«Questo dovrebbe essere l’ultimo anno – dice Carminati e la voce un po’ trema – poi probabilmente non vedrete più il pullman della Mapei ai mondiali».
Finite le crono, la carovana si sposta da Bruges a Louvain e anche il pullman blu con i cubetti ha preso la via della cittadina universitaria alle porte di Bruxelles, in cui si svolgeranno le prove su strada. Giacomo Carminati, bergamasco di 69 anni, è la faccia dell’azienda milanese. Lo era accanto a Giorgio Squinzi e lo è diventato a maggior ragione da quando il dottore se ne è andato. Il pizzo ormai bianco, la solita simpatia coinvolgente, il sorriso gentile. Chiusa la squadra, Mapei allestì il pullman per portare il marchio in giro per l’Europa e Carminati smise di trasportare corridori e cominciò ad accogliere clienti e uomini d’affari. Ma voi avete idea di quanti e quali campioni hanno viaggiato con lui dal 1994 al 2003?
Testimone privilegiato
I guidatori dei pullman sono i testimoni della storia. Nei loro mezzi si respirano le grandi vigilie e le tensioni, i brindisi e le cocenti sconfitte. Se potessero raccontare tutto, le loro storie sarebbero best seller, ma hanno fatto voto di discrezione e per questo i corridori li adorano. Nei giorni scorsi sono passati di qui Johan Museeuw e Paolo Bettini e l’abbraccio riservato a Carminati è stato quasi toccante. Vi abbiamo raccontato di Federico Borselli e di Ezio Bozzolo, ma nessuno ha l’esperienza del bergamasco. Che lavorava alla Gatorade di Stanga e un bel giorno ricevette una telefonata…
Una telefonata che ti cambiò la vita?
Potete dirlo forte. Era novembre del 1993 e mi chiamò Marco Giovannetti, che era stato con noi fino all’anno prima. Mi disse che c’era un grosso sponsor di nome Mapei che era interessato a me per gestire il parco automezzi e mi chiese se volessi incontrarlo. Fu così che vidi per la prima volta Giorgio Squinzi, che aveva già deciso di entrare nel ciclismo. Conversammo a lungo e trovammo l’accordo, ma non dicemmo una parola sui soldi. Seppi in seguito che quando uscii chiamò l’amministrazione e disse di darmi qualunque cifra avessi chiesto.
Ricordi il primo pullman?
Ne trovammo uno usato di due anni e lo facemmo allestire dalla Vas a Firenze. Ero giù quattro giorni a settimana per seguire i lavori e così nacque il pullman che utilizzammo dal 1994 al 2002. Nel 2006 invece se ne fece un altro per i mondiali di calcio, quando Mapei sponsorizzò la nazionale.
Quanti corridori sono saliti sul tuo pullman?
Impossibile dirli tutti. Da Rominger a Ballerini, Tonkov, Bettini, Bartoli, Museeuw, Tafi… Quanti sono stati i campioni della Mapei? Erano tutti miei corridori e non ho mai avuto una discussione. O meglio, una c’è stata e con il mio corridore preferito: Gianni Bugno, che per me era Dio in terra.
Oddio, che cosa gli hai fatto?
Che cosa fece lui a me… Si arrivava in salita in una strada stretta, pioveva. I pullman non potevano salire, per cui mi feci prestare un’auto dall’hotel e andai su ad aspettarlo. Lui voleva vincere, ma finì dietro Fondriest. Quando tagliò il traguardo, mi chiese dove fosse il pullman e quando sentì che non c’era, cominciò a urlare davanti a tutti. Mi ferì. A cena gli dissi di non permettersi mai più, che sennò li avrei lasciati tutti in mezzo alla strada. Lui capì, si scusò e mi diede un abbraccio.
Come mai tanta intesa?
Forse perché ho corso fino ai dilettanti, prima che un incidente mi costringesse a smettere e quindi capisco i sacrifici che fanno. Facevo 180 giorni all’anno in giro sul pullman, con tante soddisfazioni e guidando, che era la mia passione. Prima di arrivare al ciclismo, avevo fatto sei anni guidando i bus turistici.
Il pullman è sacro?
