ORNAVASSO – Jacopo ha preparato il caffè e adesso per viziare il giornalista spalma sul pane leggermente tostato la marmellata di albicocche di sua mamma. Per lui (Jacopo Mosca) ed Elisa Longo Borghini, sua moglie, basterà una vaschetta di cereali con un po’ di latte: nessun senso di colpa, per arrivare in tempo abbiamo saltato il pranzo. E così, dato che vi abbiamo appena raccontato di lei, del suo amore per queste zone e del suo cambio di maglia, eccoci con colui che ne ha cambiato profondamento la vita. Si sono sposati nel 2023, erano insieme da poco prima.
Dal prossimo anno, in realtà già da ora, non faranno più parte della stessa squadra. E Mosca se la ride dicendo che finalmente potrà usare le sue maglie senza il rischio che lei gliele prenda. Non quelle da allenamento, perché sono tricolori. Piuttosto il resto del corredo: le maglie intime, le mantelline e le retine per la lavatrice. Lei ammette di aver fatto tutto il Giro con la retina del marito e lui rilancia raccontando che, puntualmente quando fa freddo, esce in bici e dopo un po’ si ritrova con la schiena gelata, perché nel cassetto c’era la sotto maglia di Elisa.
«Però, vabbè – aggiunge Mosca – a parte questo, purtroppo per la squadra sarà una grande perdita. Tra di noi cambia che ci vedremo ancora meno. In realtà nei ritiri ci si vede davvero poco. Buongiorno, buonasera, un ciao quanto ti incontri nella hall. Invece sarà strano uscire in allenamento con due bici diverse e due maglie diverse, però è sicuro che continueremo a pedalare insieme. E magari ci punzecchieremo un po’ di più, perché se vinceranno i suoi futuri compagni, io dirò che non sono contento».
Senza procuratore
Jacopo non ha il procuratore, per cui durante l’anno dovrà vedersela da solo, dato che il suo contratto scade nel 2025. Dice che un procuratore ce l’ha avuto nei primi due anni da professionista e sta aspettando dal dicembre 2018 che lo chiami per dirgli quale squadra gli avrebbe trovato.
«Sinceramente non mi stresso – dice – perché giunto a questo momento della mia carriera, penso che tutti conoscano il mio valore. Quando sarà il momento, parlerò con Luca (Guercilena, ndr) e con la squadra in modo molto tranquillo e vediamo quello che verrà fuori. Penso che tante volte i procuratori fanno gli interessi dei corridori e magari ti vendono bene, però l’importante è essere venduto per quello che sei realmente. E quando sei onesto, forse alla fine duri più a lungo. Mi è piaciuta tanto la conversazione che ebbi con Luca dopo il Covid nel ritiro di San Pellegrino. Avevo firmato da metà 2019 e fino al 2020, perciò gli dissi: “Guarda, visto com’è andato il 2020 mi piacerebbe avere un altro anno di contratto”. E lui mi disse: “Non uno, meglio due”. E alla fine ne ho avuti tre. Per un corridore come me avere un rapporto diretto e così onesto può fare la differenza».
Che squadra è diventata questa Lidl-Trek così piena di campioni?
Sicuramente da metà 2019 a oggi è cambiata tantissimo. La spinta più grande negli anni l’ha data Mads Pedersen, però sicuramente lo scorso anno l’ingresso di Johnny, Tao Geoghegan Hart e l’esplosione di Skjelmose ci hanno messo su un altro piano. Siamo la seconda squadra per numero di vittorie, ma al contempo la mentalità, il modo di lavorare e l’ambiente che si respira sono rimasti gli stessi. È chiaro che con l’avvento di un nuovo sponsor, c’è stata anche la possibilità di avere qualche corridore in più capace di portare vittorie. Solo Milan ha vinto 12 gare e questo fa la differenza.
E per Jacopo Mosca, chiamato al lavoro pesante, tanti campioni significa fare gli straordinari?
E’ una fortuna, perché quando hai capitani che vanno forte, fai lo stesso lavoro di prima, ma vedi i risultati. Non si tratta solo di vincere, già sapere che puoi lottare per la vittoria cambia le prospettive. Se guardo a me, quando abbiamo un leader vero alle corse, il lavoro è più facile, perché ho un obiettivo ben preciso.
Dicono che alla Sanremo, che avete vinto nel 2021 con Stuyven, tu sia stato capace di tirare per tutto il giorno…
Io con la Sanremo ho un rapporto veramente particolare. Potrei dire che è la mia gara preferita, probabilmente perché sono italiano e perché fin da piccolo la guardi e te ne innamori. Sono contento che negli anni il mio ruolo sia definito ed è abbastanza assodato che posso essere una garanzia. Spero di poter fare tante altre Sanremo e tirare tutti gli anni come un mulo, perché alla fine sono contento. L’altra cosa molto bella del mio ruolo, anche se ogni tanto mi si ritorce contro, è che mi considerano un jolly, quindi mi ritrovo a fare le gare più disparate. Magari una volta mi ritrovo in Belgio e la settimana dopo al Lombardia, come è successo quest’anno. Oppure l’anno scorso ero in ritiro in altura, però mancavano corridori e sono andato a fare la Liegi, cui non avrei mai pensato.
