Affini sa stare al suo posto e fare quel che gli chiedono. Forse per questo alla Jumbo Visma sono contenti di lui e lo mettono spesso nella squadra che deve supportare Van Aert, quando il capo vuole fare la corsa.
Affini ha 25 anni, il nome scritto sul casco e, se potesse, sfuggirebbe alle regole social di questo tempo. Però ne capisce l’importanza (per la squadra e gli sponsor) e cerca di essere disponibile con intelligenza. Anche per questo quando lo chiami per fare due parole, difficilmente se ne esce con frasi banali. Edoardo ha la testa sulle spalle e magari passerà il grosso del tempo a tirare per un capitano, ma nella sua testa è a sua volta un leader. Non si vincono due campionati europei (in linea da junior nel 2014, a crono da U23 nel 2018) e non si lotta contro un gigante come Ganna se non si ha la mentalità vincente.
Il pane quotidiano
Nella Omloop Het Nieuwsblad vinta sabato da Van Aert, anche Edoardo ha avuto la sua parte. Quando li abbiamo visti alla partenza, tutti alti e potenti, abbiamo capito che la squadra olandese volesse tenere la corsa chiusa. E mentre Wout in prima fila posava per le foto di rito, i suoi gregari dietro se ne stavano raggruppati ad aspettare il via.
«E’ stato bello – ricorda Affini – vedere un po’ di persone finalmente. Poi si può parlare se sia giusto avere la mascherina oppure no, ogni Paese ha le sue leggi e ogni organizzazione fa quello che vuole in base alle regole. Lassù si respira la passione che hanno per la bicicletta, è il loro pane quotidiano. Fa sempre piacere vedere quell’atmosfera».
Per i compagni di squadra di Van Aert certe corse sono anche una bella responsabilità?
Sicuramente con un capitano così abbiamo dei ruoli ben definiti. C’è una certa responsabilità, è vero. Pressione però fino a un certo punto, nel senso che quando si parte si vuole sempre fare bene il proprio lavoro. Quindi penso che un po’ di pressione sia giusta, ma certo non deve essere schiacciante, altrimenti ti porta a sbagliare e a non essere performante.
Come fai a passare dalla solitudine della crono al mucchio selvaggio di certe stradine?
Più che mentalità della crono e quella sui sassi, il discorso è piuttosto quello dello stare in gruppo a 2 millimetri uno dall’altro. Tutti che limano al massimo e si battaglia per ogni centimetro. Forse la parola in questi giorni non andrebbe usata, ma parlando di quelle corse si è sempre detto che siano una sorta di guerra. Lassù è tutto al limite.
A te tocca spesso lavorare da lontano…
L’obiettivo quando c’è Wout è lavorare per lui. L’altro giorno a me è toccato cercare di tenere tutto sotto controllo dall’inizio. C’è stato parecchio vento da mangiare, sostanzialmente, ma con un capitano come Wout si lavora sempre volentieri.
Perché vince sempre lui?
Perché alla fine è riuscito a finalizzare il lavoro di squadra perfetto. Anche tutti gli altri componenti della squadra hanno lavorato alla perfezione e abbiamo creato la situazione perfetta perché Wout attaccasse sul Bosberg. E’ andato sino alla fine come un treno, meglio di così non poteva partire.
Difficile trovare uno che scende dall’altura e vince alla prima corsa.
Lui e Roglic sono molto metodici su questo, sempre pronti anche dopo un ritiro in altura. Eravamo confidenti che si potesse far bene, ma nelle corse in Belgio può succedere di tutto, dall’incidente meccanico alla caduta. Invece sabato è filato tutto liscio. Bene così.
Come si festeggia in un team olandese?
Abbiamo festeggiato come nelle altre squadre (ride, ndr). Abbiamo preso un bicchiere di vino, ma il giorno dopo c’era da correre ancora a Kuurne, quindi non si è potuto esagerare. E in ogni caso non lo avremmo fatto ugualmente.
La Tirreno comincia con una cronometro.
Quando si è saputo che la prima tappa sarebbe stata una crono, l’ho cerchiata di rosso. Vediamo come saranno le gambe dopo il Covid. L’ho preso anche io a Valencia, lo hanno preso tutti. E’ già una settimana che sono ripartito. Ho perso un po’ di tempo, ma cercherò di farmi trovare pronto come sempre. In ogni crono do sempre il meglio che posso, in base al momento.