Vent’anni fa, sulle strade di Zolder, che incoronarono campione del mondo Mario Cipollini, si mise in luce un altro velocista: Francesco Chicchi. Sullo stesso rettilineo il toscano di Camaiore si aggiudicò la maglia iridata della categoria under 23. Una volata di potenza pura a testa bassa sul manubrio, un successo forse insperato ma che gli ha aperto le porte del ciclismo dei grandi.
Francesco, cosa ricordi di quei giorni?
Ormai i ricordi sono rimasti veramente pochi – ride – si parla di 20 anni fa. Ricordo però che il percorso mi piacque molto, era sostanzialmente tutta pianura ad eccezione di due strappetti.
Che corsa fu?
Durante tutta la gara ebbi la fortuna di rimanere a ruota, avevamo la nazionale con quattro ragazzi che avevano il compito di entrare in fuga. Fusi, il cittì dell’epoca, aveva concordato che se non si fosse creato un gruppetto, la strategia era tirare per me ed arrivare in volata.
Dalle immagini si vede che un tuo compagno, Bucciero, è stato ripreso ai 300 metri dall’arrivo…
Nell’ultimo giro ognuno dei miei compagni cercò di tirare acqua al proprio mulino, Antonio (Bucciero, ndr) scattò sull’ultimo strappo per anticipare tutti. Io ebbi la fortuna di rimanere a ruota, battezzai le ruote di Dekkers e Baumann, i due più rapidi. Nella curva a “esse” vidi lo spazio per inserirmi più avanti, ci fu una caduta dove loro due furono coinvolti. Rimasi in piedi quasi per il rotto della cuffia e lanciai lo sprint venendo fuori da dietro a tutta.
Una volata in solitaria.
Sì, ma non posso certo recriminare ai miei compagni di non avermi dato una mano, i piani saltarono ma è comprensibile. Al mondiale under 23 ti giochi il passaggio nel professionismo ed una buona fetta di carriera.
Tu l’anno dopo passasti in Fassa Bortolo.
A Zolder arrivavo al quarto anno da dilettante, l’anno della maturazione: o passavo oppure avrei smesso. Si trattava di un mondiale facile nella stagione dove ero sbocciato e quella vittoria mi ha proiettato nel professionismo.
Peccato non aver potuto indossare quella maglia…
E’ un po’ un paradosso, ma è così. Vinci il mondiale e se ti va bene metti la maglia due o tre volte. E’ un peccato non vedere l’arcobaleno nelle gare, però è anche vero che la vera ricompensa è passare nel ciclismo dei grandi.
Come andò in Fassa Bortolo?
C’era tanta aspettativa nei miei confronti, tutti si aspettavano questo Chicchi super veloce ed esplosivo pensando fossi già pronto per competere con i migliori. Arrivare quell’anno in Fassa Bortolo era l’equivalente di giocare nel Barcellona. C’erano i migliori corridori al mondo: Bartoli, Cancellara, Pozzato, Petacchi, non dico che fu un errore passare in quella squadra perché è impossibile rifiutare una proposta del genere. Però fu difficile per me ritagliarmi un posto e con quei super campioni soffrii il passaggio.
Tu hai trovato queste difficoltà al quarto anno da dilettante, ora l’età si è abbassata ancora di più.
Qui mi sembra che l’età del passaggio al professionismo sia una cosa che si abbassa ogni anno. Ci sono juniores che già firmano contratti da pro’, se mi si chiede se sia giusto rispondo “ni”. Ci sono dei casi in cui è normale ed è quasi giusto, se si pensa ad Evenepoel, ma in altri è giusto che il corridore faccia il suo percorso di crescita tra i dilettanti. E’ normale che poi ci siano atleti che fanno l’ascensore tra pro’ e dilettanti, basta mezza stagione storta e torni giù, è tutto molto estremizzato.
Questo trend però vale in tutti gli sport…
Chiediamo troppo ai giovani ed insegnamo poco. Talvolta mi trovo a parlare con juniores ed allievi che vogliono il procuratore, a 20 anni pensano di essere arrivati, ma non è così. Manca la base di apprendimento. In Italia i tecnici bravi ci sono e bisogna dare il tempo di formare i ragazzi e lavorare.