Qualche giorno fa vi avevamo parlato del Trofeo Emozione e del suo particolare premio: lo stage con la Bahrain-Victorious. Quest’anno a vincerlo è stato Alessandro Da Ros e il prossimo gennaio volerà lui con la squadra di Mohoric, Colbrelli, Caruso e company.
Ma il suo predecessore, Raffaele Mosca, ci racconta come è andata. Come ha vissuto quella settimana da sogno in Spagna con i professionisti del WorldTour. Da Ros può prendere appunti!
Raffaele, quest’anno sei andato in ritiro con la Bahrain: prima di iniziare questo “viaggio” con te, raccontaci brevemente chi sei. Ti abbiamo intravisto all’ultimo Valle d’Aosta…
Sono un corridore umbro, di Todi, in provincia di Perugia. Direi che sono uno scalatore. Quest’anno corro al Team Qhubeka con il direttore sportivo e manager Daniele Nieri. E proprio perché sono uno scalatore Nieri mi aveva schierato al Valle d’Aosta, ma avendo avuto la scuola fino a pochi giorni prima non ero ben preparato. Mi sono fermato dopo tre tappe.
Quest’anno, dicevamo, hai fatto questo ritiro con la Bahrain-Victorious. Raccontaci come è andata sin dal tuo arrivo in Spagna…
Il ritiro si è tenuto ad Altea. Una ragazza dello staff mi aveva contattato già nei giorni precedenti per il biglietto aereo. Una volta arrivato in aeroporto mi sono venuti a prendere. Ho notato subito grande cordialità e gentilezza. Ricordo che mi chiesero se avessi mangiato.
Con chi hai passato più tempo dei corridori?
Con i più giovani: Fran Miholjevic e Marco Andreaus, che sono al Cycling Team Friuli .
Com’era una giornata tipo?
Facevo tutto quello che facevano i pro’. Quindi sveglia e stretching tutti insieme in una grande sala. Poi andavamo a colazione, quindi risalivamo in camera per prepararci all’uscita. Prima di andare in bici si faceva un meeting in cui ci spiegavano l’allenamento e quindi si stava fuori, tre, quattro e anche sei e passa ore. Poi si rientrava: pranzo, riposo, massaggio, cena e poi a dormire.
Hai notato qualcosa di particolare nella loro alimentazione? Ti hanno dato dei consigli?
No, era tutto molto tranquillo e libero, almeno per quel che mi riguarda. Noi avevamo una sala riservata per i pasti in questo grande hotel e ai tavoli eravamo divisi in gruppetti.
Hai detto anche sei ore: avevi mai fatto così tanto?
No, un giorno abbiamo fatto più di 180 chilometri. Però devo dire che non mi sono trovato malissimo. E così ho potuto anche iniziare la stagione con un po’ di chilometri nel sacco.
E tu come ti sei presentato a questo training camp?
Qualcosina avevo fatto. Chilometri più che altro, qualche distanza… ma certo non 180 chilometri. Anche perché andando a scuola ed essendo inverno non uscivo tutti i giorni.
Con i rapporti come ti sei trovato?
Nessun problema, già non avevo più il 52×14 degli juniores, ma il 53×11 degli under 23. Avevo già la bici della Qhubeka.
E invece con i rapporti umani?
Ah, se c’è una cosa semplice in Bahrain è proprio quella. Sin da subito ho parlato con tutti. Uno s’immagina un ambiente freddo e grande, e invece tutti, corridori, staff, massaggiatori, sono stati super tranquilli e disponibili. Per qualsiasi necessità bastava chiedere. Ho parlato molto con il team manager Vladimir Miholjevic (ufficialmente è il performance director, ndr), con Artuso che era colui che mi aveva consegnato il premio a Piancavallo, e anche con Pellizotti.
E con i corridori?
Ero nel gruppetto con Colbrelli, Caruso, Mader e altri. Con Sonny ho parlato un po’ di più. Lui era il mio idolo. Ho anche il suo libro.
E cosa gli hai chiesto?
Più che altro gli ho detto che ero un po’ preoccupato del passaggio di categoria. Io non sempre ingrano subito. Sin dagli allievi ho accusato il primo anno, anche perché ho una muscolatura esile. Insomma mi serve un po’ di tempo per adattarmi e lui mi diceva la sua.
Gli altri corridori sapevano chi eri e perché eri lì?
Sì e questa cosa mi fa anche sorridere.
Perché?
Uno dei primi giorni ci hanno portato in una grande sala e lì ognuno si è presentato. Così quando è toccato a me, mi sono alzato, ho detto il mio nome e che ero lì perché avevo vinto il Trofeo Emozione. A quel punto è scattato l’applauso. E’ stata la cosa più bella. Gente che aveva vinto la Roubaix, tappe al Giro… che applaudiva me. L’ho subito raccontata ai miei genitori. Sono stato veramente bene con la Bahrain. Sarei rimasto lì a lungo! Quando c’è stata la Tirreno, e la corsa faceva tappa ad una ventina di chilometri da casa mia, sono andato a salutarli.
C’è qualcosa che hai imparato uscendo con i professionisti?
Mi ha colpito l’alimentazione in allenamento. Tutto è stabilito in precedenza, ci sono delle indicazioni prima di ogni allenamento. Se poi uno mangia un po’ di più o in altri momenti, nessuno ti strilla. Però per quel che mi riguarda ho imparato a mangiare più spesso e a gestire meglio l’assunzione dei gel.
Torniamo invece all’attualità: adesso come procede la tua stagione?
Come detto, sto cercando di prendere le misure con la categoria. Nieri e la squadra, che ringrazio entrambi, stanno facendo un programma specifico per me, per farmi crescere. Non mi stanno mettendo pressione e mi stanno dando i tempi e lo spazio necessari. A volte anche per familiarizzare con il ritmo, Nieri mi ha portato in corse più facili nonostante io sia uno scalatore. Però sono determinato e mentalizzato. Mi alleno al massimo anche per rispetto dei compagni e della squadra.