«Mesdames et messieurs, voilà le Tour de France numero 110». La Grande Boucle è stata presentata questa mattina a Parigi, al Palais des Congrès, davanti ad un folla di campioni, direttori sportivi, manager, grandi del passato e appassionati.
Il percorso? Ci sentiamo di definirlo innovativo. Una prima settimana che entra subito nel vivo e che potrà decretare una classifica già ben assestata. Una seconda settimana piena di salite e un finale senza tappe monster, ma infarcita di trabocchetti. Quasi si fosse “invertito” l’ordine fra la prima e la terza settimana.
Christian Prudhomme (nella foto di apertura), il direttore del Tour, è sembrato più orgoglioso che mai. Si va in scena dal 1° al 23 luglio: 21 tappe, 3.404 chilometri, otto frazioni di montagna, quattro arrivi salita. E ancora: otto tappe di pianura, quattro tappe ondulate e una sola cronometro, tra l’altro abbastanza breve. Solo due frazioni al di sopra dei 200 chilometri.
Subito i Pirenei
Si parte dall’estero, in Spagna, dai paesi Baschi e più precisamente da Bilbao. E qui Prudhomme non ci è andato leggero con i giudizi: «Dopo il Belgio, il tifo del ciclismo più caldo al mondo è nei Paesi Baschi. E dal 1992 che volevano le Grand Depart, si sono candidati per 30 anni. L’organizzazione basca era presente l’anno scorso al via in Danimarca. Hanno visto il fervore e io gli ho detto: “Adesso sapete cosa vi aspetta”. Roba da pugili».
Così come da pugili è la prima settimana. La seconda tappa, per esempio, arriva a San Sebastian ed è una (quasi) fedele replica dell’omonima classica. Anche la terza tappa è un “grido” di appena 137 chilometri con 4 Gpm, non duri okay, ma sono pur sempre 4 scalate. E tutti hanno ancora gambe fresche.
Le vere salite, i Pirenei, arrivano due giorni dopo nella Pau-Lauruns. Nel finale si scala il Marie-Blanque salita non lunga, ma dura e asfissiante per la sua umidità. E il giorno dopo c’è il Tourmalet e la scalata finale a Cauterets, erta lunga ma pedalabile (16 km al 5,4%) tipica del Tour.
Non fa parte della prima settimana, ma chiude il primo blocco del Tour, il mitico Puy de Dome. E’ la nona frazione. Si va da Saint Léonard de Noblat-Puy de Dôme, salita storica e durissima nel Massiccio Centrale, il “terzo” gruppo montuoso della Francia: 13 chilometri al 7,7%, ma gli ultimi 4 non scendono mai sotto l’11%.
Quante Alpi
Il Tour de France osserva così il primo giorno di riposo. E lo fa, più o meno, nel cuore geografico della sua Nazione.
Da qui si passa alla sezione centrale, probabilmente quella decisiva. Se le tappe 10, 11 e 12 sono “facili”, poi non si scherza più. Ed è qui che inizia il lungo viaggio nelle Alpi. Quest’anno a più riprese, tra Savoia e Delfinato il Tour ci passa davvero tanto tempo: sette giorni.
S’inizia con l’arrivo in cima al Col du Grand Colombier, tra l’altro nel giorno della festa nazionale. Poi è la volta di Morzine con il classico Col de Joux Plane prima dell’arrivo. Salita difficile e discesa difficilissima (se da fare a tutta per scappare o chiudere).
La 15ª tappa, la Les Gets les Portes du Solei-Saint-Gervais Mont-Blanc, sarà un vero delirio: i Gpm sono solo quattro, ma potrebbero essere almeno una dozzina. E non è una battuta. Da affrontare oltre 5.200 metri di dislivello in 180 chilometri. Non c’è un metro di pianura. I restanti contendenti alla maglia gialla saranno davvero pochi a questo punto.
