L’approdo di Allan Peiper al Team Jayco AlUla non è una notizia di poco conto. Professionista dal 1983 al 1993 con ben 22 successi in carriera, l’australiano ha poi intrapreso con profitto la carriera di dirigente, passando per molti team fino ad approdare nel 2019 alla Uae, dov’è stato uno degli artefici non solo dei successi di Pogacar, ma della costruzione di tutta l’intelaiatura tecnica intorno allo sloveno. Per molto tempo Peiper è stato lontano dalle corse per curare un tumore alla prostata, con il team c’era da rinnovare il contratto, le cose sono andate per le lunghe e Brent Copeland ha approfittato dell’opportunità portandolo al Team Jayco. A casa.
Non è infatti trascurabile il fatto che il Team Jayco abbia una profonda radice “aussie”, lo sottolineava anche Kaden Groves parlando delle sue radici e di come sia importante per i ragazzi oceanici avere un riferimento nel WorldTour, ma Copeland, impegnato in questi giorni al Giro d’Italia, tende a dare il giusto peso alla cosa.
«Due mesi fa sono nati i primi contatti con Allan – racconta il cinquantunenne manager sudafricano – c’era la possibilità di portarlo nel nostro team, ne ho parlato con il titolare e abbiamo subito trovato un’intesa non tanto economica, quanto sul nostro progetto che Peiper intende fare suo e portare avanti».
Che può dare Peiper alla squadra?
Allan è un australiano che nel tempo è diventato molto europeo, vive da quando era professionista in Belgio, conosce nelle più intime pieghe il ciclismo professionistico che per la sua gran parte si svolge nel Vecchio Continente. E’ entrato nel team nelle vesti di consigliere perché a noi serve qualcuno che veda il funzionamento di tutta la macchina organizzativa dall’esterno, con un occhio esperto. Sono convinto che possa migliorate il team in molte aree di azione e possa coadiuvare l’impegno di Marco Pinotti per far crescere il team ancora di più.
Si sottolineava il fatto che Peiper torna a casa, approdando in un team australiano.
Anche questo ha avuto il suo peso, non lo nego. Il Team Jayco ha un cuore fortemente australiano, ma resta multinazionale: qui ci sono, fra atleti e staff, persone appartenenti a una ventina di Paesi differenti. Certo, Allan è australiano, ma come detto ha ormai radici profondamente europee e questo alla fine conta parecchio. La cosa che mi piace di più del suo ingresso è poter approfittare della sua meticolosità e del suo perfezionismo: sono caratteristiche che possono dare alla squadra quel salto di qualità di cui c’è bisogno.
La sua età dice che è un appartenente alla vecchia guardia. Come si adatta a un ciclismo che è profondamente cambiato nel corso degli anni rispetto a quando correva lui?
E’ questione di mentalità. Anche Allan, come me e come tanti altri che gravitano in questo mondo, ha vissuto questi cambiamenti sulla propria pelle, ha assommato esperienze anno dopo anno e il ciclismo come lo intendiamo oggi, quello spettacolare legato a un numero incredibile di fuoriclasse lo ha visto nascere e crescere. Lui può trasmettere questa esperienza.
Allarghiamo un po’ il discorso, Allan arriva in quale momento del team?
Devo dire la verità, per come sono andate le cose nella prima parte dell’anno non posso essere del tutto soddisfatto. Abbiamo ottenuto finora 6 vittorie, molti piazzamenti ma siamo in fondo al ranking Uci e questo non può far piacere. La causa? Se ripercorro questi ultimi mesi, non posso non notare che abbiamo avuto un carico di sfortuna non irrilevante: Matthews ha preso il Covid prima della Sanremo; Dunbar si è infortunato alla mano alla Volta Valenciana rimanendo fuori dalle gare per due mesi; Hamilton ha perso il padre e così via. Non c’è molto da recriminare, ci sono stagioni dove devi superare molti ostacoli e questa è una di quelle.
Il Giro come sta andando?
E’ un po’ lo specchio della stagione: con Matthews abbiamo ottenuto una vittoria importante, ma il Covid ha messo fuori gioco Scotson e un altro corridore ieri è stato male. Siamo un po’ sul chi vive, la corsa la stiamo affrontando bene e con buone prospettive, cambiando anche le tattiche di gara quando serve. Diciamo che sarebbe importante riscuotere un po’ di quel credito con la fortuna di cui si parlava prima…
Accennavi a Dunbar, del quale si dice un gran bene come interprete delle corse a tappe. Secondo te può essere un leader per i grandi giri?
Lo abbiamo preso dalla Ineos Grenadiers proprio con questa idea, per me ha un grande potenziale ma ha bisogno di fare esperienza, soprattutto in un grande giro da affrontare con la responsabilità di fare classifica. Si sta comportando bene, ma siamo ancora a metà del cammino e tutte le difficoltà maggiori devono ancora arrivare. E’ un ragazzo d’oro con tantissime prospettive, ma non dobbiamo mettergli pressione perché non ha mai corso con una responsabilità così grande addosso. Vedremo come si muoverà nelle tappe che verranno e come ci muoveremo noi di conseguenza.