Un documentario di un’ora e mezza per capire la loro storia. Poi la video intervista e la sensazione di essere ancora nel film, dialogando con Bas Tietema, olandese di 29 anni. Avevamo incrociato il fondatore del TDT-Unibet Cycling Team negli anni scorsi al Tour con due amici, realizzando video dal seguito pazzesco. Nonostante fossero soltanto in olandese, i contenuti su YouTube del Tour de Tietema (TDT) superavano regolarmente quelli del Team Ineos Grenadiers che deteneva ogni record. Il passaggio alla creazione di una continental nel 2023 e quest’anno della professional che ha vinto l’ultima tappa del Tour of Antalya era stato un vago sentire.
La storia di Bas
Bas Tietema è un corridore di cui si ha traccia a partire dal 2014, quando corre con il BMC Development Team, assieme a Ignazio Moser e Stefan Kung. Nel 2022, dopo altri cambi, passa alla Bingoal, in cui militano anche Tizza e Viviani, ma si limita a 14 giorni di corsa: la più prestigiosa è la Roubaix in cui finisce fuori tempo massimo.
Ama raccontare lo sport, così convince altri due olandesi (Devin van der Wiel e Josse Wester) a seguirlo nell’avventura sulle strade francesi. Comincia tutto così. Non hanno soldi, dormono in tenda o dove capita. Fanno interviste ai corridori e offrono loro la pizza. Sorridono e fanno sorridere. Entrano e vengono riconosciuti dal gruppo. Mostrano storie che gli altri trascurano. E dopo tre Tour vissuti così, creano una continental.
Da youtuber a manager
Pochi soldi. Pochi sponsor. La struttura da costruire. Il magazzino. Le bici. Il reclutamento dei corridori e fra loro lo stesso Bas. Tutto quello che potete immaginare, fra le mani di tre ragazzi completamente digiuni di esperienza, che si affidano pertanto a un manager e a un vero direttore sportivo.
La stagione parte male con l’infortunio del corridore più esperto (Hartthijs De Vries), travolto da un’auto in Spagna durante il ritiro. Fra ospedale e dolore, il momento è duro, ma il ragazzo torna e lo fa vincendo in Olanda. Il 2023 si chiude con tre vittorie e una grande notizia.
I tre nel frattempo sono tornati in Francia con la formula del Tour de Tietema e questa volta l’ambiente li riconosce diversamente, anche perché proprio durante il Tour esce la notizia che dal 2024 la loro squadra sarà professional. Perciò scherzano con Prudhomme e Van der Spiegel (organizzatori del Tour e delle corse fiamminghe) sui possibili inviti per l’anno successivo e si capisce che da abili narratori stiano diventando parte del sistema.
Il resto ve lo racconteremo con le parole di Bas Tietema, che nel frattempo ha smesso di correre. Aggiungiamo soltanto che il vincitore dell’ultima tappa del Tour of Antalya è proprio il De Vries finito all’ospedale l’anno prima. Letta da questo punto di vista, la tappa che lo ha visto precedere Van den Bossche e Fancellu, prende immediatamente un altro sapore.
Sembra davvero di essere ancora in quel film…
Sono contento che il documentario ti sia piaciuto e che abbia trasmesso emozioni. Ognuno nel gruppo ha la sua storia, ma non tutte vengono mostrate. Con i nostri media saremo in grado di farlo e penso che sia qualcosa di unico. La gente parla molto di ciclismo, ma si tratta sempre di strategia, tattica o analisi di gara. Difficilmente si va a conoscere la persona o si parla dei problemi che sta attraversando.
Come sei passato da youtuber a ciclista e poi a team manager di una squadra?
Se mi guardo indietro, smettere di correre è una delle scelte migliori che ho fatto l’anno scorso. Ovviamente mi è piaciuto molto essere un corridore, ma mi piaceva molto soprattutto la parte tattica dietro alle corse. Non sono mai stato uno avventuroso da vento in faccia, non mi piaceva allenarmi per 30 ore a settimana. Perciò ho deciso di smettere, ma mi sto divertendo ugualmente tanto.
Un progetto creato da zero, quasi un colpo di genio a sentire i tuoi amici…
Provo ancora l’eccitazione di prima della gara, perché è il nostro progetto e lo stiamo realizzando in modo abbastanza diverso. Perciò, rispondendo alla domanda precedente, posso fare di più ora per il ciclismo, rispetto a quando ero un corridore. In più l’anno scorso ho seguito il corso UCI, quindi farò anche alcune gare come direttore sportivo. Mi piace molto il ruolo che ho in questo momento e mi sento molto valorizzato.
Sta diventando una cosa seria?
Abbiamo cominciato realizzando video sul mondo del ciclismo con l’atteggiamento scanzonato di sempre. Abbiamo creato contenuti divertenti e lo stiamo facendo ancora. Anche nei primi Tour de France siamo stati molto professionali, come anche oggi, ma ugualmente non siamo mai riusciti a prenderci troppo sul serio.
Dal documentario emerge che con Devin e Joss non vi conoscevate davvero.
Li ho incontrati per la prima volta a maggio del 2019 e a fine giugno partimmo per la Francia. Avevo sempre visto YouTube come una piattaforma in cui convivevano cose interessanti e più in generale l’intrattenimento. Così ho pensato che se avessi combinato il Tour de France con quel tipo di contenuti, avrei potuto creare qualcosa di eccezionale. Ma io non avevo mai fatto video in tutta la mia vita, perciò avevo bisogno di persone che fossero capaci. Devin era perfetto.
