Prima da componente della coppia più famosa e vincente dei velodromi, poi da responsabile tecnico della pista, la carriera di Marco Villa è sempre stata fortemente legata alle vicende della madison, conosciuta anche come “l’americana”, una specialità tanto spettacolare quanto difficile da interpretare, piena di segreti e di finissimi equilibri. Una gara che non si vince mai per caso, ogni vittoria è il frutto di tattica, tecnica ma anche, anzi soprattutto di un forte legame fra i due corridori, che si cementa in pista e anche fuori.
Nel corso degli anni Villa ha vissuto sulla sua pelle la trasformazione della specialità, passata dal palcoscenico delle Sei Giorni fino a diventare specialità olimpica: «La madison è molto cambiata: oggi si corre sui 50 chilometri per le gare titolate e 30 per le tappe di Coppa del mondo, su una media di 58 all’ora, con gli stessi rapporti che sono cambiati. Ormai si utilizzano quelli da inseguimento, viste le velocità. Per emergere nell’americana servono grandi punte di velocità, ma anche una straordinaria resistenza, perché devi stare tanto tempo in pista a velocità altissime, senza mai perdere la concentrazione e valutando la gara anche tatticamente. Poi bisogna considerare la parte tecnica».
In che cosa consiste?
Bisogna sapersi sempre posizionare al punto giusto per dare il cambio al compagno e soprattutto bisogna saper gestire i momenti di recupero. Spesso dico ai miei ragazzi che la gara si corre e vince proprio nella fase in cui c’è fuori il proprio compagno. Bisogna saper recuperare bene nel minimo tempo possibile, in modo da dare il cambio rapidamente. Basta anche un giro in più per l’altro, che si perdono energie, non si recupera più e la gara è finita. Nell’americana bisogna essere altruisti, pensare alle energie proprie ma anche a quelle del compagno.
Le coppie migliori sono quelle composte da ciclisti con uguali caratteristiche o eterogenei?
Diciamo che devono essere diversi come caratteristiche, ma saper fare tutto e quindi sostituirsi. Martinello ad esempio era più veloce di me e di regola toccavano a lui gli ultimi sprint, ma questo non significa che non fossi anch’io deputato a chiudere alcune volate, a cercare punti allo sprint. Oppure che toccasse a lui andare al contrattacco. Serve intercambiabilità completa, bisogna sapersi dividere il lavoro.
Quanto conta nella coppia l’affiatamento anche fuori dalla pista?
E’ fondamentale, si deve instaurare un rapporto di totale fiducia, rispetto reciproco. Ci deve essere un’intesa totale che si costruisce nel tempo.
E’ quindi importante poter correre tutto l’anno nella stessa squadra, come accade a Viviani e Consonni…
E’ un indubbio vantaggio, si possono fare gli stessi periodi di carico e scarico e questo agevola anche me nella loro gestione, poterli avere insieme per allenare il gesto tecnico, sincronizzare i cambi. Bisogna però tener presente un aspetto importante. La madison puoi allenarla quanto vuoi, ma quel che conta è correrla, rodare i meccanismi in gara. Servono competizioni e certamente la situazione che stiamo vivendo non ci aiuta. Le Sei Giorni avrebbero svolto un ruolo fondamentale nella parte invernale, per questo dobbiamo cercare opportunità per gareggiare: ci sarà una prova di Coppa del mondo ad aprile e soprattutto gli europei a giugno. I ragazzi arriveranno dal Giro, non potranno essere al 100 per cento, ma in quell’occasione non sarà importante il risultato finale, quanto l’affinamento del gesto tecnico a 5 settimane dai Giochi.
Molti appassionati hanno reclamato a gran voce l’affiancamento di Ganna a Viviani…
E’ un discorso complesso, che comprende sia quanto detto finora, sia altri aspetti: se Filippo avesse fatto prove di americana da esordiente e allievo, avrebbe già incamerato esperienze importanti. E’ chiaro che ha una gamba speciale, ma lo sforzo fisico della madison è diverso da quello dell’inseguimento o delle gare su strada, qui c’è un ritmo altissimo pressoché continuo per 50 chilometri. In allenamento abbiamo anche provato qualche cambio, qualche tecnica, ma un conto è farlo da soli, un altro con 18 coppie in gara contemporaneamente. Senza esperienza rischi una caduta, magari ti fai male e pregiudichi tutto quello per cui hai lavorato. Fare una prova così differente dal solito è improponibile.
Nella madison spesso emergono coppie composte da corridori che individualmente non hanno grandi palmares: è un caso?
E’ sempre una questione di esperienza: chi è abituato a questo tipo di gare riesce a riadattarsi presto e a tirare fuori quel qualcosa in più. Guardate ad esempio Kluge che su strada tira le volate a Ewan, oppure Morkov che tutti ritengono il miglior “ultimo vagone del treno” per una volata. Hanno tecnica e caratteristiche ideali per questa gara. Tornando a Ganna, mi viene in mente Bradley Wiggins (nella foto di apertura con Cavendish, nella vittoria dei mondiali 2016 a Londra, ndr) che nell’americana ha vinto il titolo mondiale, ma nelle gambe aveva l’esperienza accumulata da allievo ed è quella che fa la differenza.