La sua nomina ha destato molta sorpresa: nella prima riunione del nuovo consiglio federale, Roberto Amadio è stato nominato Presidente della Struttura Tecnica Nazionale Strada e Pista, acquisendo la carica da Ruggero Cazzaniga oggi vicepresidente della nuova Fci. Una scelta sorprendente soprattutto per la storia di Amadio, lungamente legato anche per trascorsi agonistici alla pista ma più facilmente identificato come uomo della strada, con un lungo e glorioso passato come direttore sportivo e team manager.
Una nomina che a molti è sembrata gettare un ponte fra la struttura federale e il mondo professionistico, spesso entità lontane e magari addirittura in contrasto, dando così seguito a quelle idee che il presidente Cordiano Dagnoni aveva specificato nella sua campagna elettorale.
«Quando ho iniziato ad avvicinarmi al mio nuovo ruolo – dice Amadio – mi sono accorto di quanto sia un compito arduo e soprattutto ampio. Riguarda regolamenti tecnici, stipula del calendario di attività, attribuzione dei campionati Italiani, gestione delle nazionali e tanto altro ancora. Il lavoro è molto, io porterò dentro e ci metterò tutta la mia esperienza acquisita in una vita, da corridore e dirigente, inserendomi in una strada già tracciata da Cazzaniga e dal segretario Giorgio Elli, che hanno già fatto molto e bene».
Può essere il primo passo verso un nuovo rapporto tra Fci e mondo professionistico?
Ci dovrà essere un forte e continuo dialogo con la Lega e le squadre, ma anche con gli organizzatori. E avendo vissuto in questo mondo per tanti anni, ci metterò tutto me stesso per favorirlo. Non sono due mondi contrapposti, anche se hanno compiti diversi, bisogna trovare le giuste sinergie.
Che cosa puoi fare dalla tua posizione per favorire la crescita di un vero e proprio team italiano di WorldTour?
Io credo che nella situazione attuale pensare a una squadra italiana al massimo livello sia prematuro, ma chiaramente bisogna lavorare tutti, nel proprio ambito, perché quest’idea un giorno si realizzi. La Fci può dare una mano e nella mia posizione farò di tutto per farlo, ma bisogna innanzitutto pensare a potenziare la Federazione in base agli impegni che le si pongono davanti: nel nostro caso specifico i grandi eventi internazionali a cominciare dalle Olimpiadi.
Il progetto Club Italia
Chiacchierando con Cassani e non solo, si era parlato dell’idea di importare nel ciclismo l’idea del Club Italia, una sorta di squadra nazionale permanente che agirebbe come team continental e coinvolgerebbe i migliori talenti giovani delle varie discipline ciclistiche (strada, Mtb, pista, ciclocross) per far acquisire loro esperienza su strada.
Pensi che sarebbe possibile?
Sarebbe un progetto importante, nel quale possiamo muoverci come Federazione. La strada della multidisciplina è il ciclismo del terzo millennio, questo è indubbio. Un’idea simile c’era già negli anni Ottanta e diede buoni frutti, soprattutto per la pista. Sicuramente permetterebbe ai vari tecnici nazionali di lavorare su un club gestendo al meglio la preparazione e la programmazione degli appuntamenti. Ci si può ragionare…
E’ attraverso idee simili che può ripartire la crescita del movimento italiano di vertice o ci sono anche altri passaggi da pensare?
Per tutte le specialità serve programmazione, soprattutto oggi dove scienza e tecnologia sono arrivate a livelli da Formula 1 nel supporto dell’attività. L’Italia nel complesso sta lavorando bene, basta guardare gli enormi progressi della pista. Per la strada resto convinto che bisogna partire dalla base, lavorare con cura sulle categorie giovanili, juniores e under 23, per stimolare la crescita dei giovani talenti e invogliare sempre più gli sponsor a investire sul ciclismo. A tal proposito sono sempre scettico al pensiero che arrivi qualcuno che investa una valanga di soldi per creare un team di WorldTour, per questo dico che bisogna andare per gradi.
Che cosa ti rimane delle tue esperienze in ammiraglia?
Tanti bei ricordi, legati soprattutto ai campioni con cui ho lavorato. Da Basso a Nibali a Sagan, ho avuto la fortuna di lavorare con loro imparando anche da loro. Questo mi ha dato una conoscenza dell’ambiente a 360°, senza dimenticare che le mie radici sono legate alla pista per la quale ho un amore inestinguibile. Spero di poter dare indietro parte di quello che ho ricevuto, attraverso questo nuovo incarico.
Che cosa ti auguri per questo quadriennio così breve?
La Federazione imposta il suo lavoro sulle Olimpiadi, noi siamo entrati in corso d’opera e Tokyo sarà frutto per lo più dell’impegno di chi c’era prima. Io guardo già a Parigi 2024 e mi piacerebbe che per allora potessimo dare importanti segnali in quelle discipline nelle quali per ora siamo ai margini, come ad esempio la velocità su pista. Tre anni sono pochi, lo so, per ottenere risultati di vertice, ma possiamo gettare una base solida, portando maturità ed esperienza nelle categorie giovanili, perché è da lì che nascono i campioni.