In questo primo scorcio di stagione, complice anche questo clima così mite, nel ciclocross abbiamo assistito a percorsi molto veloci. Le difficoltà tecniche non sono state tantissime nei vari circuiti, ma quando ci sono state hanno fatto la differenza. Specie nella seconda metà di gara quando le energie venivano meno. Con il maestro, nel vero senso della parola, Martino Fruet andiamo a capire quali sono i passaggi più significativi del cross e come si affrontano.
Ne abbiamo individuati tre: il traverso, le curve a gomito (o comunque molto strette) e gli ostacoli.
Giovani e tecnica
Prima di analizzare quei tre punti, abbiamo posto una domanda al grande specialista dell’offroad. Ed stata: «Oggi i ragazzi curano la tecnica? O prevale la componente atletica?».
«I ragazzi di oggi curano moltissimo la tecnica – spiega Fruet – soprattutto per quel che riguarda il salto degli ostacoli. Noi delle vecchia scuola scendiamo e cerchiamo di essere più veloci possibili, ma dagli allievi in su ormai si cresce con la mentalità di saltare l’ostacolo, anche se a volte, crono alla mano, si è più veloci se si scende. Ma fa “tanto figo”…
«Mentre noto che non prestano la stessa attenzione sulle linee. In questo caso preferiscono puntare sulla componente atletica».
Il traverso
Quando c’è una contropendenza laterale spesso le cose si complicano, specie se il fondo è scivoloso. E infatti Fruet parte proprio da questa discriminante.
«Se è asciutto – spiega Fruet – e la bici tiene non ci sono problemi. Vai tranquillo con entrambi i pedali attaccati e quello a monte sollevato e ci si sposta con il bacino a valle. In questo modo il peso va sulla gomma».
«Discorso diverso quando è bagnato o c’è fango. In quel caso come si dice in gergo, si “zappa”. Si stacca il piede a monte e si spinge. Appoggi e spingi, appoggi e spingi…
«Se nei giorni precedenti ha piovuto parecchio si creano i canali. Se ne punta uno e si cerca di restare lì dentro stando in equilibrio… ma non è facile. Nei traversi si dovrebbe entrare sempre dal punto più alto e mano mano sfruttare la pendenza verso il basso. Altrimenti se si entra subito bassi si va a fettuccia e si perde molto tempo. Invece stando alti si cerca il primo canale e poi si “scivola” in quello sempre più in basso, ma si fa velocità. Stando però sempre attenti a non scendere fino alla fettuccia.
«Ma se il traverso è molto lungo è difficile restare alti. Quello di Namur (nella foto di apertura, ndr) per esempio è famoso per la sua lunghezza e anche perché è in discesa».
Le curve
Per le curve più ampie quelle da 90° in su per Fruet non dovrebbero esserci problemi. O almeno un crossista non dovrebbe averne. Il focus pertanto è sul tornante o la curva molto stretta.
«Prendendo il classico fettucciato in pianura – riprende Fruet – bisogna puntare la piccola striscia interna di verde, cioè di erba, che spunta dal marrone».
«Anche in questo caso molto dipende dal fondo. Il peggiore è quello gelato con la superficie che molla un po’. Lì devi essere un artista. E si può fare una grossa differenza. In questi casi ci sta anche che si arrivi forte sulla curva e poi si scenda, mettendo il piede appunto sul filo d’erba e magari fare perno sul paletto con la mano. E poi risalire in sella.
«Altrimenti bisogna fare un “disegno”, una traiettoria particolare. Non è il classico: allarga, chiudi, allarga. Bisognerebbe allargare ma senza chiudere subito, in modo tale da ritrovarsi nel punto di corda su quel po’ di erba all’interno. Non si esce troppo larghi. Il disegno della curva sarebbe sbagliato, ma la velocità in teoria non è bassissima».
«In caso di fango estremo, tipo 20 centimetri, per me è meglio scendere. Spesso quando facciamo le prove con il cronometro alla mano si è più veloci che restare in sella».
«Come accennavo, il terreno più brutto è quello con fondo ghiacciato e superficie più molle. Se sotto è duro per davvero il sopra è scivolosissimo. Bisogna essere davvero sensibili. Tuttavia le differenze non sono enormi perché di base la velocità è bassa».
E su sabbia? «Su sabbia serve prima di tutto tanta potenza. Non si va troppo stretti e si deve giocare con peso e cambio. Non si deve essere troppo duri. Ricordo che uno che riusciva a fare certe curve così con il rapportone era Franzoi. Ma lui aveva una potenza incredibile».
L’ostacolo… a piedi
Infine c’è il salto o “bunny hop” (il salto del coniglio), vale a dire il superare gli ostacoli a terra. E qui Fruet dà il meglio di sé.
«Come accennavo – dice Fruet – oggi la scuola dice che vanno superati in bici, ma non sempre è vantaggioso. Ai miei tempi si diceva di scendere e di correre veloci, chiaramente era importante essere fluidi nell’azione. Scendere, saltare, correre e risalire in bici.
«Anche per questo è importante non far rimbalzare la bici, perché poi se per rimontare si salta e non si trova subito la sella sono dolori. Meglio andare a cercare la sella con l’interno coscia e poi lasciarsi andare con il sedere. A volte, se la distanza degli ostacoli lo consente, si appoggia la bici a terra e la si fa scorrere per quei due passi, prima dell’ostacolo successivo.
«Scendendo di bici si arriva più veloci sull’ostacolo e la stessa velocità determina il punto in cui si doveva scendere».
L’ostacolo… in bici
«Ci sono poi i salti. Per me – osserva Fruet – ci sono tre tecniche, anche se viste da fuori sembrano tutte uguali.
«C’è il bunny hop classico, in cui tiri su con le braccia e fai una sorta “d’impennata d’inerzia” abbassando il sedere e portando avanti le spalle. Il tutto senza pedalare. Ma con la bici da cross è difficile, non hai il telescopico e la sella ingombra, dà fastidio».
«C’è il salto “tipo belga”, come l’ho chiamato io, perché l’ho visto fare dai belgi soprattutto. In pratica salti l’asse con tanto, tantissimo carico sulle braccia e senza usare le gambe Spesso toccano con la ruota. Io, che da 20 anni sono maestro di Mtb ti boccerei all’esame. Ma nel cross è così».
«E poi c’è il salto “alla mtb”, che prevede il carico, la tirata con le braccia, ma anche con le gambe».
Una riflessione
Il cross nasce per saltare gli ostacoli e prevede dei tratti a piedi, se non si scende mai di sella è un po’ come se si snaturasse. Forse anche per questo riguardo ai salti Fruet è davvero interessato. Con il suo occhio e la sua esperienza il trentino studia anche questi aspetti e fa una riflessione.
«Una volta – conclude Fruet – gli ostacoli erano da 40 centimetri, ora li mettono a 30. Fosse per me li farei da 70 centimetri, così che tutti sarebbero costretti a scendere di bici».