Faé di Oderzo, ultima edizione del Ciclocross del Ponte, una delle grandi classiche del nostro calendario. A svettare è una maglia tricolore, quella di Filippo Fontana e questa è una notizia perché del campione italiano si erano un po’ perse le tracce. Qualche apparizione proprio a inizio stagione e poi più nulla, lasciando fare agli avversari di sempre, guardando le gare dal di fuori, con un pizzico di malinconia ma convinto delle proprie scelte.
Già, le scelte. Si parla sempre dei tre tenori, di chi deve sacrificare la passione per l’attività sui prati per privilegiare la strada. Dimenticandoci che un po’ lo stesso avviene per chi opera nei mesi caldi in sella a una mountain bike. Fontana spiega proprio in questo modo la sua stagione ben diversa da quelle passate.
«Non potevo fare altrimenti – racconta Fontana – la stagione di mtb è finita tardi, a ottobre eravamo ancora impegnati con le prove di Coppa del mondo in America. Staccare era un obbligo anche pensando a quel che ci aspetta. Sono rimasto fermo quasi tutto novembre, quella di Faé era la mia prima gara vera, ma continuerò a gareggiare in prove non lontano da casa per privilegiare gli allenamenti, per il ciclocross solo in parte perché già sono più che orientato verso la mountain bike».
Perché questa scelta così diversa dal solito?
Il 2024 è un anno molto particolare. Se hai ambizioni di partecipazione alle Olimpiadi non puoi fare diversamente e io ci punto, anche se so che i posti a disposizione nella mtb saranno solamente 2. Questo significa che ad aprile-maggio bisognerà essere al massimo della forma perché sarà allora che si decideranno i due nomi e io dovrò farmi trovare pronto.
Quindi non è una situazione che coinvolge solo gli stradisti, viste le tante defezioni di questa stagione anche in casa italiana, Silvia Persico tanto per fare un nome…
Se punti a un evento così importante, così fuori dalle righe visto che c’è ogni 4 anni, così particolare anche nella sua collocazione temporale non puoi fare altrimenti. Io ad esempio ho scelto di partire molto piano, spero di raggiungere una buona forma per gennaio-febbraio in modo sia da ottenere il massimo agli italiani e magari ai mondiali di ciclocross, tirando poi avanti per le prime prove della mtb, staccando quando sarà necessario per poi spingere a tutta in primavera.
Quindi la scelta dei grandi di fare solo qualche sporadica apparizione nel circuito ti trova d’accordo?
Hanno vinto tutto, è la logica stessa che dice che, se vogliono ottenere altro, qualcosa di inedito per loro devono fare delle rinunce. Per loro il ciclocross è passione, ma non è il sostentamento principale, l’obiettivo primario della loro carriera ed è già un bellissimo segnale che non ci rinuncino del tutto. Affrontano stagioni così impegnative che è difficile rendersene davvero conto, eppure uno spazio per il ciclocross lo mantengono e questo avvantaggia tutti.
Veniamo alla gara di Faé…
E’ andata bene, anche oltre le previsioni. Pensavo di fare più fatica anche perché c’erano davvero tutti i migliori italiani ma anche Korne Van Kessel che non è propriamente uno sconosciuto. Sono partito molto circospetto lasciando l’iniziativa agli altri, poi Van Kessel ha rotto una scarpa perdendo un po’ di tempo e ne ho approfittato per attaccare. L’olandese è rimasto sempre abbastanza vicino ma alla fine quei 10 secondi di vantaggio sono riuscito a conservarli.
La condizione comunque c’è visto che il giorno dopo ti sei preso pure il Ciclocross di Vittorio Veneto, tappa finale del Master Cross Selle Smp…
Lì è stato un po’ più facile, nel senso che ho subito guadagnato un buon vantaggio sugli avversari potendo viaggiare di conserva per quasi tutta la gara. Mi ha fatto molto piacere esserci e onorare al meglio la memoria di Renato Longo che per questa disciplina è stato un capostipite. In questo modo ho vinto anche la classifica del Master grazie alla doppietta in 24 ore. La challenge si prestava molto alle mie necessità, con poche gare quasi tutte in Veneto e tutte di elevato livello.
Che tipo di percorsi sono quelli trevigiani che hai affrontato?
Pianeggianti ma impegnativi, soprattutto quello di Faé perché prevede molti tratti a piedi e dove devi spingere molto. Oltretutto era umido e questo ha reso il tracciato scivoloso. Per questo temevo che gli sforzi fatti potessero essere vanificati, bisognava essere molto attenti.
Prendendo spunto dal percorso trevigiano e in base alla tua esperienza anche all’estero, i tracciati italiani sono penalizzanti rispetto a quelli belgi e olandesi dal punto di vista tecnico?
Forse la mia risposta andrà controcorrente, ma io penso proprio di no. Molti si lamentano dell’eccessivo fettucciato, ma bisogna considerare che il disegno dei nostri percorsi richiede capacità tecniche non comuni: dove le trovi all’estero curve a gomito, tracciati abbastanza stretti, curve dove devi rilanciare in maniera secca e “menare” per riprendere velocità? La differenza non è nei percorsi, ma nel livello generale. Se ogni settimana hai almeno due gare dove ti confronti con almeno 15 corridori che sono al tuo livello se non superiore, alla fine ti accorgi che c’è un’altra qualità. Tornando ai tracciati, io credo che quelli di Brugherio o lo stesso Faé di Oderzo non abbiano proprio nulla da invidiare ai principali esteri.
Quando ti rivedremo in gara?
Credo il 26 a San Fior, per un’altra gara nazionale. Voglio gareggiare vicino casa, per sfruttare tutto il tempo disponibile per gli allenamenti di mtb. L’obiettivo olimpico è troppo importante quest’anno…