CHIANCIANO TERME – Il primo lampo è arrivato al campionato italiano di Comano Terme, quando Elena Pirrone ha animato la prima fuga del mattino e poi ha avuto le gambe per stare con le ragazze che si sono giocate la corsa. Il decimo posto e il modo in cui è venuto, oltre al quinto nella crono, hanno fatto dire a Sangalli che la ragazza di Bolzano è stata una delle riscoperte della gara tricolore. A queste sue parole, se ne sono però aggiunte altre non meno eloquenti.
«La storia italiana – ha detto il cittì azzurro – è piena di ragazze che hanno vinto il mondiale junior e poi si sono perse, proviamo a invertire la tendenza».
Era il 2017 quando Pirrone, classe 1999 che nel frattempo è passata alla Israel-Premier Tech-Roland, vinse il campionato europeo della crono e poi concesse la replica vincendo il titolo iridato a Bergen, subito doppiato con la vittoria nella prova in linea. Ma a quel punto qualcosa ha smesso di funzionare. Lei sorride perché è un tipo solare e perché è di buon umore.
Era tanto tempo che non andavi così forte, l’hai notato anche tu?
E’ vero, piano piano mi sto ritrovando, sono contenta. Le cose sembrano andare un po’ meglio ed era anche ora. Spero di continuare con questo passo, vediamo cosa mi riserverà la seconda parte di stagione. Non farò il Tour, quindi dopo il Giro avrò un periodo di riposo. Ma intanto spero di sfruttare la condizione fino all’ultimo.
Proveresti a spiegare nello spazio di un tweet che cosa non sia andato fino ad ora?
Continui stop. Ho avuto un sacco di infortuni, chiamiamoli così, uno dietro l’altro. Appena mi riprendevo da uno, c’era subito qualcos’altro che mi ributtava giù. Non ho mai avuto continuità e ho sempre fatto fatica. Però quando avevo un periodo costante, riuscivo a dare segnali buoni (ad esempio il terzo posto nella crono degli europei di Alkmaar e poi di Trento, ndr), anche se poi dovevo fermarmi di nuovo e ripartire. E’ stato un continuo rincorrere ed è stato duro. Fermarsi a metà stagione è faticoso. E’ difficile ritrovare ogni volta il livello di prima, sei sempre un passo indietro. Però adesso ho trovato la mia dimensione, il modo giusto per fare le cose e reagire. Quindi sono contenta.
Come l’hai gestita psicologicamente?
E’ stata tosta, soprattutto perché parliamo di un periodo lungo: non mesi, ma anni. Però ho la testa dura da ciclista e ho continuato perché sapevo che potevo tornare. Dovevo solo avere tanta pazienza e ho cercato di lasciarmi alle spalle le pressioni che mi mettevo da me. Pretendevo tanto, mentre adesso la vivo diversamente. Ho i miei obiettivi, ma faccio in modo che non mi diano ansia. Non faccio più le cose pensando a cosa diranno gli altri e quindi sono più serena. In squadra mi lasciano crescere con calma e questo mi sta aiutando molto.
Quel mondiale di Bergen ti ha in qualche modo reso la vita più difficile?
Non ha accresciuto la pressione, quello no. E’ stato una consapevolezza del fatto che in futuro avrei potuto fare belle cose. Questo magari mi ha creato un po’ di aspettativa, ma il problema è stato che negli anni successivi “quella pedalata” non l’ho quasi più ritrovata. Quindi scoprirmi adesso a fare la cronometro degli italiani, tra virgolette (sorride, ndr), senza sentire fatica, è un buon segnale. Mi riporta al giorno in cui ho vinto i mondiali e questo è buono per me.
Che cosa ha significato essere davanti al campionato italiano?
Mi ha reso consapevole di quanto stessi andando forte. Neanche io sapevo cosa avrei potuto fare, ma non mi sarei mai aspettata che dopo tanti chilometri in fuga, sarei rimasta con le prime. Vuol dire che avevo una buona condizione e questo mi ha dato più consapevolezza.
Come vogliamo leggere la tua presenza al Giro?
Non mi sento ancora pronta per fare la generale. Non ho ancora il passo delle leader di classifica. Al momento nelle corse a tappe posso puntare a qualche traguardo parziale, cercando di stare nascosta fino al momento giusto. Sono partita con l’obiettivo di fare bene, trovare la gamba e provare a rimanere davanti con gli altri.
Il gruppo è fatto da squadroni e gruppi sportivi più piccoli. Pensiamo a tuo padre che fatica ogni anno per raggiungere il budget…
Da quando ho iniziato nel 2018, è cambiato tutto molto velocemente. Ormai anche le squadre continental iniziano a essere molto organizzate, come le WorldTour di cinque anni fa. Si va sempre di più verso il professionismo e quindi ci sta. Fra gli uomini questo cambiamento c’è stato nel corso degli anni, per noi è successo tutto in una stagione e mezza. Quindi le squadre più piccole, che facevano fatica a fare il calendario, adesso sono proprio tirate. C’è bisogno di sponsor, di soldi. Un cambiamento positivo, insomma, che però sta ammazzando le squadre più piccole. Lo vedo con mio padre, dite bene. Vivo ancora nella conca super calda di Bolzano con i miei genitori. Sono argomenti di cui si parla tutti i giorni.