In pista, sul magico anello di Tokyo, quel fatidico 4 agosto, Liam Bertazzo non c’era, ma nella foto dell’abbraccio dopo l’oro (foto di apertura), lui è quello con la mascherina che Ganna corre a stringere. L’oro olimpico del quartetto a squadre, soffrendo nel parterre del velodromo giapponese, è un po’ anche suo. Riserva del team, è stato protagonista della sua nascita e crescita fino al grande momento. E’ parte del progetto, del prima, durante e anche dopo. Nessuno come lui quindi ha i titoli per raccontare come si è arrivati a quell’eccezionale risultato e anche a quel che sarà.
Già, perché normalmente quando arriva un’Olimpiade, il resto della stagione è quasi un lento e stanco tran tran verso la sua conclusione. Ma questo non è un anno normale e già dal giorno dopo la chiusura di Tokyo 2020 è cominciata la rincorsa a Parigi 2024, frenetica perché c’è un anno in meno, tanto che per alcune discipline già si parla di qualificazioni e per molti sport arrivano i mondiali. E il ciclismo su pista è fra questi.
Partiamo però da Tokyo e dall’avventura finita in un bagno d’oro. Liam l’ha vissuta da spettatore, ma nessuno di quelli che erano nel velodromo era interessato come lui: «E’ stato un momento speciale, in quei primi attimi, dopo aver guardato il tempo, mi sono tornati alla mente tutti i momenti belli e brutti di quest’avventura durata anni. Le critiche che qualche volta abbiamo dovuto accettare, tutti i gradini di una crescita partita dal basso e, lasciatemelo dire, tutto l’affetto che ci accomuna, con Ganna, Lamon, Consonni, Milan. Ma anche con Scartezzini e chi in questi anni è entrato nel quartetto e poi uscito. Siamo tutti una grande famiglia».
Quando è nata questa scalata?
Io considero il primo atto gli Europei su pista di Grenchen (SUI) nel 2015: fummo ottavi ma iniziammo ad avvicinare quel fatidico muro dei 4 minuti. Già l’anno dopo, ai mondiali di Londra, abbattemmo più volte il limite e finimmo quarti: eravamo io, Ganna, Consonni e Viviani. Fu il primo legno, ma ci diede la consapevolezza di quel che potevamo fare e lo prendemmo in maniera positiva. Poi sono venuti i terzi posti di Hong Kong 2017 e Apeldoorn 2018, nel 2019 in Polonia cadde Lamon all’inizio e finimmo solo ottavi, nel 2020 a Berlino finimmo terzi, ma in semifinale ottenemmo il 2° posto, lì abbiamo capito che ormai c’eravamo.
C’è una tappa che non hai nominato: le Olimpiadi di Rio 2016. Non eravamo qualificati, ma la squalifica della Russia impose un vostro richiamo dalle ferie e partiste quasi senza allenamento. Un una minima preparazione in più, pensi che il podio fosse possibile già allora?
Con i se e i ma non si fa la storia… Diciamo che finimmo a un decimo dalla Nuova Zelanda che si qualificò per la finale per il bronzo. Nel caso avremmo dovuto affrontare la Danimarca che era già fortissima all’epoca. Magari un bronzo potevamo giocarcelo, ma è anche vero che a Tokyo, nella semifinale, abbiamo vinto di un soffio proprio con la Nuova Zelanda, diciamo che quel credito con la fortuna lo abbiamo riscosso…
Abbiamo parlato degli altri, ma il 2021 di Liam Bertazzo com’è?
Non è stato semplice finora, ma mi sento una persona nuova e non nego che la spinta dell’oro dei ragazzi è notevole anche per me. Io vengo da stagioni molto difficili, mi sono dovuto operare alla schiena per un’ernia che m’impediva di rendere al 100 per cento, diciamo che la mia vera stagione comincia ora.
Rientri nel gruppo a tutti gli effetti?
L’obiettivo è quello, farmi trovare pronto per europei e mondiali che saranno la mia Olimpiade. Io sono convinto che qualcosa arriverà, la fame di risultati non si è placata a Tokyo, sento spesso i ragazzi e so che è così. Quel che mi è mancato per colpa della schiena è la gara: l’ultima è stata la prova di Coppa del Mondo a Glasgow nel 2019, non è solo la gara in sé, è il fare gruppo, tutto quel che comporta una trasferta. Ora voglio mostrare sul campo che sono ancora parte del gruppo.
Non solo per l’inseguimento a squadre: nelle rassegne titolate le gare a disposizione sono molte di più che in un’Olimpiade…
Certo, c’è spazio per tutti e voglio farmi trovare pronto, anche se la preparazione non potrà giocoforza essere completa. Tornando a quel che si diceva prima, effettivamente saranno rassegne particolari. I team hanno dato carta bianca per l’Olimpiade, ma ora impiegano i corridori nelle varie gare e molti verranno dalle prove del WorldTour. Non avremo tanto tempo per oliare i meccanismi del quartetto, ma il problema vale per tutte le nazioni…
Passerai anche tu dalla strada?
Sì, ho in programma alcune prove in Belgio, ma per le gare su strada sarà per me più importante la stagione prossima, iniziandola subito e non dovendo stare a guardare. Ho corso poco quest’anno e sono curioso di vedere come andrà.
Parigi 2024 è dietro l’angolo: secondo te nel vostro gruppo ci sarà qualche nuovo innesto?
Domanda difficile… Se me l’avessi fatta nel 2018 ti avrei risposto di no, poi avete visto tutti la crescita poderosa di Jonathan Milan e quello che ha fatto a Tokyo. Ad ora sarei portato a dire che saremo ancora noi, ma se emergerà qualche grande talento sarà più che bene accetto, il nostro gruppo è aperto…