La prima cosa che dicevo ai corridori era di badare alla pulizia e devo dire che ci sono stati sempre attenti, forse sapevo farmi rispettare. Con alcuni poi si creava un legame speciale, con Rominger per esempio. Voleva che gli preparassi io il rifornimento con la banana pelata, perché i massaggiatori la facevano la sera prima e quando apriva la stagnola, era annerita. E poi voleva che andassi io agli arrivi, facevo anche quello.
Ballerini?
Mi ricordo un anno, forse proprio il 1994, in cui si ritirò dal Giro per l’allergia. Continuavo ad andare nella sua stanza per vedere come stesse e lo trovavo sempre con un asciugamano sulla testa. Continuai a seguirlo anche quando prese la passione dei rally. Una volta tornavamo verso casa con l’ammiraglia della nazionale e gli chiedevo perché mai insistesse a rischiare con le corse. E lui rispose che aveva comprato quel famoso collare che gli avrebbe dovuto salvare la vita…
Si interrompe. Gli sguardi si incrociano. Lo ricordiamo a Roubaix quando Franco vinse per la prima volta sulle pietre. Certe ferite fanno fatica a guarire.
Ti ricordi le prove alla Foresta di Arenberg?
Li portavo là, si cambiavano, prendevamo il caffè con i giornalisti che ci aspettavano e poi partivano per fare il finale. La campagna del Belgio era bellissima, si stava bene. Respiravi aria di ciclismo. Ci sarebbe stato bene anche Ganna in quella squadra, è un ragazzo favoloso. L’altro giorno è venuto a prendere il caffè anche suo padre, assieme a Giovanni Lombardi.
E Bettini?
Ricordo la prima Liegi che vinse. Mi abbracciò e si mise a piangere. Quel giorno iniziò la sua scalata. A Paolo sono molto legato, ogni volta che vado in Toscana, passo a trovarli tutti. Ho dormito nell’agriturismo di Tafi, ma quando ho provato a pagare ha detto che si sarebbe offeso. Ho dormito anche nell’hotel di Giovannetti, ma non mi sono fatto riconoscere. Il giorno dopo l’ho trovato a colazione e gli ho fatto una sorpresa. Sono rimasto tutto il giorno, mi ha portato a vedere l’hotel che stava per comprare.
Cosa ricordi del dottore?
Squinzi veniva tutte le domeniche a casa mia e uscivamo in bici. Era appassionato, aveva le nostre stesse sensazioni prima di una gara. Gli piaceva vedere l’impegno e la preparazione dei corridori. Aveva un modo di fare talmente garbato che riusciva a stare in mezzo a loro senza farsi notare e quando parlava, ci dava una carica pazzesca.
Dici che sarebbe mai tornato al ciclismo?
Credo di sì. Quando successe la positività di Garzelli, mi chiamò e mi disse che il giorno dopo avrei letto sui giornali che la Mapei chiudeva a fine anno. Voleva che lo sapessi da lui, era rimasto troppo deluso. Quando si seppe, Zabel venne a propormi di lavorare per la Telekom, ma il dottore si inventò il pullman commerciale e rimasi. Sono convinto che sarebbe rientrato, se ne parlava continuamente. Gli mancava la bici, era contento di uscire con noi perché con i miei amici non si parlava di lavoro. Glielo dicevamo di curarsi, lui continuava a rimandare finché non fosse finito il mandato in Confindustria.
Quando l’hai visto per l’ultima volta?
Andai a trovarlo nel 2019 prima dei mondiali di Harrogate assieme a Bugno. Era contentissimo, mi abbracciò. Poi a un certo punto ci disse di andare perché doveva prendere le sue medicine e aggiunse che non ci saremmo più visti. Sono stato per tre giorni con il mio camper fuori dalla camera ardente.
Cosa sarà di questo pullman?
Se viene confermato che non serve più, penso che sarà venduto. E’ l’ultimo superstite di una grande storia, tutti vengono a trovarci, perché è la casa di tutti. Quando arrivavamo i primi anni, si spostavano per lasciarci passare e applaudivano. Per i corridori era una comodità.
Se lo vendono, chissà quanti segreti porterà con sé…
Ho sempre assistito a tutto, so tante di quelle cose… Sembrava una famiglia più che una squadra, difficilmente c’erano discussioni. Poi le radioline hanno un po’ cambiato le cose, togliendo di mezzo l’improvvisazione. Ma se lo vendono, ai mondiali non rinuncio. Continuerò a girare col mio camper. In qualche modo continueremo a salutarci ogni anno…