Annemiek Van Vleuten si lecca le ferite della spaventosa caduta nel Team Relay. Sabato l’aspetta la corsa mondiale ed è chiaro che anche se non è proprio un percorso per lei ideale, il sogno di conquistare l’ennesima maglia iridata c’è, perché sarebbe la ciliegina su una torta incredibile, formata dalla conquista delle tre grandi corse a tappe nello stesso anno: Giro, Tour e Vuelta.
Un’impresa alla quale nessun uomo si è neanche mai avvicinato, prima del 1995 perché Vuelta e Giro erano troppo vicine, poi perché il ciclismo è diventato talmente competitivo ad altissimi livelli che è diventato arduo anche provare a lottare per la vittoria in solo due di esse. Quale valore va attribuito allora all’impresa dell’olandese? Paolo Slongo, preparatore della Longo Borghini e profondo conoscitore di entrambi i mondi ha idee precise al riguardo.
«Un paragone per me non è proponibile – afferma con nettezza – basta solo guardare il totale delle tappe disputate: 10 per il Giro, 8 per il Tour, 5 per la Vuelta. Il totale è di 23, quanto una sola delle grandi corse a tappe al maschile. Inoltre c’è una profonda differenza per il periodo: al maschile le gare sono lontane fra loro e la programmazione al massimo può contemplarne due, fra le donne era tutto racchiuso in meno di due mesi e mezzo».
Quanto influisce anche il numero di atleti dei rispettivi ambiti?
Moltissimo, mettiamo a confronto team di 30 corridori con 14 cicliste quando va bene. E’ chiaro che il calendario così ricco impone alle squadre di schierare le ragazze quasi sempre, questo porta anche a un maggiore livellamento. Ciò non toglie che va dato merito all’olandese di essere almeno una spanna sopra tutte: in salita è troppo superiore alle altre, fa la differenza e su quella costruisce i suoi successi, quando attacca non le resiste nessuno.
Da che cosa nasce questa enorme superiorità?
E’ difficile dare una risposta non essendo nel suo entourage. Sicuramente la Van Vleuten ha una resistenza notevole unita a una grande attitudine per questo tipo di gare. Su di lei calza a pennello un ritornello che si sente spesso: un grande talento naturale affinato con l’allenamento…
Van Vleuten a parte, un’impresa del genere nel ciclismo femminile è ripetibile?
Il calendario lo permette: magari non ci sarà più una dominatrice così netta, ma quel che è certo è che tra una corsa e l’altra potremo assistere a confronti ripetuti. Se guardiamo le classifiche delle tre corse, ben 6 atlete oltre la Van Vleuten sono finite sempre nelle prime 13 posizioni (Longo Borghini, Ludwig, Labous, Persico, Garcia e Chabbey, ndr) il che significa che si può sicuramente fare con l’attuale struttura della stagione.
Parlavi prima della lunghezza delle corse, secondo te sono ampliabili?
Sì, ma senza esagerare. Credo che una dozzina di giorni sia una proporzione giusta, ma si dovrebbe mettere mano non solo alla lunghezza dei Giri, quanto anche alla loro struttura, renderli più vari ed equilibrati. Non dovrebbe mancare una cronometro individuale che quest’anno era solo al Giro, per dare possibilità anche a chi scalatore non è di competere per la classifica finale.
In campo maschile una simile impresa è inconcepibile. Negli ultimi anni qualcuno ha provato la semplice presenza, ultimo l’australiano Adam Hansen nel 2017. Secondo te non puntando alla classifica, si può pensare a effettuare tre corse di tre settimane nello stesso anno?
Dipende da che cosa ci si prefigge. Essere presenti per dare una mano in squadra è possibile, se vai come velocista anche e gli esempi di Baffi, Poblet e Petacchi che vinsero una tappa in tutti e tre i grandi Giri nello stesso anno lo dimostra. Pedersen ad esempio se quest’anno avesse provato il Giro, magari non facendolo tutto, magari centrava una vittoria. La classifica richiede attitudine e soprattutto una preparazione che non si adattano al ciclismo odierno. A meno che…
A meno che?
Anni fa Tinkoff lanciò una provocazione: una sfida nello stesso anno fra tutti i big delle corse a tappe nelle tre gare, preparando solo quelle. Forse potrebbe anche essere fattibile, ma bisognerebbe studiare bene la cosa, anche un regolamento ad hoc e adattare la preparazione affrontando comunque terreni sconosciuti. Per ora resta un’utopia…