La famiglia è quella che ci guida alla scoperta del mondo, ci fa conoscere tutto quello che per noi è ignoto. All’interno delle mura domestiche i nostri genitori, o fratelli maggiori, ci trasmettono le loro passioni e i loro valori. Quando il tuo cognome è Minali è chiaro che all’interno della tua famiglia si parli esclusivamente di ciclismo. Per Michael Minali è stato esattamente così (in apertura festeggia la vittoria al GP Ciclistico Sannazzaro de Burgondi, foto Facebook Campana Imballaggi). Figlio di Nicola, professionista tra gli anni ‘90 ed i primi 2000, vincitore di tappe alla Vuelta, al Tour de France ed al Giro d’Italia. Michael ha anche un fratello maggiore: Riccardo, classe 1995 e ritirato a fine 2021, che conta cinque anni nel ciclismo dei grandi.
«La passione, come è logico che sia – dice con un sorriso Michael – è nata vedendo mio papà e mio fratello. Mi hanno fatto provare ad andare in bici e me ne sono subito innamorato, così a 7 anni ho iniziato a fare le prime gare. Quello che mi ha subito affascinato del ciclismo è stato il contatto con l’aria aperta e avere degli amici con i quali condividere questa passione. Poi sono passati gli anni e questo sport ha iniziato a temprarmi ed insegnarmi molto, nel corso degli anni penso di essere diventato più uomo».
Michael, intanto arrivi da un buon periodo, con tre vittorie all’attivo…
E’ un periodo nel quale la gamba sta girando bene, ho dovuto sistemare qualcosa in preparazione ma ora ne vedo i frutti. Mi spiace solo che a inizio anno non è andata come mi aspettassi, ho avuto un periodo negativo dove non trovavo riscontro del lavoro fatto in allenamento. Quando ho visto che i risultati iniziavano ad arrivare ho seguito l’onda emotiva ed ora mi sento meglio.
Come hanno reagito in casa quando hai detto di voler fare ciclismo?
Mio papà era la persona più contenta del mondo, mi ha sempre chiesto se fossi sicuro di andare avanti, ogni anno me lo chiedeva. La mia risposta non è mai cambiata: voglio provare a diventare uno dei grandi.
Hai mai visto tuo padre correre?
Direttamente no, ero troppo piccolo (Michael è nato nel 1999, il padre Nicola ha smesso di correre nel 2002, ndr). Ho tanti ricordi degli episodi che mi raccontava, poi negli anni mi sono incuriosito ed ho iniziato a cercare dei video su internet. Uno di quello che mi ha maggiormente colpito è quello della caduta alla Tirreno: si vede la bici che sbanda da una parte all’altra della carreggiata, mi sono spaventato.
E con tuo fratello Riccardo che rapporto hai?
Con lui vado molto d’accordo, ci vediamo spesso anche al di fuori della bicicletta. Quando ero piccolo non mi interessava molto quello che faceva, pensavo a divertirmi, sia in bici che fuori. Diventando grande, più o meno da junior, il livello diventa quasi professionale ed in quel momento sia mio padre che mio fratello mi hanno dato tanti consigli. Nella nostra famiglia si è sempre parlato di ciclismo, anche nei momenti di vita quotidiana.
Sei al primo anno da elite, che percorso è stato il tuo?
Ho sempre fatto fatica al passaggio di categoria, soprattutto da under 23, il primo anno l’ho proprio sofferto. Ero arrivato in una squadra come la Colpack ed avevo poco spazio per mettermi in luce. A metà del secondo anno, proprio per ritagliarmi più occasioni sono andato alla Work Service con Contessa e quei mesi sono stati decisamente più positivi.
Poi però sei ritornato alla Colpack.
Volevo provare a tornare in una squadra “grande” tra continental, parlai con Bevilacqua e decisi di riprovarci. La sfortuna che nel mio tentativo di riprovarci si mise di mezzo la pandemia.
Hai cambiato molte squadre, pensi che questa cosa non ti abbia permesso di trovare la giusta continuità?
Alla Iseo Rime Carnovali mi sono trovato bene, soprattutto con lo staff che mi ha accolto a braccia aperte. Sono rimasto da loro solamente per una stagione perché hanno scelto di fare una squadra solamente di giovani e io quest’anno entravo nella categoria elite. Con la Campana Imballaggi, mi sono trovato subito bene, Alessandro Coden mi ha accolto come un figlio. Anche il gruppo squadra è molto unito.
Ti appresti al tuo secondo anno da elite, pensi di avere ancora qualche chance di passare pro’?
E’ difficile passare da elite perché negli ultimi anni si prendono ragazzi sempre più giovani, alcuni direttamente dalla categoria juniores. E’ un problema per il sistema e di conseguenza lo diventa anche per me, perché ovviamente i posti per noi elite sono sempre meno. Fino a quando ho la forza e la motivazione proverò a ritagliarmi un posto nel professionismo.