C’è un segreto per essere pronti ogni volta che ti chiamano?
Il segreto è che a me piace quello che faccio. Mi piace allenarmi e fare il corridore, quindi la realtà è che poi sei pronto di conseguenza. A volte non è semplice, perché magari vai in una gara quando sai che stavi preparando un altro obiettivo. Sai che farai una gran fatica perché non hai la preparazione perfetta, ma è necessario e lo fai. Sono cose che impari con gli anni, sai qual è il tuo ruolo e cerchi di supportare i tuoi compagni al meglio possibile.
Capire questa cosa fa la differenza tra avere una carriera lunga o non trovare una direzione?
Ho fatto talmente tanta fatica a passare professionista che apprezzo veramente il fatto di essere un corridore. Forse mi sono sempre sottostimato, nel senso che anche facendo lo scemo e ridendo, non mi sentirei mai dire che vado forte. Però so quello che valgo e sono altruista di mio, per cui se c’è qualcuno da aiutare lo faccio sempre. Penso che il segreto sia capire prima possibile qual è il tuo posto. Non ti devi tarpare le ali, però è anche vero che prima lo capisci e meglio, perché a quel punto puoi venderti per quello che sei realmente.
I campioni ringraziano chi lavora per loro?
Milan è uno di quelli veramente bravi e a modo suo anche “Cicco”. Dopo il Lombardia ci siamo incrociati sul bus e ha detto parole bellissime. Penso che quel giorno abbia fatto qualcosa che si meritava da tempo. Quando sono arrivato assieme a Cataldo, abbiamo guardato il podio e ci siamo detti che era stata una bella giornata. Mentre Johnny, quando vince aspetta sempre che arrivino tutti i compagni. Nella terza tappa del Renewi Tour sono arrivato un minuto dopo e lui era lì che ci aspettava per abbracciare ognuno di noi e dirci grazie. Magari per darti uno schiaffetto, che con quelle manone ti gira la faccia (ride, ndr) E’ bello correre con loro, ma mi rendo conto che la squadra si sta evolvendo e trovare posto nelle gare importanti diventa sempre più difficile.
Come si vive nel piccolo mondo di Elisa Longo Borghini?
Vedo molte similitudini tra la mia famiglia e la sua, probabilmente perché abbiamo entrambi la fortuna di avere dei genitori di valore. I miei non hanno mai fatto sport, però mi hanno insegnato a essere quello che sono. Anche Osasco è una piccola comunità, molto più piccola di Ornavasso visto che sono 1.000 abitanti contro i 3.000 di qua. Lei dice di essere fuori dal mondo, ma ciclisticamente parlando il paese è molto attivo, mentre a Osasco non c’è niente. Basti pensare che nella storia io sono stato il primo professionista pinerolese. Però probabilmente questo mi ha permesso di fare la mia carriera, perché mi sono preso tante batoste senza sapere che mi avrebbero fatto crescere. Non c’erano gare, si doveva andare fuori, come succede adesso. Ho creato la mia squadretta, ma vedo che rispetto a quei tempi in cui contava solo fare esperienza, alcuni genitori hanno portato via i loro figli per andare in altre società e questo dispiace.
Qual è stato il giorno più bello di tutto il 2024?
Quando Elisa ha vinto il Giro. E poi anche la mia partecipazione all’europeo, perché non ci credevo più. Mi era andato di traverso restare fuori dal mondiale di Imola nel 2020, perché con tutte le defezioni per il Covid e il fatto che andassi fortissimo, una maglia pensavo di meritarla. Quando si trattò di andare all’europeo di Trento, caddi e mi tagliai fuori da solo. Pensai che non sarei entrato mai più in nazionale, invece quando è venuto fuori il progetto di Johnny per l’europeo, ci sono finito dentro anche io che sono suo compagno. Come probabilmente sarebbe stato per Puccio, se si fosse puntato su Viviani, perché siamo i due che tirano. E io da quel momento sono rinato.
Per la convocazione?
Ho avuto una grinta incredibile tutta l’estate. Sono andato al Renewi Tour ed ero contentissimo di farlo, nonostante fosse una gara in Belgio, dove non vedi gente che corre felice. Insomma, non spingi per farlo, invece ero felicissimo, mi sono divertito tantissimo. All’europeo, mi sono trovato a fare fin più di quello che pensavo. Ovviamente ci eravamo immaginati una gara un po’ diversa, però è logico che avendo contro Milan, gli altri ci corressero contro. E mi ricordo che inseguivo Mads Pedersen e mi sembrava di fare la gara del ritiro, dove lui è quello che scatta sempre e tutti insieme cerchiamo di seguirlo. Io ero lì che morivo, ma ogni volta che lui si girava, facevo finta di non essere a tutta. Finché a un certo punto mi fa: “Non giocare con me!”. Però è stato bello. Mi dispiace essere rimasto fuori da quel gruppo di 50, ma avevo speso davvero tutto e fatto la mia parte. Peccato che sia finita così. Bennati ci aveva detto di non fare la volata a sinistra, a meno che non avessimo una gamba infinita, invece siamo finiti proprio da quella parte…