Qualche giorno fa la Vuelta è partita con una cronosquadre. Questa è una specialità tanto affascinante, quando delicata e se vogliamo anche più rara. Almeno a certi livelli, infatti, era da un po’ che non se ne facevano. E allora ci si chiede come si possa preparare un evento che in qualche modo resta “unico” nella stagione.
Marco Pinotti, tecnico della BikeExchange-Jayco, ci guida nella gestione della cronosquadre di Utrecht. La prova di apertura della Vuelta è stata vissuta con una vigilia insolita da parte dei team, molti dei quali si sono ritrovati a girare negli autodromi per ritrovare quel po’ di feeling.


Marco, la prima domanda è: ha senso investire risorse per un evento che come detto più o meno è singolare nell’arco della stagione?
Se ha senso investire tante risorse, tempo e denaro, per guadagnare pochi secondi e per di più una volta l’anno? Dico di no. Perché o ci investi tantissimo, e allora il discorso cambia e magari guadagni davvero qualcosa, oppure non ne vale la pena. Roglic per esempio su alcuni rivali ha già aperto un piccolo gap con la cronosquadre, ma lo ha fatto grazie ai grandi investimenti a monte della sua Jumbo Visma. Per un solo breve evento non conviene, perché investire poco significa non guadagnare e a quel punto meglio perdere 10” ma aver risparmiato denaro, tempo ed energie. Ed aver continuato a lavorare su altro.
Come è stato preparare una prova simile dopo tanto tempo?
Si prepara con l’obiettivo di vincerla, come sempre. Con entusiasmo e voglia di fare. Una preparazione come quella appena fatta incide soprattutto da un punto di vista psicologico. Se tu parti convinto e consapevole di aver fatto un buon lavoro, sei già a buon punto. La Movistar per esempio, l’altro giorno ha incassato un bel distacco. Loro già sapevano che si sarebbero dovuti difendere. Devi anche bilanciare la squadra pensando al resto della corsa… almeno se punti alla classifica. Però posso anche dire che se la vinci, quello diventa il momento dell’anno. Perché poche cose uniscono il team come la cronosquadre. C’è una grande questione emotiva.
Cosa intendi quando si parla d’investimento: solo materiali?
Materiali, ma soprattutto tempo, almeno in questo caso. Tempo per prepararla. Alla fine un po’ tutti i team se la sono cavata. Ma se la sono cavata perché la prova era corta. E’ durata poco più di 20′ e per uno sforzo di tale durata più o meno tengono tutti. Il discorso sarebbe stato diverso se si fosse trattato di una cronosquadre di 40-50 chilometri. Quella si sarebbe dovuta preparare in altro modo e da prima.


E voi come avete fatto? Da quanto tempo ci lavoravate?
Abbiamo iniziato dopo il Giro d’Italia. Al termine della corsa rosa già avevamo una mezza idea della squadra che avremmo portato in Spagna. A luglio poi, per tre lunedì con la lista lunga della Vuelta (cioè con le riserve incluse, ndr) abbiamo fatto delle sedute specifiche a Girona, in Spagna. I ragazzi hanno pedalato per 120 chilometri con la bici da crono tutti insieme. Il quarto lunedì è stato quello dopo il Tour e lì c’erano sette ragazzi, sei dei quali sono poi venuti alla Vuelta. In quell’occasione abbiamo fatto un mini ritiro di tre giorni, concentrandoci soprattutto sulla cronosquadre. Infine abbiamo provato un giorno in Olanda con il team definitivo della Vuelta.
E sei soddisfatto della prestazione dei tuoi ragazzi?
Tutto sommato sì, ma poteva andare un po’ meglio. Il giorno della prova abbiamo girato sull’asciutto, mentre in gara era ancora un po’ bagnato. Non che piovesse, ma nelle prime curve la strada era ancora alquanto umida e cadeva qualche gocciolina. Dico che il meteo ha condizionato le prime 10-12 squadre. Fossimo partiti 20′ dopo sarebbe cambiato molto. I miei ragazzi le prime curve le hanno fatte piano, specie quelle più veloci. Noi abbiamo frenato, gli altri ci sono passati in pieno. Noi perdevamo la posizione sulle protesi, rallentavamo, gli altri no. Con un occhio veloce ai dati, noi la facevamo a 39 all’ora, gli altri a 45-47. Senza contare che poi si perdono più energie per riportare la velocità a 60 all’ora. Un po’ meglio sulle curve più lente, dove c’era da frenare.
Nella cronosquadre incide il lavoro sul singolo, sui materiali… oppure è tutt’altra cosa?
Riguardo ai materiali sostanzialmente abbiamo cambiato i rapporti, un po’ più lunghi: ma nulla più. Riguardo al lavoro sul singolo, dico che a cascata incide. Per la proprietà transitiva: se il singolo va più forte, va più forte anche la squadra. Poi però chiaramente ci sono molti altri aspetti a partire da quello della posizione in bici dello stesso atleta.


Cioè?
La posizione nella cronosquadre è “meno importante” che in quella individuale. Nella prova individuale la capacità di esprimere potenza passa anche da una posizione ottimale quando si è (più o meno) alla soglia. Nella cronosquadre invece il singolo che tira per 15”-20” va 150 watt sopra alla soglia e quando è chiamato a esprimere quei valori, non è mai nella posizione ottimale, che si trova in galleria del vento o in pista. Perché è talmente a tutta che si scompone un po’, pedala anche con le spalle. E quando ha finito, si rimetti in scia.
E’ cambiato molto l’approccio rispetto a quando c’era il mondiale per team?
Di certo all’epoca la cronosquadre era più importate e ci si lavorava di più. Noi alla fine abbiamo messo insieme il team a giugno, ci abbiamo lavorato a luglio e gareggiato ad agosto. Quando c’era il mondiale iniziavi a lavorarci a dicembre e correvi a fine settembre. Ma torniamo al discorso di prima: quella iridata non era una prova di 20 chilometri, bensì di 60. In un’ora di sforzo cambia tutto: altri distacchi, altre esigenze, tanti particolari da affinare.
La Jumbo Visma ha dominato e la cosa era nell’aria: per te loro hanno beneficiato del lavoro sui singoli come dicevamo?
Anche loro hanno avuto un avvicinamento come gli altri. Credo che abbiano girato un giorno prima: il mercoledì e non il giovedì, ma non credo abbiano fatto ritiri specifici per la prova di Utrecht. E poi con quei corridori a loro davvero bastava un giorno! Quando in squadra hai gente come Roglic, Dennis e Affini è più facile e non solo perché spingono forte e sono dei cronoman…


E perché allora?
Perché gente così tira anche per 40” e alla fine fanno meno cambi rispetto a chi tira per 15”. Pensate che hanno tenuto Kuss, scalatore, come ultimo uomo, lui era in coda e non ha tirato.
Giusto… tutto diventa più “facile”, meno “caotico. E voi ogni quanto cambiavate?
Mediamente tra i 15” e i 25”, ma soprattutto all’inizio erano le curve a determinare i cambi. Michael Hepburn è arrivato a 30”, ma sempre perché in un paio di trenate si è trovato la curva a metà che lo ha fatto rifiatare quel tanto da non perdere la velocità così presto.
Perché è quella che comanda, non tanto il tempo delle trenata: appena la velocità inizia a scendere, bisogna cambiare…
Comanda la velocità, ma bisogna cambiare prima che inizi a scendere!