiato una piadina e di aver continuato a girare. Oggi con tutti i nutrizionisti che ci sono, a qualcuno verrebbe un colpo.
Parliamo di Ganna. Perché uno che vince la Roubaix da U23 e ha doti da passista come lui, non è stato messo subito al centro di un progetto sulle classiche?
Su questo potrei essere anche d’accordo, perché Pippo è straforte. Però alla Ineos forse non l’hanno valorizzato sempre per quello che vale. E’ un atleta ormai maturo, che avrà fatto le sue scelte, come Simone ha fatto le sue. Anche Pippo è un ragazzo modesto, si fida tanto delle persone che lo stanno gestendo e quindi non sta lì a pensare che potrebbe fare diversamente. Sia lui sia Consonni sono sempre stati così e quindi se la vivono bene.


Quando li avete affidati alla UAE, vi aspettavate quello che è venuto o pensavate qualcosa di diverso?
Hanno sempre dato il massimo, quindi quel che è venuto va bene. Il fatto che non gli abbiano costruito attorno una squadra per le classiche rientra anche nelle scelte di Pippo. Sei adulto e ti pagano, giusto? A fine devi fare quello che ti chiedono. Consonni lo dice tante volte: devo lavorare, però mi pagano per fare quello, quindi io quello faccio. Secondo me nelle rispettive squadre sono considerati positivamente anche per questo aspetto. Perché non si lamentano e stanno al loro posto.
Forse ai tifosi questa correttezza a volte può stare un po’ stretta?
Se hai uno come Evenepoel, che sgomita e parla dalla mattina alla sera, è un conto. Ma qui non ragioniamo di Remco, ma di ragazzi prima di tutto di una generazione diversa. Adesso ci sono loro, c’è Pogacar. Invece secondo me Pippo e Simo sono ragazzi con un’altra umiltà.
Capita ancora di sentirsi dopo che passano professionisti?
Ci sentiamo o ci vediamo per delle occasioni, come feste o corse, ma non siamo gente che rompe le scatole. Quando Ganna ha fatto il record dell’Ora, siamo andati a vederlo. Ci sono momenti come le feste dei fans club o quando hanno un bambino. Mi sento più con la mamma di Ganna che con Pippo stesso. Però una volta che eravamo a Livigno, c’era su anche lui e per due o tre sere abbiamo mangiato insieme.


E’ così anche con Ravasi e Troìa?
Con Troìa sì, perché ha sempre fatto parte del gruppo e capita che ci troviamo. Ravasi invece è sempre stato un po’ più isolato, ma posso dire che dopo quella generazione le cose sono cambiate. Con Masnada, Ciccone e Consonni i rapporti sono rimasti. Se fanno qualcosa di bello e gli mandi un messaggio, ti rispondono. Però da loro in avanti, il rapporto è cambiato. Adesso teniamo i corridori per un massimo di due anni, un periodo troppo breve, per cui quando se ne vanno, capita raramente di avere contatti. I quattro anni di Consonni sono stati quattro anni di vita.
Non c’era la fretta di adesso?
Per dire, la sera di Natale siamo stati da mia figlia e c’era anche Celestino, che ha lasciato Andora ed è tornato qui. Fra dilettanti e professionisti, Mirko è stato con noi per otto anni. Ormai è uno di famiglia.