Les Gets les Portes du Soleil – Saint-Gervais Mont-Blanc le Bettex: 15ª tappa di 180 km
Belfort-Le Markstein: 20ª tappa di 133 km
Les Gets les Portes du Soleil – Saint-Gervais Mont-Blanc le Bettex: 15ª tappa di 180 km
Belfort-Le Markstein: 20ª tappa di 133 km
Un lungo sprint
Dopo la tripletta alpina, ecco il secondo giorno di riposo che farà da antipasto alla curiosa e attesa frazione numero 17: la Passy-Combloux che sarà percorsa individualmente e contro il tempo. È la crono di 22 chilometri con una cote nel finale e gli ultimi chilometri che tirano all’insù. Chi uscirà con le gambe in croce dal Gpm rischia di pagare tanto, tanto…
Di fatto, le tappe super difficili terminano qui. Ma questo elemento di rottura col passato terrà alta la tensione fino a Parigi, perché comunque il terreno per attaccare non mancherà. Imboscate, strappi, salite: i Vosgi e il Ballon d’Alsace sono perfetti. La ventesima tappa con arrivo a Le Markstein è un inno all’incertezza: 133 chilometri, ancora quasi 4.000 metri di dislivello: una Liegi “in quota”.
Il finale è un pieno di simbolismo. E in tal senso i francesi sono maestri. La 21ª tappa infatti partirà dal velodromo dove si svolgeranno le Olimpiadi del 2024 e terminerà con la classica parata sugli Champs-Élysées.
Voce ai pro’
A questo punto quali sono state le reazioni dei corridori? Gaudu congola e ha detto che vuole il podio. Alaphilippe ha contato sulle dita di due mani e mezzo le frazioni che possono vederlo protagonista. Van Aert, se sarà quello del 2022, non lotterà per la vittoria giusto a Morzine e a Saint Gervais.
Non solo, ma questo percorso, che più di qualcuno a Parigi ha definito l’opposto del Giro d’Italia, ha fatto protendere persino Simon Yates per la via francese. E sappiamo quanto l’inglese ami la corsa rosa.
Accontentati anche gli sprinter. Pollice all’insù da Groenewegen a Cavendish, che con l’ufficioso passaggio alla B&B Hotels tornerà in corsa.
Mentre Lefevere smorza i toni su Remco Evenepoel, che sembra aver già scelto il Giro: «Decideremo insieme quale grande Giro fare. La porta per il Tour non è chiusa e il fatto che ci siano solo 22 chilometri a crono non vuol dire nulla. Remco vince dappertutto. Piuttosto questo tracciato mi ricorda quello del 2019 quando Alaphilippe fu a lungo in giallo. E se fosse al 100%…».
Jonas riflette
E poi ci sono loro due, i protagonisti di quest’anno: Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar.
«Con la squadra – ha commentato alla stampa internazionale Vingegaard (in vacanza) – non abbiamo ancora stilato un piano definitivo per il 2023, ma l’idea chiaramente è quella di essere al Tour. Sarei sorpreso se non fosse così! Sono pronto a raccogliere questa sfida. So che il prossimo anno sarà più difficile vincere, ma fa parte del gioco».
Sempre in relazione a Vingegaard, Merijn Zeeman, il team manager della Jumbo-Visma, ha aggiunto a VeloNews parole importanti. «Non abbiamo ancora deciso nulla. Il Giro d’Italia è un’opzione se lo vuole, ma se sei la maglia gialla uscente cerchi di difenderla. Però Jonas non ha mai corso il Giro e magari vorrà provare.
«Prima di ogni decisione vorrei anche conoscere il parere di Roglic. Entro dicembre chiariremo tutto perché per prepararsi al meglio servono tanti mesi».
Tadej già gasato
«Mi piace molto questo percorso – ha detto sorridente lo sloveno – La prima settimana è già difficile e la terza settimana è difficile e divertente. È positivo che le tappe più toste arrivino all’inizio del Tour, questo lo rende più interessante.
«Mi piacerebbe continuare a correre così, attaccando sempre, ma al Tour ho imparato che a volte devi aspettare il finale».
Ma forse le parole che più sintetizzano questa sfida e l’intero Tour 2023 sono quelle del team manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti. «Il percorso di questo Tour fa venire voglia di attaccare. Magari Tadej potrebbe decidere di cambiare e non scattare più a 50 chilometri dall’arrivo… ma neanche possiamo trasformarlo. E’ la sua natura».