Christophe Laporte. E’ lui uno dei personaggi del momento. Il corridore della Jumbo-Visma sta crescendo sempre di più. Ormai è a pieno titolo un big. La consacrazione è avvenuta nel team olandese, ma la base ha radici francesi. La base è firmata Cofidis.
Roberto Damiani Laporte lo ha diretto in passato. E conosce molto bene sia l’atleta che l’uomo. Con il suo aiuto dunque, conosciamo meglio il corridore che è ormai ben più della semplice ombra di Wout Van Aert.
Roberto, Laporte…
Non mi sorprende affatto – ci precede Damiani – di quel che sta facendo. Ho lavorato con lui quattro anni ed era già in Cofidis da quattro. Certamente le sue prestazioni attuali sono frutto dell’ultimo lavoro fatto, della sua maturità ma tutto questo viene dal lavoro fatto prima in Cofidis.
E che lavoro è stato?
Un lavoro graduale. Quando lui è arrivato in Cofidis veniva dalla mountain bike, fu una scoperta del settore giovanile della nostra squadra. Iniziò come apripista di Bouhanni. Poi nel 2019 gli fu data carta bianca per le volate e vinse nove corse. Okay, si può dire che non erano corse di altissimo livello, e cavolate simili, perché vincere non è mai facile, ma furono pur sempre nove corse. Non una o due.
Quindi non ti stupisce…
Che Laporte vinca delle corse lo trovo normale, che vinca delle corse importanti fa piacere. Ha l’età giusta, la maturazione fisica e mentale. Poi sono più contento se vince un Cofidis! Ma in alternativa fa piacere che vinca lui, che oltre ad essere un bravo atleta è anche una brava persona.
Dopo la Gand-Wevelegem un giornalista ha chiesto a Laporte se non avesse perso del tempo in Cofidis. Lui ha risposto di no e che è stata un’esperienza molto importante. Cosa ne pensi?
Ho sentito qualcosa di simile anche da parte di alcuni tecnici. Che dire: è facile prendere un corridore dalla Cofidis e poi mandarlo forte. E’ vero. Ed è vero perché con noi creano un’ottima base. Lavorano bene. Noi rispettiamo, forse a volte anche più del dovuto, i nostri corridori, il loro processo di crescita, abbiamo modi sin troppo gentili e ci schieriamo dalla parte dell’atleta, ma come si dice in medicina “ante non nuocere” e mai esageriamo con i carichi di lavoro. In Jumbo-Visma hanno approfittato di questo lavoro, della maturazione della persona e ora lo mettono in evidenza. Se un giornalista pensa che Laporte da noi abbia perso tempo, pensate il tempo che ha perso quel giornalista a fare il suo mestiere…
Heijboer, capo della performance della Jumbo-Visma, ci ha detto che non solo si ritrovato un super corridore, cosa che in parte lo aveva sorpreso, ma anche un leader. Anche in Cofidis era un leader oppure il “fiore doveva germogliare”?
Diciamo che spesso lo è stato. Quello che ho notato io è che è stato molto professionale, super corretto. Era stato preso per tirare, anche quando era meno giovane lo ha fatto mettendosi al servizio di Viviani. Christophe capì bene l’investimento che fu Elia per la Cofidis e non battè ciglio. Neanche durante un Tour de France. Lui, francese, eseguì gli ordini di squadra alla lettera. E anche per questo oggi mi fa piacere vederlo vincere.
Ci sta. Parole non banali…
Semmai fu un leader silenzioso. E comunque chi vince nove corse in un anno un leader lo diventa. Solo che nonostante quei successi si mise sempre a disposizione della squadra.
Guardiamo avanti: ha ancora dei margini secondo te?
Beh, adesso è ad un livello alto… molto alto. In queste gare del Nord può fare molto e può essere protagonista. E io credo che potrà essere in primo piano anche alla Parigi-Roubaix, pur stando in quella squadra con Van Aert. Ricordo che arrivò sesto con noi in una Roubaix.
C’è qualcosa che ti ha colpito di questo atleta? Qualcosa che ricordi in modo particolare?
Come ho accennato: la sua correttezza, specie nei confronti di Viviani. E poi un suo cambiamento.
Quale?
Pochi giorni fa ho letto che gli pesa non poco il fatto di stare via da casa. E in effetti ricordo che dopo il Covid forzammo un po’ la mano per portarlo in altura. Faceva fatica a stare fuori anche un solo giorno in più. Adesso invece lo sento parlare di ritiri, di tre settimane di altura… Questa evoluzione fa parte della maturazione di una persona. Quando dico che a volte imporsi alla lunga paga e che siamo buoni! Capisco bene il sacrificio di stare lontano da casa, di lasciare i figli piccoli, ma i sacrifici danno i loro frutti. Christophe lo ha capito. Fare l’altura non è una moda.