Gli assenti hanno sempre torto, ma chissà perché finiscono sempre nei discorsi. Primoz Roglic vince la quarta Vuelta Espana senza avere davanti chissà quali avversari. Il suo percorso fino al trono di Madrid è lo stesso delle prime tre volte: cadute o batoste al Tour e poi la redenzione in Spagna. Roglic ha avuto per anni il livello di Pogacar, almeno finché questi ha salito il gradino che Primoz non potrà mai raggiungere. Per questo, era abbastanza scritto che, se fosse tornato al suo meglio, avrebbe conquistato la maglia rossa.
Alle sue spalle si piazzano Ben O’Connor, il cui miglior risultato finora era stato il quarto posto nel Tour del 2021. E poi Enric Mas, che per tre anni è arrivato secondo alla Vuelta e ormai ci si dovrà chiedere se chi la dura la vince o questa sia la sua dimensione definitiva.
Cadute e redenzioni, la prima
La prima nel 2019. Aveva chiuso terzo il Giro d’Italia vinto da Carapaz su Nibali, cui era arrivato vincendo la Tirreno-Adriatico e il Romandia. Era partito conquistando la maglia rosa nella crono di Bologna, poi si perse nei battibecco con Nibali e chiuse terzo. Arrivò in Spagna correndo nel mezzo soltanto il campionato nazionale, conquistò la maglia rossa nella crono di Pau alla decima tappa e la portò sino in fondo, lasciandosi dietro Valverde e un giovane connazionale di cui si diceva un gran bene: Tadej Pogacar.
La seconda nel 2020
La seconda nel 2020, dopo che quello stesso ragazzino impertinente gli rovinò il sogno del Tour. Roglic tenne la maglia gialla per undici tappe e la perse nella famigerata cronoscalata a La Planche des Belles Filles. Quel giorno gli astri si disallinearono e lo scaraventarono nella polvere. Riprendersi fu dura, ma Primoz trovò la forza in qualche angolo sperduto della mente. Andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno, la lasciò andare per quattro tappe e si prese la seconda maglia rossa, precedendo Carapaz e Carthy.
La terza nel 2021
La terza l’anno dopo, quando si ritirò dal Tour dopo la caduta nella tappa di Tignes. Ugualmente si rimboccò le maniche, andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno. Trascorse la maggior parte della Vuelta in terza posizione, lasciando l’incombenza del controllo alla Intermarché. Infine se la riprese vincendo la tappa ai Lagos de Covadonga, a quattro tappe dalla fine e vincendo anche la crono finale di Santiago de Compostela.
La quarta giusto oggi
Il meccanismo perfetto si inceppò l’anno dopo. Si ritirò dal Tour per caduta dopo aver aiutato Vingegaard a battere Pogacar e cadde anche alla Vuelta. Si arrotò in una improbabile volata nella tappa di Tomares, quando era chiaro che avesse le gambe per rimontare Evenepoel, che così conquistò il suo primo Grande Giro. Lo scorso anno, infine, vinse il Giro d’Italia e quando arrivò in Spagna trovò sulla sua strada i suoi compagni di squadra. Dovette arrendersi alla scelta di far vincere Kuss, lasciando il secondo posto a Vingegaard.
Un affare fra sloveni
Quest’anno doveva essere quello dell’assalto deciso e decisivo al Tour. Il passaggio alla Bora-Hansgrohe, diventata nel frattempo Red Bull-Bora-Hansgrohe. La preparazione certosina e lo scampato pericolo al Giro dei Paesi Baschi. E quando al Tour sembrava che, pur essendo indietro, avrebbe potuto giocarsi al meno il podio, la caduta verso Villeneuve sul Lot, provocata da Lutsenko e da una posizione troppo arretrata nel gruppo, lo ha rilanciato ugualmente verso la Vuelta. A tre anni dall’ultima vittoria e con 35 candeline da spegnere a ottobre. Nella stessa stagione, per giunta, in cui Pogacar ha vinto Giro e Tour: la Slovenia continua a comandare.
«E’ bello – dice Roglic – avere il record per il maggior numero di vittorie alla Vuelta. Oggi volevo finirla. E’ stata dura, ma è andato tutto bene e sono felice. Ho visto la prestazione di Kung. Sappiamo tutti che è forte in questo tipo di cronometro pianeggiante. Tuttavia, ho cercato di motivarmi per provarci, altrimenti sarebbe stata ancora più dura. Ho spinto e non ce l’ho fatta, per cui voglio congratularmi con lui, perché ha fatto un ottimo lavoro. Kung è stato incredibilmente forte oggi. Non ho parole, è incredibile che la Slovenia abbia vinto tutti e tre i Grandi Giri nel 2024. Ci sono da fare molti sacrifici, non solo io. La mia famiglia, le persone che ho intorno, ci sacrifichiamo tutti. E io sono felice di avercela fatta, per dare un senso alle tante rinunce. Apprezzo molto il supporto che ho ricevuto. Mi hanno già chiesto se vincerò la quinta, ma diciamo che per adesso quattro possono bastare».
La prima di Kung
Stefan Kung ha trent’anni ed è professionista dal 2015. Eppure, nonostante abbia vinto europei e titoli nazionali, non aveva mai vinto crono nei Grandi Giri. Oggi quel gap è stato chiuso ed è per questo che il sorriso dello svizzero era secondo forse soltanto a quello di Roglic.
«E’ incredibile – dice Kung – ho lottato per vincere una tappa di un Grande Giro per molto tempo. Volevo davvero la vittoria oggi e sapevo che con questo percorso dovevi dare il massimo e tenere duro fino alla fine. E’ quello che ho fatto, ho sofferto molto, ma penso sia stato così per tutti. C’è voluto molto tempo, ma è sempre bello se vinci con più di mezzo minuto. Dimostra che sei stato assolutamente il migliore, non è stata una coincidenza. E’ davvero bello e ripaga tutto il lavoro che abbiamo fatto come squadra, anche per sviluppare la nuova bici con Wilier.
«Cerco sempre di essere professionista al 100 per cento. Cerco sempre di tirare fuori il massimo da me stesso. E quando si vince, è una bella sensazione. Ci sono molte grandi cronometro ancora e aver vinto oggi mi darà la sicurezza per restare sull’onda. Penso che la Vuelta sia stata per me la migliore preparazione possibile per gli europei e per i mondiali di Zurigo, che saranno molto duri».