«Sono stato il primo italiano al Tour of the Alps? Beh, allora vuol dire che non siamo messi molto bene!». Scherza Simone Ravanelli. Scherza ma in fondo solleva una questione affatto secondaria: dove sono finiti gli italiani? Ne abbiamo parlato anche nell’editoriale di questa settimana.
Con l’atleta della Drone Hopper-Androni Giocattoli parliamo di questo, ma anche della sua buona prestazione. In fin dei conti non è certo lui, che appunto è stato il migliore, a dover “portare la croce”.
Covid e bronchiti
«E’ un momento un po’ triste per il nostro ciclismo – riprende Ravanelli – non abbiamo corridori nei primi 15-20 né alle classiche, né nelle corse tappe. E per il movimento non è certo un bene.
«Poi però è anche vero che ogni annata ha la sua storia. Lo scorso anno per esempio Sonny (Colbrelli, ndr) ha vinto europeo e Roubaix, mentre quest’anno ci sono molti acciacchi in gruppo. Soprattutto dopo la Tirreno si sono verificati tanti casi di bronchite, oltre al Covid. Io stesso a causa del Coronavirus ho saltato una grossa fetta di stagione: niente Tirreno, niente Coppi e Bartali».
«In gruppo so che tanti ragazzi non se la passano bene. Dopo il Covid, faticano a riprendere al massimo. Se ci mettiamo che il ciclismo è cambiato, che si va più forte (guardate la media della Roubaix), che i wattaggi sono aumentati, oggi anche solo rallentare un po’ significa non essere competitivi. Significa fare fatica a finire la gara».
Il TOTA un test
Come dicevamo, Ravanelli si è difeso bene. Nella Drone Hopper c’è quasi il “diktat” di andare in fuga. Lui però aveva un po’ di spazio per sé. Poteva puntare alla classifica. Merito di un buon rientro in Sicilia.
«In realtà – spiega il bergamasco – più che puntare alla classifica sono partito per trovare la giusta gamba dopo 40 giorni lontano dalle gare. Ero rientrato al Giro di Sicilia e ho visto che tutto sommato le sensazioni erano buone. Così al TOTA ho provato a tenere duro giorno per giorno.
«Poi con il livello che c’era, dieci WorldTour, i primi 25 erano irraggiungibili. Io però non ho mai avuto cali durante tutti e cinque i giorni di gara e questo è stato un buon segnale.
«Mi do un sette. Visto l’avvicinamento che ho avuto e con solo 20 giorni di allenamento nelle gambe, va bene.
Italiani in difficoltà
«Poi ragazzi – dice Ravanelli, con una consapevolezza ammirabile – parliamo di un 37° posto, non c’è da festeggiare. Sono contento a livello personale, per come è arrivato e infatti la squadra mi ha fatto i complimenti, ma non credo che a Fabbro per esempio, che era subito dietro di me, abbiano detto bravo. Anche Matteo so che non era al top, ha avuto un sacco di problemi».
«Se mi aspettavo che ci fosse qualche italiano davanti a me? Sì, ma non qualcuno che si giocasse la vittoria o da primi dieci posti. Alla fine con quei nomi che c’erano l’unico italiano che se la poteva giocare sarebbe potuto essere Damiano Caruso. E non è detto che avrebbe vinto. Al Giro di Sicilia si vedeva che “giocava”, ma poi alla Liegi, corsa di altro livello, non è stato così. E questo credo valga anche per il Giro. Corridori italiani per una top ten magari ci sono, ma non vedo chi possa lottare per la maglia rosa.
«Ci sono stati pochi italiani perché l’ultima tappa l’abbiamo finita in pochi corridori, solo 64. Pioggia tutto il giorno e 5°, siamo saliti una volta a 1.300 metri e una a 1.500: tanti sono finiti fuori tempo massimo e tanti altri si sono ritirati.
La fuga giusta
Eppure in fuga un giorno Simone ci era andato. Il problema per lui e per gli altri undici che cercavano di scappare nella penultima tappa, è che c’era andato anche Bouchard, che voleva la maglia dei Gpm. La Bahrain-Victorious non ha lasciato spazio.
«Al massimo abbiamo preso due minuti di vantaggio. E poi ci hanno ripreso. Però sulle salite scollinavo davanti con Bouchard e De La Cruz. Un peccato che ci fosse il francese, perché negli ultimi due giorni le fughe sono arrivate. Una di queste è stata quella che è partita dopo che ci hanno ripreso».
Obiettivo Giro
E da queste buone sensazioni Simone Ravanelli può guardare avanti. La Drone Hopper non ha ufficializzato la squadra per la corsa rosa. E lui stesso non sa se sarà della partita. Chiaramente ci spera.
«Ovviamente – conclude Ravanelli – mi piacerebbe esserci. Ho visto il percorso e l’ultima settimana come sempre è molto dura. Il mio obiettivo è centrare le fughe, come ho fatto anche l’anno scorso, ma sperando in un risultato migliore.
«Le tappe adatte per le fughe sono almeno cinque o sei, ma bisogna avere la gamba. Tanta gamba. Bisogna averla per prendere la fuga e per arrivare. Perché il problema è che quelle 5-6 tappe fanno gola anche ad altri 50-60 corridori. E quelle sono le frazioni in cui andare in fuga è difficilissimo. Serve un’ora e mezza prima che parta. Ed è una lotta… E quando ci entri, se ci entri, sei già finito!».