Quelli nati dopo il 1990 probabilmente non sanno che Ivan Quaranta è stato per qualche anno uno dei pochissimi velocisti al mondo in grado di mettere alle strette Cipollini. Lo chiamavano “il Ghepardo”, mentre per loro il cremasco è da qualche stagione uno dei direttori sportivi del Team Colpack. In cui dal 2021 correrà anche suo figlio Samuel. Chi scrive invece è nato ben prima e in un giorno imprecisato del 1992 si trovò a suonare al campanello della famiglia Quaranta a Vaiano Cremasco, per conoscere il campione del mondo juniores della velocità su pista.
Ventotto anni sono tanti e non sono stati sempre di rose e fiori. Nel mezzo ci sono stati quelli del dilettantismo nella stessa squadra che ora guida dall’ammiraglia. Poi quelli del professionismo, con 39 vittorie fra cui 6 tappe al Giro, che probabilmente sarebbero potute essere molte di più. I racconti dei festeggiamenti in discoteca con Stefano Giuliani. E una carriera spesso sul filo per un ragazzo che del velocista incarnò ottimamente anche l’estro e la follia. E poi, sempre pensando a lui, c’è un quesito che cerca risposte nel silenzio dei velodromi italiani. Perché mai non ci sono più ragazzi che si dedicano alla velocità, quantomeno nelle categorie giovanili?
Ivan oggi ha 45 anni e una passione per il ciclismo che nessuno può mettere in discussione.
Hai smesso a 34 anni. E poi?
Avevo un po’ la nausea dell’ambiente. Del ciclismo no, perché continuavo a sentire gli amici e a seguire le gare. Finché a un certo punto Stefano Pedrinazzi della Uc Cremasca mi chiese perché mai uno come me fosse ancora fuori. E così mi propose di seguirgli gli allievi. Ma lo sapete com’è il ciclismo. Inizi piano e poi ti coinvolge sempre di più. Così a un certo punto il Comitato Regionale mi ha chiesto di seguire i ragazzini in pista. E una cosa tira l’altra, ho rivisto Antonio Bevilacqua e cinque anni fa sono entrato in Colpack. Ma esordienti e allievi in pista non li mollo, mi piace lavorarci. Così due pomeriggi a settimana sono con loro a Dalmine.
Come mai?
Perché se hai passione, capisci che fino agli U23 sono le categorie migliori, capisci che puoi dargli supporto, essere davvero utile. Fare il tecnico di Nibali e Sagan richiede tanto lavoro di organizzazione, ma cosa gli insegni? Invece così ho trovato la mia dimensione.
Tu non eri troppo inquadrato da junior, se la memoria dice il giusto…
Dice giustissimo. E’ cambiato il mondo. Noi vivevamo alla giornata, non c’era l’esasperazione di adesso. A parere mio c’è stato uno slittamento delle categorie: l’allievo di oggi è il dilettante di allora. E io, da allievo, il sabato pomeriggio giocavo a pallone e la domenica correvo. Oggi chi lo farebbe più? I dilettanti di oggi invece sono i professionisti di 30 anni fa. Fanno meno ore, ma hanno il nutrizionista, il preparatore, il mental coach, il fisioterapista, vanno in galleria del vento. E soprattutto hanno addosso tanta pressione.
E quella pesa…
Guardiamo i giovani più forti, anche Bagioli e Consonni che sono passati per la Colpack. Siamo contenti di vederli bene di là, ma io credo che nessuno farà più 15 anni di professionismo. Bagioli da dilettante era già corridore. E non parlo di un fatto mentale, quanto piuttosto fisico. Il ciclismo è uno sport pulito, non come anni fa quando vedevi davvero gli asini volanti. Ma a pane e acqua è durissimo recuperare. Per cui fanno due mesi e poi mollano. Due mesi e poi mollano. Ma se fai così da quando sei junior, quelli di fatto sono anni di professionismo prima di esserlo davvero. Anni di carriera in meno. Come per la scuola…
Cosa?
Pensano che se non vanno a scuola, arrivano prima al professionismo. Così invece di andare al liceo, fanno corsi professionali e dopo due anni smettono. E i risultati vengono falsati, perché questi magari vincono, ma solo perché gli altri che ancora vanno a scuola possono allenarsi dalle 14. E magari l’anno successivo c’è chi non trova squadra perché ha scelto di andare a scuola.
Perché più nessuno fa velocità in pista?
Perché non dà futuro, dato che si investe solo sulle discipline di endurance. Quelli del quartetto, ad esempio. Corrono da dilettanti e sono nei corpi militari. Se riescono, passano professionisti, altrimenti hanno il posto assicurato. La velocità devi iniziare a farla da esordiente e da allievo ed è difficile portarli via dalla strada.
Perché Quaranta accettò?
Perché i nostri mondiali si correvano a fine stagione. Così facevo l’inverno con i compagni stradisti e anche la stagione, vincendo corse. Poi un paio di mesi prima, iniziavo i lavori specifici. Solo che oggi i velocisti puri non li vogliono più, serve gente che tiene in salita e corridori come Mareczko o Guardini hanno vita dura. Per ricreare un Roberto Chiappa (velocista azzurro che ha partecipato a 4 Olimpiadi e vinto un mondiale, ndr) serve prenderli da giovani, proprio mentre sognano di essere Viviani o Nizzolo. Anche Viviani e Ganna hanno la loro temporizzazione e in pista ci vanno per i grandi eventi, mentre le qualificazioni se le fanno gli altri.
Quindi?
Quindi servirebbe un tecnico che faccia scouting nelle scuole di ciclismo e possa parlare con le famiglie proponendo cose concrete. Avendo le spalle coperte.
Come sarà dirigere tuo figlio?
Samuel è un po’ meno veloce di me, ma tiene meglio in salita. Ha iniziato perché mi vedeva uscire, ma fino ai 12 anni il sabato anche lui giocava a calcio e poi ha scelto. Ha fatto tutto da solo. Detto questo, dovremo essere bravi. I ragazzi hanno confidenza con me, ma ho l’obbligo di essere anche severo. Il bastone e la carota. Avevo paura che si creassero antipatie, che non lo coinvolgessero perché figlio del direttore, ma in apparenza va tutto bene.
Coinvolgessero in cosa?
Magari nella scappatella a mangiare un gelato, per paura che me lo dica.
Il rimedio c’è: il primo gelato lo paga lui e poi non ti dice niente…
Potrebbe essere un’idea, magari anche una birretta…