E’ proprio il caso di dire che il ciclismo a Magnus Backstedt ha dato tutto. Non solo la gloria, attraverso 12 vittorie ma soprattutto il trionfo alla Parigi-Roubaix del 2004, ma anche una vita, diversa da quella prospettata. Tramite il ciclismo ha incontrato l’amore, attraverso una ciclista come lui, Megan Hughes, nazionale britannica con un forte carattere derivato dalle sue radici gallesi. Ha costruito un lavoro, un piccolo team diventato una delle principali realtà giovanili britanniche. Ha cementato una famiglia con due figlie, Elynor e soprattutto Zoe che stanno dando nuovo impulso al ciclismo di Sua Maestà.
I successi di Zoe Backstedt sono sotto gli occhi di tutti, una superiorità tale la sua da schiacciare le avversarie e quasi farle partire solo per lottare per la seconda piazza, come sottolineava Eglantine Rayer dopo la conquista dell’argento iridato. Guardando Zoe è impossibile non fare il parallelo con suo padre, vero e proprio vichingo alto quasi due metri per poco meno di 100 chili di peso. Un gigante che però si scioglie di fronte alle imprese della figlia.
Vivere da padre i successi di Zoe quanto è diverso rispetto a come hai vissuto le tue vittorie?
E’ molto diverso perché sono due mondi differenti, per quanto sembri lo stesso sport. Io ho vissuto sulla mia pelle tutta la trafila per diventare pro’, lottare anno per anno per cercare di emergere, passando tra le normali difficoltà, le sconfitte, le debolezze ma anche grandi gioie. I progressi di mia figlia li guardo da fuori, mi regala emozioni profonde ma sono molto differenti come lo sono quelle che mi regala anche Elynor. E’ interessante vedere come progrediscono e per certi versi mi accorgo anche di quanto sia duro il cammino per arrivare alle vittorie.
Zoe ed Elynor in che cosa sono più simili al Magnus ciclista?
Io sono sempre stato convinto che siano molto più simili a mia moglie, al suo modo di interpretare il ciclismo (Megan Hughes ha corso dal ’96 al 2000, vincendo il titolo britannico nel ’98, ndr) Ci rendono molto orgogliosi per l’impegno che ci mettono. Noi possiamo avergli dato l’esempio, ma i loro successi sono tutti farina del loro sacco.
Quando correvi, le tue figlie erano ancora molto piccole. Hanno mostrato interesse per il tuo passato?
Non so più neanche quante volte hanno visto sui computer il video della Roubaix del 2004… Zoe non era ancora nata, Elynor aveva 3 anni, era lì ad aspettarmi con la mamma al velodromo, sono immagini che non dimentico. Anche per quello quella gara per loro è speciale e spesso mi chiedevano se e quando si sarebbe potuta aprire anche alle donne. Ora potranno provarci anche loro.
Zoe ha vinto tutto da junior, temi che fra le elite subirà troppa pressione o pensi si adatterà subito?
Sicuramente, deve metterlo in preventivo, ma dalla sua c’è che non parte da zero, ha l’esempio di sua sorella che è già nel WorldTour. E’ chiaro che tutti i media e la gente la guarderanno, Zoe ha davvero dominato nei due anni da junior e questo pesa. Tante vittorie che accrescono l’attesa, che renderanno difficile l’approccio, ma io dico sempre loro che l’importante è cercare di fare sempre del proprio meglio e avere la coscienza di questo, sentirsi a posto con se stesse, il resto arriverà. Zoe dovrà abituarsi a un livello molto più alto. La pressione su di lei è tanta, gliela mette l’ambiente e magari inconsapevolmente anche noi di famiglia. Ma è anche una sfida intrigante e lei ha il talento dalla sua.
Elynor come vive la popolarità della sorella?
Sono molto legate, ma sono anche molto diverse e competitive fra loro. Zoe ha ad esempio una predilezione per il ciclocross, Elynor più ortodossa e concentrata sulla strada. Sta trovando un suo spazio alla Trek Segafredo, quest’anno ha gareggiato molto e fatto esperienze. Vive il suo sport con grande divertimento e guarda molto a se stessa. Noi la sosteniamo esattamente come la sorella.
Tu hai una grande squadra giovanile, quanti ragazzi ne fanno parte e che prospettive hanno?
Ormai sono 7 anni che il Backstedt Cycling esiste, è nato con il proposito di dare indietro qualcosa dell’immensità che il ciclismo ci ha donato e volevamo farlo attraverso le giovani generazioni. Lavoriamo con ragazzi fino alla categoria junior, seguendo il progetto della Federazione Britannica. In Gran Bretagna ci sono molti talenti, il mio interesse è portarne il più possibile alle soglie dell’attività professionistica. Io posso dare loro gli strumenti, poi starà a loro trovare la propria strada. Al contempo lavoriamo perché il ciclismo resti compatibile con la loro età, qualcosa sì d’importante, ma anche divertente.
Oggi ti piace di più il ciclismo maschile o femminile?
Sono due cose molto differenti. Quello femminile mi diverte molto perché è in continua ed enorme evoluzione, è sempre più competitivo e sta crescendo di livello in maniera esponenziale. Non saprei dire però che cosa preferisco. Diciamo che è sempre ciclismo…