A Besozzo c’è il sole e Casa Eolo si stacca contro l’azzurro, risultando anche più imponente. Quando il cancello finisce di scorrere, il saluto di Ivan Basso è pieno di orgoglio e buon umore. Siamo nella sede del Team Eolo-Kometa che lui per primo e poi Luca Spada hanno voluto, proprio nel luogo da cui è iniziata la fortuna di Eolo. C’è del simbolismo positivo anche in questo, assieme alla sensazione di un progetto che sta mettendo solide radici. Conosciamo Ivan sin dagli juniores, l’ambizione non è mai stata un problema. Gli anni e le esperienze hanno portato anche un’interessante visione da manager.
Siamo i primi, ammette mentre fa gli onori di casa, a varcare questa porta. Il colpo d’occhio è intrigante. Si vedono le postazioni per i computer, dove l’addetto stampa Francesco Caielli è già al lavoro assieme a Carmine Magliaro che segue la logistica delle prime corse. La cucina. Alcune stanze con il nome sulla porta. La sala interviste: Eolo on Air. La sala riunioni: Cuvignone. L’ufficio di Ivan: Zoncolan. La sala più grande, per i meeting con il team: Stelvio. E mentre Basso spiega, si ha la sensazione che l’obiettivo sia aggiungere altri pezzi. Un deposito per i mezzi, ad esempio, come pure una foresteria per gli atleti.
Ne parlavi da anni, ce l’hai fatta…
Ce l’ho in testa da sempre (sorride, ndr) perché la casa dà un senso di appartenenza. Nel tempo le squadre si sono evolute. Qui nei dintorni ci sono le basi degli australiani e della Uae, con centri molto belli. La nostra idea sin dall’inizio era quella di creare un posto dove l’allenatore, l’addetto alle pubbliche relazioni, gli sponsor e i manager possano lavorare insieme, perché così nascono le idee. Vogliamo che Casa Eolo diventi un riferimento per la nostra regione. Io sono di Varese, ho cominciato qui e qui ci sono i miei tifosi. Eolo è nata proprio in queste stanze e Spada abita qualche chilometro più in là. C’è l’orgoglio varesino e questa casa era il primo tassello, poi sono venuti i materiali, le bici e tutto il resto. La prima cosa è il progetto, poi vengono gli uomini.
Che cosa intendi?
Si è discusso anche del valore tecnico del team, ma si è fatto il mercato alla fine. La priorità era fare una squadra italiana, c’erano 14 corridori liberi e ne abbiamo presi 10. La parte importante è essere partiti da un’idea e nell’idea c’era di trovare dei direttori sportivi come Stefano Zanatta e Sean Yates con cui si può costruire qualcosa di importante, aiutando Jesus Hernandez a maturare. Per migliorare questa squadra serve gente esperta. Prima il progetto, appunto, poi gli uomini.
Come stanno i ragazzi?
Ho visto un costante miglioramento, sin dal primo ritiro. Abbiamo lavorato cercando di curare ogni area. Era un gruppo da amalgamare, anche se molti si conoscevano. Si dice che sia una squadra nuova, ma in realtà ha già tre anni di vita come continental, già strutturata come una professional e con un budget consistente. Tanti nostri corridori sono nel WorldTour. Moschetti, Oldani e Ries. Ma credo di aver preso ragazzi che riusciranno a rilanciarsi. Albanese può tornare al livello di quando all’Hopplà i più forti erano lui e Ballerini. Anche Ravasi ha ancora tanto da dire. Tiriamo tutti nella stessa direzione.
Tutti?
Pedranzini, il signor Kometa, si sente il papà di tutti. Del resto se trovi un imprenditore che ha speso così tanto in una continental, visto il tipo di ritorno, è evidente che lo facesse soprattutto per passione. Poi è arrivato Spada, che ha messo il 53×11. E sì che dopo il Covid rischiavamo persino di non ripartire. Spada è arrivato e adesso quasi non riescono più a trattenerlo in ufficio. L’altro giorno era qui in Casa Eolo a montare i mobili…
Sembra che tu stia parlando di Paolo Zani ai tempi della Liquigas.
Me lo ricorda molto per la passione, nonostante fosse alla guida dell’azienda era sempre con noi. Spada è coinvolto al 100 per cento, chiede cosa facciano i ragazzi, vuole il calendario, chiama quando sente che c’è stata una caduta. Pedranzini è lo stesso e parliamo di uno che lavora dalle 4 del mattino fino alle 21. Le telefonate con lui si svolgono fra le 5,30 e le 6 del mattino. La famiglia viene dalla campagna, i fratelli sono in malga. Hanno disponibilità economica importanti e una vasta tipologia di aziende. Sono grandi lavoratori, ma vivono la squadra con un entusiasmo incredibile. E la cosa bella è che i due, Spada e Pedranzini, parlano spesso insieme.
La dimensione continental vi andava stretta…
Non aveva neanche tanto senso continuare in quel modo, per il tipo di impegno e di mezzi non ci sentivamo più troppo a nostro agio. Con Alberto e suo fratello Fran c’era condivisione anche su questo. Ma Spada non è arrivato dalla sera alla mattina, c’è dietro un lavoro di due anni e mezzo. Sono orgoglioso di aver cercato sponsor dove gli altri non sono andati. Non è vero che in Italia non ci sono i soldi, ma quanto tempo ho perso…
A fare cosa?
A spiegare in senso generico ciò che il ciclismo potesse fare in generale, mentre ogni azienda ha i suoi valori. Ho imparato da ogni rifiuto. Un imprenditore non sei tu a convincerlo, deve convincersi da solo. Tu puoi fargli vedere che cosa il ciclismo può fare per la sua azienda, ma se ti metti a tirarlo per la manica, è certo che ti mostra la porta.
Ci sono stati giorni in cui parlavi dei tuoi progetti come un visionario…
Me lo dicono ancora (ride, ndr). Mi accorgo che ho tante idee, ma le vedo solo io e magari sono irrealizzabili. A volte le dico e mi prendono per matto. A volte mi sveglio nel cuore della notte e devo comunicarle a qualcuno. Mi piace ascoltare le storie dei grandi imprenditori, c’è tanto da imparare. Questa squadra si evolverà perché tutti vogliamo che accada. Spada vive la squadra. Pedranzini è il nostro riferimento in Valtellina, un approdo sicuro dopo il Giro d’Italia.
Sembri contento?
Sono felice, è vero. Non è stato semplice, ma la vera soddisfazione è vedere che tutti si sentono coinvolti e che tante volte nemmeno serve parlare. Io seguo tutto, ma non mi occupo di tutto. Ho scelto delle persone per come le ho viste lavorare e so che faranno bene quel che devono.
Che cosa vuol dire andare al Giro d’Italia?
E’ importantissimo, è il sogno di ogni ragazzino che comincia a correre. Ho detto ai corridori che per noi saranno 21 campionati del mondo. Ci saranno le solite 5-6 squadre che lo monopolizzeranno e noi dovremo essere fra le altre 15-16 che lotteranno per vincere una tappa. Dovranno avere il fuoco dentro. In più confido nei direttori sportivi che abbiamo, che hanno vinto Giri e Tour.
Quanto sei presente con i ragazzi?
Non amo intromettermi. Magari in ritiro faccio tardi la notte a parlare con Zanatta e Yates: abbiamo scelto loro, è giusto che siano loro ad avere il rapporto e la responsabilità. Io cerco di dire il mio nel modo giusto, quando serve. Lo stesso fa Alberto. C’è una suddivisione dei ruoli che funziona. A Laigueglia inizieremo questa avventura. E davvero non vedo l’ora…