Davide Malacarne ha lasciato il ciclismo già da qualche anno, pur avendo ancora l’età per correre (33 anni) e per farlo ad alti livelli. Il bellunese fece parte dell’Astana dei tempi d’oro, quella che vinceva la Vuelta con Aru e il Giro con Nibali. Insomma un corridore vero. Un corridore che prima però era stato anche un crossista di prim’ordine. E probabilmente le due cose sono sempre state legate.
Malacarne vinse il mondiale di ciclocross juniores del 2005 in Germania (foto in apertura) e l’anno prima si comportò molto bene in quello che si tenne in Puglia, che vinse Franzoi.
«La mia passione per il cross – racconta Davide – è iniziata per gioco. Fu mio padre che mi disse di tentare. Avevo una sola bici, anche scassata, ma si andava alle corse lo stesso. Non era come adesso che ci sono le gare promozionali, i minicross… una volta si iniziava da esordienti e via».
Senza dubbio il titolo iridato fu l’apice di quella sua carriera nel fango. I riflettori non erano gli stessi di oggi, ma quella maglia Davide la conserva ancora con cura, sotto il vetro di un quadro in casa sua.
Nel gelo di Sant Wendel
«Quell’anno – racconta Malacarne – avevo fatto due podi e vinto due gare di Coppa, quindi andai al mondiale consapevole di poter vincere. La mia attività internazionale era stata buona e costante. Il percorso poi mi piaceva. C’era la giusta quantità di fango, c’era da spingere la bici ed era veloce. Non c’era quella “gimkana” che rallenta tutto.
«Faceva un freddo tremendo. Ero tesissimo, anche se magari non lo davo a vedere. Avevo un carattere tosto. Ero spavaldo. Questo aspetto del mio carattere a volte mi avvantaggiava, altre meno. Il tecnico era Vettorel, anche lui uno tosto. Quello fu anche l’ultimo mondiale di Pontoni. I suoi consigli? Mah, non tanti a dire il vero. Lui era ancora un atleta, sì qualcuno te lo dava ma era più a “spot”. E poi nel cross secondo me è sempre difficile dare i consigli. E’ una disciplina individuale e molto soggettiva: quella pressione delle gomme può andare bene per me ma non per te.
«Quel giorno comunque si corse sul ghiaccio. Io per evitare cadute in pratica mi misi in testa a tirare sin da subito. E’ vero che dietro si risparmia un po’, ma è anche vero che stando davanti potevo guidare in modo un po’ più fluido. La gamba c’era e… andò bene».
Velocità e spettacolo
In quegli anni, Malacarne era davvero un riferimento e una speranza per il cross azzurro. Vinceva sui campi internazionali e anche in Italia. Al primo anno tra gli U23 fu quarto nel tricolore che si corse proprio in Puglia.
«Quell’anno un po’ accusai il passaggio di categoria e un po’ ebbi diversi problemi meccanici. Il percorso pugliese era bello, veloce e divertente, come lo sono sempre da quelle parti. In più le temperature sono più miti e non c’è quasi mai troppo fango. Adesso non so come lo faranno a Lecce, ma scommetto che non sarà lento».
Prima Malacarne aveva parlato di percorso veloci, senza troppa gimkana. Una qualcosa che sembra finalmente si sia capito. E infatti proprio da Lecce 2021 ci hanno parlato di alte velocità.
«Troppi tratti lenti o di corsa a piedi non hanno senso, alla fine è pur sempre una gara di bici. E finalmente lo hanno capito – riprende Malacarne – oggi il ciclocross è molto più spettacolare e per questo molti media si sono avvicinati. I percorsi più aperti aumentano lo spettacolo. Negli anni ’80-90 si correva molto a piedi. Io stesso mi allenavo per farlo. Invece le velocità maggiori e lo stare di più in bici hanno aumentato lo show e fatto bene al movimento».
L’appello di Malacarne
Malacarne lasciò poi il cross nel 2006, al termine della stagione invernale. E lo lasciò non senza malinconia.
«L’abbandonai un po’ in malomodo. In Italia, Guerciotti a parte, non c’è mai stato un team organizzato. Quando passai nell’allora Quick Step mi dissero che non avrebbero accettato il fatto che facessi il ciclocross. La doppia attività in quegli anni non era permessa. Il ciclismo però per fortuna si è evoluto e oggi si può fare un po’ di più come vediamo. Anche perché è un possibile business. Il cross adesso ha numeri importanti, è uno sport appetibile…
«Però servono le squadre che ci credano. Che ti supportino. Se ti presenti in Belgio senza un camper, un massaggiatore e un meccanico è davvero difficile fare risultato. Per me se squadre come Androni Giocattoli, Bardiani CSF Faizanè, Vini Zabù Ktm decidessero di dare spazio a questa disciplina avrebbero una buona visibilità. Mi rendo conto che non è facile, però si allungherebbe la stagione anche d’inverno, ci sarebbero più possibilità per i ragazzi».