I belgi continuano a sfornare talenti in quantità industriale. Dopo le lodi cantate a proposito di Cian Uijtdebroeks approdato in pompa magna fra i pro’ bruciando le tappe come aveva fatto l’illustre connazionale Evenepoel (in apertura, neanche poi tanto più grande…), dalle categorie inferiori stanno arrivando nuovi campioni, come quel Van Eetveld che dopo aver vinto la Corsa della Pace è in lotta quantomeno per il podio al Giro U23 oppure quel Segaert che è al primo anno di categoria eppure già è stato 7° nella seconda tappa a Pinzolo, quella del primo squillo targato Hayter.
Una produzione di giovani tanto forti quanto numerosi lascia pensare anche per un Paese come il Belgio, dove il ciclismo è da sempre una religione. Anche perché, se andiamo indietro nel tempo, si scopre che anche loro hanno vissuto dei momenti no. Certo, da Museeuw a Boonen, da Gilbert fino a Van Aert, campioni per le classiche ci sono stati sempre, ma dall’inizio del secolo erano diventati sporadici e poi resta sempre un grande buco, quello degli interpreti di corse a tappe.
L’importanza della Tv
Qui forse si nasconde la novità: i ragazzi di oggi sono avvezzi tanto alle classiche quanto, ma forse più alle corse a tappe. Come nasce questo cambio di passo? Valerio Piva, il diesse dell’Intermarché Wanty Gobert che da molti anni vive in Belgio, identifica questa esplosione in fattori ben precisi.
«Premesso che io sono sempre convinto si tratti di cicli che riguardano ogni Nazione – dice – e quindi anche noi italiani torneremo a sfornare talenti, in Belgio c’è un forte peso dato dalla Tv. Ci sono gare praticamente ogni giorno, ma non solo: ci sono programmi, talk show dove partecipano vecchi campioni, insomma si parla sempre di ciclismo e questo pesa nella cultura dei ragazzini».
Il ciclismo resta quindi lo sport nazionale belga, anche a scapito del calcio? «Diciamo che siamo su due piani diversi, ma paralleli. Il ciclismo è parte integrante di questo Paese. Intanto perché le piste ciclabili sono tante e rispettate e questo permette ai genitori di far uscire i figli con un po’ meno di patemi d’animo. A ben guardare, non sono poi tante le squadre ciclistiche giovanili, ma i ragazzi hanno la possibilità di crescere poi in team collaudati, come possono essere i development delle 3 formazioni WorldTour oppure la squadra di Axel Merckx».
Grandi Giri? C’è da aspettare…
Valerio Piva, affrontando il discorso sulla nouvelle vague belga più dedita alle corse a tappe, vuole però andarci cauto.
«Non dobbiamo prendere certi risultati per oro colato. E’ vero – dice – questi ragazzi fanno molto bene nelle corse a tappe di categoria, anche quelle più importanti. Ma so per esperienza che fra queste e le corse a tappe professionistiche, e non parlo dei grandi Giri, c’è una differenza abissale. Anche Evenepoel che pure è un talento cristallino, fra i pro’ ha avuto bisogno di tempo per adattarsi. Solo ora si sta affermando come corridore completo. Io non credo sforneranno vincitori di Giro e Tour in tempi brevi, per questo ci sarà ancora da aspettare».
Abbiamo sottoposto quest’analisi per molti versi severa a un altro interlocutore di peso. Il direttore tecnico della nazionale belga Frederik Broché che da parte sua conferma come ci sia un piccolo cambio di tendenza nel movimento giovanile.
«In Belgio gli ultimi anni – spiega – hanno visto emergere sempre corridori da classiche. Ciò è normale, vista la popolarità che hanno le gare in linea più importanti e il ruolo di trascinatori delle folle di campioni come Van Aert. Il classico corridore belga è un passista puro oppure veloce, capace di emergere anche negli sprint affollati. Negli ultimi anni però qualcosa è cambiato, anche grazie alla multidisciplina. Ora i ragazzi cercano sempre più di essere corridori completi per poter emergere anche nelle corse a tappe».
Le nuove caratteristiche fisiche
Broché, a tal proposito, ha notato anche una nuova tipologia di corridore tra i più giovani talenti basandosi sulle caratteristiche fisiche.
«Prima – ragiona – avevamo atleti possenti, che raggiungevano anche gli 80 chili e che emergevano sul passo, oppure nel ciclocross. Al fianco di questi stanno però emergendo anche altri corridori, molto più leggeri, dai 60 chili in su, più portati per la salita e che abbinano alla leggerezza anche ottime capacità di guida mutuate dalla mtb. Devo dire poi che se in campo maschile questo ribollire ci fa ben sperare, fra le donne la situazione è molto più complessa. Abbiamo un deficit notevole che i successi della Kopecki hanno solo coperto parzialmente quest’anno».
Il tempo, solo il tempo potrà dare le risposte, se il Belgio avrà finalmente trovato interpreti da corse a tappe. Magari anche pretendenti per un podio al Giro o al Tour. Resta però un dubbio: non è che Merckx con le sue tonnellate di vittorie ha rappresentato un problema? In fin dei conti è lui l’ultimo belga grande interprete anche nelle corse a tappe.
«Beh, forse sì – ammette Broché sorridendo – ha lasciato un’eredità davvero pesante. Guardate Evenepoel, appena ha cominciato a vincere lo hanno subito etichettato come il “nuovo Merckx”. Per i giovani è un peso non indifferente, tanto è vero che ancora oggi a mezzo secolo di distanza ancora se ne parla. Questi giovani sono molto promettenti, ma bisogna anche saper aspettare e lasciarli tranquilli».