Le vittorie di Mario Cipollini non sono mai state comuni, come comune non può essere considerato lui. 189 nella sua lunga carriera e fra queste ben 3 Gand-Wevelgem, nel 1992, 1993 e 2002. Ognuna con una sua storia, ognuna piantata nella sua memoria.
Una classica per velocisti? La prova belga è sempre stata considerata uno dei pochi appuntamenti di spicco delle corse d’un giorno adatta per gli sprinter, ma il lucchese, oggi costruttore di bici, si è sempre ribellato a questa identificazione: «Casomai è il contrario, quando correvo io erano 285 chilometri affrontando il Kemmel per 3 volte. Se non tenevi in salita, la Gand non la vincevi di certo, era più dura della Strade Bianche, ve l’assicuro…».
La gara di… allenamento
E’ cambiata molto rispetto ad allora?
Diciamo che è cambiato il ciclismo, sono cambiati i corridori, anche strutturalmente, tanto è vero che quando passai professionista io eravamo in 7, ora sono vere orde di neoprofessionisti e non credo che tutti siano pronti. Ma tornando alla gara molto influiva la sua collocazione…
In che maniera?
Allora la Gand-Wevelgem era al mercoledì di mezzo tra il Fiandre e la Roubaix, il che significa che quasi tutti la consideravano il mega-allenamento in vista della gara del pavé. Per questo c’erano davvero tutti, aveva un’importanza maggiore.
Quel demone di Abdu…
Proviamo a rivivere le tue vittorie, partendo dal 1992 (foto di paertura)…
Non mi è mai andato giù il fatto di aver vinto a tavolino, dopo la squalifica di Abdujaparov che mi aveva tirato per la maglia. Per fortuna c’era la giuria… Già l’anno prima aveva scartato davanti a me, quando avevo già preso una gomitata da Vanderaerden. Ma il sapore della vittoria sul traguardo è diverso.
Dovesti aspettare un anno…
Un successo netto, ma era quello il primo anno in cui Lefevere stava gettando le radici di quella che oggi è la Deceuninck. Uno squadrone, basti pensare che a tirarmi la volata avevo Ballerini, Tchmil e Museeuw. Ne venne fuori uno sprint da cineteca.
Ecco Cipollini in fuga
La vittoria del 2002 fu molto diversa…
Fu una corsa interpretata in modo differente. Erano in fuga in 4 e sapevo che non li prendevamo più se non mi muovevo, eravamo dopo il Kemmel e non avevo compagni di squadra. Andai all’attacco per riagganciarli, c’erano il campione uscente Hincapie e Rodriguez, in volata non fu difficile contenerli.
Quell’anno iniziato con la vittoria alla Sanremo culminò con il titolo mondiale: fu il tuo migliore?
Certamente, avevo 36 anni, ero nel pieno della maturazione e decisi di cambiare squadra, ma andando all’Acqua & Sapone dissi a Santoni che volevo avere carta bianca su tutto e i fatti mi diedero ragione.
L’esperienza dei “vecchi”
E’ possibile nel ciclismo attuale fare lo stesso, avere il culmine della propria parabola a 36 anni?
Chi può dirlo? Io credo che dipenda molto dalla passione che uno ha. Io ebbi la fortuna di avere come Ds nel ’92 un certo Roger De Vlaeminck che m’insegnò la cultura del sacrificio. A proposito della Gand-Wevelgem lo volete sapere un episodio?
Dicci…
Lui correva la Gand sempre per preparare la Roubaix: un anno disputò la gara di 280 km e subito dopo si sorbì altri 120 km dietro moto. Se ascolti i campioni sei invogliato a fare di più. Oggi invece sembra che tutti sappiano già tutto, io invece andrei a rivedere le tabelle dei corridori di tempi neanche troppo lontani.