La pubblicazione del pezzo su Umberto Orsini non è passata inosservata. Quando un corridore di belle speranze smette di correre a 26 anni, si tende tutti a simpatizzare per lui e sui social i commenti si sono moltiplicati. C’è chi ha sostenuto che il ragazzo non fosse pronto per passare e chi invece ha puntato il dito verso il team. Chiamato direttamente in causa, Roberto Reverberi ha cercato di spiegare le sue ragioni, ma come spesso accade in determinate piazze, il dibattito si è fermato ai prevedibili commenti non sempre concilianti. Ma visto che il caso di Orsini non è isolato, questa volta abbiamo pensato di partire proprio da lui.
«Non è detto – spiega il figlio di Bruno Reverberi – che il contratto sia sempre biennale. Un corridore come Battaglin, che avevamo visto andare molto forte già da stagista, ha avuto subito un triennale. In assoluto però, quelli buoni li vedi già al primo impatto, perché lanciano segnali interessanti. Penso a Modolo, che al primo anno arrivò 3° nella volata di San Benedetto alla Tirreno e 4° alla Sanremo. Penso a Colbrelli, 2° alla Bernocchi al primo anno e vincitore in una tappa del Giro di Padania. Il problema di Orsini è che non era molto concentrato e probabilmente non faceva la vita da atleta come avrebbe dovuto».
Altri 2 nomi
Rispetto al 2020 però, all’appello in casa Reverberi mancano però anche Francesco Romano, Alessandro Pessot e Marco Benfatto. Se l’ultimo ha comunque 33 anni e nelle gambe 6 stagioni nel professionismo, i primi due sono stati lasciati liberi alla conclusione della seconda, ricordando che il 2020 è stato condizionato pesantemente dal Covid.
«Per come la vedo io – dice Reverberi – erano corridori in forse anche dalla stagione precedente, però avevano un contratto biennale ed era giusto dargli una possibilità. Nel fare certe valutazioni, ci basiamo anche su quello che dicono i compagni, per cui un corridore come Savini è rimasto, per quello che di buono ha lasciato intravedere. Il problema con Romano è che non si è mai inserito nel nostro modo di correre, faceva un po’ il furbino. Al Giro d’Italia non è neanche andato male, ma ricordo il giorno in Romagna in cui ha dato tutto per fare un traguardo volante e poi si è staccato dalla fuga, facendoci fare davvero una bella figura…
«I corridori devono anche integrarsi nella squadra – prosegue Reverberi – ad esempio abbiamo lasciato andare Canola e Pasqualon perché correvano per i fatti loro. Pessot aveva problemi anche ad andare in discesa e poi parlava poco. Se fossero così forti, perché non li avremmo tenuti? Quando fai passare quelli di seconda fascia, si deve mettere in conto la possibilità che smettano. D’altra parte, dove sono quelli che noi abbiamo lasciato liberi e che poi hanno sfondato?».
Quali fasce?
Qui il discorso tuttavia rischia di diventare scivoloso. Un po’ perché Pasqualon ha fatto e sta facendo un’ottima carriera e poi perché, giusto ieri, Raimondo Scimone ci ha spiegato le difficoltà di ricollocare un corridore lasciato a piedi dalla squadra precedente.
Quando Alessandro Pessot passò professionista, di lui si diceva che sarebbe diventato un novello De Marchi. Potente, forte a crono, coraggioso, amante delle fughe. Nel 2017, aveva vinto il Carpathia Couriers Race da U23, battendo un giovanissimo Pogacar. Non era un corridore di prima fascia, come ha detto Reverberi, ma potrebbe ancora diventare un eccellente uomo squadra.
Una raccomandata
«A settembre – dice il friulano – ho ricevuto una raccomandata con cui mi comunicavano che non sarei stato confermato. Senza altre spiegazioni. Capisco che la squadra abbia bisogno di visibilità e questa viene dalle fughe. Capisco anche che il 2020 non sia stato il mio anno migliore, come non lo è stato per molti altri. Ma posso dire di aver sempre dato il massimo, in allenamento e in corsa, senza essere seguito come al CTF Lab con cui continuo a prepararmi. In questi due anni ho anche avuto dei problemi e ho colto l’occasione sapendo che il tempo era poco. De Marchi e Fabbro mi avevano avvertito che non si può stare ad aspettare perché è facile perdere il treno. Posso aver commesso qualche errore, credo sia normale quando cerchi di imparare un mestiere, ma non ho rimpianti con me stesso, a parte quello di aver corso soltanto 25 giorni nel 2020. Qualche giorno in più mi avrebbe aiutato a trovare la condizione e a migliorare l’esperienza. Quanto ai problemi in discesa, confermo che sul bagnato non sono mai stato un drago, ma anche che ho avuto problemi a trovare il giusto feeling con i materiali. Non solo io, anche altri compagni. Tanto che quest’anno oltre alle biciclette sono state cambiate anche le gomme».
Romano, 23 anni
Francesco Romano, dal canto suo, si ritrova di nuovo nella Palazzago in cui corse fino ai 21 anni, avendone ora 23. Passato dopo il secondo anno da U23, il siciliano ha raccontato di essere diventato professionista troppo presto e che un ragazzino come lui non aveva ancora le armi per difendersi.
Due anni e via
Ma il punto è proprio questo. Che cosa si chiede ad un neoprofessionista oltre all’impegno e al garantire una buona immagine alla squadra? Che sia già in grado di vincere? Oppure che si faccia vedere? E se si prende un corridore così giovane, non avrebbe più senso proseguire nell’investimento e costruirlo nella sua professionalità? I corridori che non fanno la vita potrebbero semplicemente essere demotivati? E se così fosse, non sarebbe utile mettergli accanto qualcuno che non vanifichi gli stipendi mese dopo mese?
A ben guardare anche De Marchi era una seconda fascia e come lui Ballan. Per loro fortuna tuttavia, quando passarono professionisti, il tempo non era scandito a ritmo di social.