Sull’ammiraglia con Mori, fra scherzi e discorsi seri

08.04.2021
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Adesso che il Mori è diventato direttore, come farà a scherzare con i suoi amici corridori? Manuele sorride, la stagione sta per entrare nel vivo e a lui hanno appena cambiato il programma. Farà le corse spagnole d’inizio stagione che saranno recuperate durante il Giro. Scavando nei ricordi e col rischio di passare davvero per… esperti, gli buttiamo lì una pillolina di memoria.

Sai che ogni volta che vado verso Cesena, passo davanti all’uscita Torgiano della E45 e mi ricordo di quando ti vidi vincere il campionato italiano allievi?

Era esordienti di secondo anno, che ricordi! Sono quelli che rimangono più nitidi. E sai con chi ero in camera a quella gara? Con Daniele Bennati. Ogni tanto lo ricordiamo e ci facciamo una risata.

Appena passato professionista, assieme a Leonardo Piepoli
Appena passato professionista, assieme a Leonardo Piepoli

Manuele è sceso di sella dopo 16 anni di professionismo, decretando l’estinzione (per ora) dei Mori in bicicletta. Suo padre Primo, corse dal 1969 al 1975. Suo fratello Massimiliano, dal 1995 al 2009 E poi c’è lui, il più piccolo, professionista dal 2004 al 2019.

Come è stato ritirarsi?

Avevo già parlato con Gianetti (manager del Uae Team Emirates, ndr) e sapevo che non mi avrebbero lasciato continuare un altro anno. Ero un buon gregario, essere arrivato a 39 anni è già un bel traguardo. Ho avuto la fortuna di una moglie, Elisa, che mi ha conosciuto all’ultimo anno da dilettante e mi ha capito. Potevo anche fare un’ultima stagione, ma ho sempre detto di non voler allungare la carriera per portare a spasso la bici. Con Gianetti ero passato professionista alla Saunier Duval, poi sono andato alla Lampre e di fatto sono sempre rimasto nello stesso gruppo. Il ritorno con Mauro è stato la chiusura del cerchio.

Com’è fare il direttore sportivo?

Una bella esperienza e una grande opportunità che mi viene offerta dalla squadra. E’ tutto diverso, ma lo capisci quando ci sei dentro. Nonostante i miei tanti anni di professionismo, non avevo colto fino in fondo il ruolo del diesse e quello che davvero fa lo staff. Siamo 90 in squadra, se le cose non sono ben organizzate, sono dolori.

Con l’inseparabile Ulissi e Visconti alla Tre Valli Varesine 2019
Con l’inseparabile Ulissi e Visconti alla Tre Valli Varesine 2019
Come si fa a essere direttore degli ex compagni?

Ho cercato di allontanarmi, ti fa mantenere il rapporto di fiducia, ma senza continuare a sentirci tutti i giorni. Siamo divisi in gruppo e noto che i corridori si rapportano con me in modo diverso, forse perché già quando correvo non riuscivo a stare zitto davanti a qualcosa che non mi stesse bene. Mi hanno sempre visto come il regista.

Si tende a far salire in ammiraglia corridori freschi di attività.

Anche qui da noi c’è un bel gruppo di persone giovani che hanno smesso da poco e sono diventati direttori. Parlo spesso con Baldato e Guidi. In tutte le squadre si cerca di fare questo, perché il ciclismo cambia in continuazione. Tanti criticano la mancanza di scatti… Non dipende dalle tattiche, ma dal fatto che si va così forte che anche i leader arrivano ai finali ormai stanchi. La bravura del tecnico sta nell’usare nel modo giusto l’unica cartuccia che si ha a disposizione.

Sei stato un buon gregario: quali sono stati i tuoi capitani?

Il primo è stato Piepoli, che alla fine ha sbagliato, ma mi ha fatto capire il senso di squadra e la professionalità. E’ una persona di cuore e penso che non si sia ancora perdonato quel che accadde, perché sente di aver tradito l’esempio che era per noi. Lui in squadra era davvero un leader.

Mori è diventato diesse del Uae Team Emirates nel 2020
Mori è diventato diesse del Uae Team Emirates nel 2020
E Ulissi?

Poi c’è stato Diego, con cui ci siamo tolti delle belle soddisfazioni. Un ragazzo bravissimo a vincere due mondiali junior, poi a ricavarsi la sua dimensione. Ho aiutato e ammirato tanto anche Ballan, che è arrivato tardi al professionismo come me e ha ottenuto grandi vittorie, dimostrando che puoi essere un buon professionista anche se non passi a vent’anni. Ma il primo capitano che ho ammirato davvero è stato Cunego. Io passavo e lui vinceva il Giro avendo un anno meno di me. Questi sono stati i capitani, poi però c’è stato uno sopra a tutti…

Ti aspettavo al varco…

Esatto, Michele Scarponi. Non lo reputo solo un capitano, ma una persona speciale che ha lasciato qualcosa di particolare in tutti noi che l’abbiamo conosciuto. La sua fine ha causato in tutti un amaro in bocca inspiegabile, a volte mi capita di andare a Filottrano al cimitero per fargli un saluto. Quando è morto ero alla Liegi, poi andai al Romandia. Due giorni dopo che tornai a casa, presi la macchina e andai a salutarlo. Gli anni con lui sono stati i più belli.

Si diventa forti anche passando da grandi, ma avete in squadra quel certo Pogacar…

Ne ho visti tanti di campioni e con tanti mi sono allenato. Quando Nibali era in Toscana, capitava di uscire insieme. Direi che Pogacar me lo ricorda, ma all’ennesima potenza. Con più tranquillità e umiltà. E’ forte. E’ sicuro. Non lo spaventa niente. Zero pressioni. Ho fatto anche in tempo a correrci insieme, era un bimbo ma si vedeva già tutto.

Spostiamoci ai direttori: da chi hai imparato di più?

Con Daniele Tortoli da dilettanti mi sono trovato da Dio. Mi ha insegnato il sacrificio per il solo scopo che conta: passare professionista. «Guardatevi allo specchio – ci diceva – e capite quale traguardo volete raggiungere». Daniele ha creduto in me finché non sono passato. Poi ho avuto Pietro Algeri e Matxin, con cui lavoro anche ora. Due persone diverse, uno riflessivo, l’atro aggressivo. Matxin conosce tutti i corridori e le loro storie. Poi ho avuto Orlando Maini, che ricorda Algeri. Da tutti loro ho imparato che dietro i grandi successi, c’è una grande preparazione. Per colmare le mie lacune, ho preso tutto da tutti. Facevo così anche da corridore.

Hai corso anche accanto a Fabio Aru, quale idea te ne sei fatto?

Non riesco a capire quegli anni di blackout, perché forti come lui in salita ne ho visti pochi. Gli serve tranquillità soprattutto con se stesso. Gli dicevo: «Cerca di ritrovare la voglia di andare in bici. Gli stimoli di quando eri un ragazzo, invece di rincorrere il risultato». Sono convinto che se riallaccia quel filo, può ancora dire tanto.

E’ vero che ti sei anche messo a produrre abbigliamento da corridore?

Confermo, con il grande aiuto di mia moglie. Abbiamo una linea che si chiama KM Cyclingwear. Cerchiamo di confezionare capi originali e tecnologicamente avanzati. Un bel passatempo e confermo una volta di più che se non ci fosse Elisa, non saprei come mandare avanti il tutto. Io adesso faccio il direttore sportivo e non ci sono mai. E devo dire che mi piace anche molto.