Nel documentario si racconta il modo divertente con cui lo hai contattato…
Avevo letto di lui su Wielerfits, la piattaforma che si occupa di ciclismo. Avevo sentito che era come uno stagista e stava facendo dei bei video e così ho cercato il suo numero e ho preso informazioni. Gli mandai lo stesso messaggio al telefono, su Facebook, su Instagram e su Linkedin (ride, ndr). Non avevo molti soldi e chiesi a due sconosciuti di trascorrere 21 giorni in Francia, sapendo che non avremmo dormito negli hotel. Serviva qualcuno con grande passione e penso che abbia funzionato perché eravamo tre ragazzi giovani che volevano cogliere un’opportunità unica nella vita. Avevamo appena finito la scuola, iniziavamo a fare qualcosa di simile a un lavoro normale e tutto il resto è arrivato lungo il percorso. Ora abbiamo un’attività nostra e alla fine una squadra di ciclismo.
Perché fare video in olandese e non in inglese?
Questa è una bella domanda. Il primo anno abbiamo iniziato in olandese, perché è la nostra lingua ed è uno dei motivi per cui siamo cresciuti così velocemente in Olanda e nelle Fiandre. E’ stata una buona decisione. Quando parli la tua lingua madre, puoi avere più umorismo o sarcasmo. E’ più interattivo e divertente, più naturale. Ora che è passato qualche anno, consolidata la base in Olanda e creata una squadra internazionale con corridori di diverse lingue, abbiamo iniziato a sottotitolare i video. Quest’anno avremo anche molti contenuti in inglese. E’ il momento giusto, una transizione graduale senza perdere la nostra base di fan e crearne una nuova.
Avete abbigliamento italiano e in Santini dicono di aver scelto voi in quanto portatori di originalità.
Penso che molti team abbiano qualcosa di originale. Per quel che riguarda noi, forse la particolarità sta nel fatto che non siamo partiti da una squadra ciclistica, ma dal punto di vista dei media. Ciò non significa che non ci preoccupiamo del lato prestazionale, ma crediamo ad esempio di aver fatto la differenza mostrando al mondo la gara di Antalya, che altrimenti nessuno avrebbe visto fuori dalla Turchia. Questo è un approccio diverso e penso che ci renda unici. A suo modo è originale anche la collaborazione con Santini…
In che senso?
Santini è davvero un marchio che esiste da tantissimo tempo, noi siamo nuovi. Se guardi indietro alla loro storia, è qualcosa di incredibile. Insomma, loro sono quelli che hanno realizzato anche la maglia Mapei, che era piuttosto colorata e lontana dai canoni della tradizione. La stessa cosa con le bici che stiamo usando. Vogliamo avere standard di alta professionalità, ma con un’immagine non omologata. Ed è davvero bello che anche loro credano in questo e soprattutto che credano in noi.
C’è una grande differenza tra mostrare la vita agli altri e quella del proprio team?
Abbiamo iniziato mostrando tutto e mi piacerebbe che possiamo ancora guardare all’intera comunità ciclistica. E’ qualcosa che in altri sport come la Formula Uno si tende a fare, c’è molta interazione tra le squadre. Nel ciclismo invece ci si concentra principalmente su se stessi e non si guarda agli altri. Per questo penso che sarebbe grandioso riuscire a coinvolgersi con le altre squadre. A volte anche avere una piccola discussione su un argomento crea interazione. Dal nostro punto di vista, non penso che cambierà molto, ma forse le altre squadre adesso ci vedranno più come concorrenti.
E’ stato difficile convincere i corridori a venire nella tua squadra l’anno scorso?
Il primo anno sì. Conoscevo alcuni ciclisti dato che ancora correvo, ma dovevo convincerli. Okay, sapevano che c’era un canale YouTube, ma come sarebbe stata la squadra? Quelli che hanno accettato sono gli ambasciatori di ciò che stiamo facendo. Alcuni erano sul punto di smettere e ora rischiano di partecipare all’Amstel Gold Race. In quel momento è stato davvero difficile, ma sapevamo che oltre alle capacità fisiche serviva la convinzione di entrare in una squadra diversa. Oggi che siamo un po’ più conosciuti, dobbiamo filtrare le richieste, perché vogliamo anche corridori di talento.
Quali Wild Card sono arrivate?
L’Amstel Gold Race, la Freccia del Brabante e Scheldeprijs. Verremo anche in Italia, anche se lì ci sono pochi posti. Però faremo il Tour of the Alps, per cui la sera dell’Amstel partirò io stesso in macchina per andare alla partenza da Egna. Continuo a credere che siamo sulla strada giusta e che ogni anno potremo aggiungere gare davvero belle al calendario.
Il sogno è davvero il Tour del 2026?
Il Tour è l’obiettivo più grande, ma non vogliamo che il tempo passi troppo in fretta. Se facessimo già quest’anno la Sanremo, il Fiandre, la Roubaix e un grande Giro, cosa ci resterebbe l’anno prossimo? Vogliamo procedere passo dopo passo. Per il prossimo anno vogliamo i soldi giusti, correre una Monumento e magari la prima grande corsa a tappe, che potrebbe essere il Giro. In modo che nel 2026 si possa puntare a un invito per il Tour. Non lo so se accadrà, ma questo è il modo in cui lo immaginiamo e proviamo a realizzarlo.
E’ vero che il tuo motore è la passione per il ciclismo?
Non solo quella. C’è la passione per il ciclismo, quella di sviluppare un progetto e anche la passione per i media. Lo stiamo facendo con il ciclismo, ma penso che si tratti di una passione in generale per lo sport, per la narrazione e mostrare alla gente le storie che più possono toccare i cuori.