Europei di Trento: arriva Simoni e ne ha per tutti

19.07.2021
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Qualche giorno fa a Milano è stato sollevato il velo sull’estate a due ruote del Trentino. E così, oltre a svelare l’approdo della Coppa del mondo di ciclocross a Vermiglio, si è parlato molto dei campionati europei, che (fra cronometro e strada) si svolgeranno a Trento dall’8 al 12 settembre.

In attesa di descriverveli nei dettagli quando saremo più vicini all’appuntamento, appena il discorso è arrivato alla prova degli uomini, ha destato qualche stupore il fatto che essa si correrà sulla distanza di 179,2 chilometri, tipica a partire dal 2019 ma decisamente insolita vista l’importanza del titolo che assegna. Perciò se nessuna reazione l’annuncio del chilometraggio ha suscitato in chi era al corrente dell’abitudine ormai invalsa, agli ex atleti presenti è sorta qualche perplessità.

Ecco l’altimetria della prova in linea dei professionisti
Ecco l’altimetria della prova in linea dei professionisti

Italiani ed europei

Se Francesco Moser si è limitato a dire che quando correva lui, le corse erano tutte mediamente più lunghe, Simoni ha fatto un’interessante distinzione. Il trentino in particolare ha puntato l’attenzione su quella che a suo dire è un’incomprensibile differenza fra gli europei e i campionati italiani e con questo argomento si è rivolto al presidente Dagnoni.

«Ho sempre detto – spiega Simoni – che 250 chilometri a fine giugno per il campionato italiano non sono per i corridori e tantomeno per il pubblico. Non a caso, negli ultimi anni non l’ho mai fatto. Per bene che lo finisci, poi stai male per tre giorni, perché si corre ormai nelle giornate più calde dell’anno. C’è poca gente e secondo me chi si occupa dei calendari, non ci sta capendo molto. E se la data è bloccata, allora caliamo la distanza, perché 180-200 chilometri sono ancora respirabili. Oltre no».

Gilberto Simoni, seduto accanto a Francesco Moser ha parlato della lunghezza della gara (foto Giacomo Podetti)
Gilberto Simoni, seduto accanto a Francesco Moser ha parlato della lunghezza della gara (foto Giacomo Podetti)

Uec ed Eurovisione

Il tema della distanza in effetti è singolare. La prima edizione degli europei, vinti da Sagan a Plumelec, si corse sulla distanza di 232,9 chilometri e così fino al 2018 con i 230,4 chilometri di Glasgow. La riduzione avvenne l’anno dopo, nel 2019 ad Alkmaar, con la vittoria di Viviani sulla distanza di 172,6 chilometri. Il perché lo abbiamo chiesto al presidetnte della Uec, l’italiano Enrico Della Casa.

«Si prese la decisione a fine 2018 – conferma – insieme all’Eurovisione. Decidemmo di limitare il chilometraggio della prova su strada degli uomini elite, mettendo il tetto dei 180 chilometri. Si voleva vedere se ne sarebbero derivate gare più vivaci e senza quelle fughe un po’ noiose in partenza, tipiche ad esempio dei mondiali. Il risultato finora ci sta dando ragione, perché le corse sono state interessanti e le hanno vinte tutti grossi nomi.

«Nello stesso contesto, si è deciso di uniformare per tutti la lunghezza delle crono: uguali per tutti e in un range tra i 20 e i 30 chilometri. Molti dicono che per i pro’ siano brevi, ma è divertente vedere i confronti sui tempi che fanno i più giovani dopo aver corso sullo stesso percorso dei grandi. Per ora è così, se poi il Direttivo vorrà ripensarci, dopo Trento faremo il punto della situazione».

Borracce e rifiuti

Simoni precisa che l’europeo di Trento sarà duro e che la sua attenzione resta focalizzata sulle gare tricolori. Il ciclismo, dice, non ha una visione compatta. Si cambia per compartimenti isolati ed è dura convincere qualcuno della bontà dell’innovazione di un altro.

«E’ tutto uguale a quando ero esordiente – il trentino rincara la dose – quando non ci si rendeva conto di far parte di questo mondo. Prendiamo il discorso delle borracce. Vi pare normale che ancora le buttino? Ed è normale tirare una borraccia addosso a qualcuno? Possono mettere tutte le green zone che vogliono, ma diventano discariche. Credo che i corridori potrebbero prestare più attenzione a queste cose e portarsi i rifiuti all’arrivo. Non tanto per loro, ma per l’esempio che danno.

«Il fatto che si vieti di tenere le braccia come nelle crono per un professionista magari è un’ingiustizia, ma quando vedo che lo fanno anche i giovanissimi, allora dico che non va. Tempo fa ero in Friuli a una gara di giovani. Eravamo in mezzo alle montagne e c’era uno che non saliva neanche a spinta. E cosa ha fatto quando è arrivato in cima? Ha buttato le borracce. L’esempio deve partire dall’alto…».

Enrico Della Casa, presidente Uec, ha spiegato il perché del limite a 180 chilometri (foto Giacomo Podetti)
Enrico Della Casa, presidente Uec, ha spiegato il perché del limite a 180 chilometri (foto Giacomo Podetti)

I diritti degli atleti

Però non si può puntare sempre il dito sui corridori e Gilberto lo sa bene, avendo ben chiaro il ricordo di quando era ancora in gruppo.

«Vi faccio l’esempio delle volate – dice – che a me piacciono molto. Mi piace vedere queste sfide spalla a spalla, in cui a volte ci può scappare la caduta. Bisognerebbe vietare il contatto, soprattutto se c’è chi esagera. Ma mentre sono a pensare a queste cose, mi viene da pensare che il Tour al contrario esalta le cadute. Quando presentano l’edizione dell’anno dopo, le prime immagini del video che proiettano sono sempre dedicate alle cadute più spettacolari. Se però succede che i corridori si lamentano per la sicurezza, magari ragazzi che neanche guadagnano fortune, le loro ragioni non vengono mai ascoltate. Perché? Non fanno parte dello stesso gioco? Se il Tour esalta le cadute va bene, mentre se un corridore si lamenta per la sicurezza no? E’ questo che non mi va giù. Il mondo del professionismo dovrebbe essere il meglio dello sport, ma certe volte…».