Virginio Rapone

Rapone (sconfitto) lancia l’allarme: ascoltiamolo…

19.12.2020
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Dall’Abruzzo che lo ha visto sconfitto nelle elezioni regionali contro Mauro Marrone, già presidente in carica da due mandati, arriva da Virginio Rapone (in apertura un’immagine ripresa da TIVUSEI) un avvertimento ai candidati alla presidenza federale. Il gruppo è cambiato e a fare la differenza non sono più gli stessi.

Rapone, Maestro dello Sport e per anni dirigente federale (è stato anche segretario generale del Coni regionale), è stato dal 1993 al 2000 il coordinatore delle squadre nazionali. Il ruolo che oggi è di Cassani e che fu introdotto dal presidente Ceruti quando subentrò a Carlesso, per fare ordine fra i tecnici. La struttura funzionava e portò grandi risultati, ma Rapone fu abbandonato quando Ceruti barattò probabilmente la sua presenza con l’ultima elezione. Da allora Rapone è rimasto ai margini, ma quest’anno ha deciso di candidarsi.

Virginio, perché?

Perché a un certo punto si sono mossi i cosiddetti senatori e me lo hanno chiesto. Parlo di Masciarelli, Rabottini, Di Biase. Gente che viene dal ciclismo dei professionisti e delle Olimpiadi. Ma sapevo che non sarebbe andata bene, perché i numeri dicono che il ciclismo ormai è in mano alla mountain bike e al ciclismo amatoriale, un mondo che mi sfugge. Forse la responsabilità in parte è anche delle società tradizionali che non partecipano alla vita federale, ma la colpa è comunque di una Federazione che non sentono vicina.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Marco Villa, Silvio Martinello, bronzo a Sydney 2000 nell’americana
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Villa e Martinello, bronzo a Sydney nell’americana
La tua candidatura coincide con quella di Martinello?

No, nasce addirittura prima. Purtroppo il Covid ci ha messo lo zampino, perché avevamo organizzato una serie di incontri per farci conoscere, che purtroppo sono saltati. Però non vi nascondo che Silvio, pur sapendo che oggi l’esito sarebbe stato questo, mi ha chiesto una mano. Abbiamo fatto insieme Atlanta e Sydney, prima che mi mettessero in disparte.

Alla luce di questo risultato, credi che i candidati alla presidenza federale dovrebbero cambiare strategia?

Di certo devono allargare il raggio e non pensare di dover convincere soltanto le società agonistiche, perché sennò a determinare il risultato sarà un altro ciclismo. Ci sono equilibri diversi e magari chi viene dalle corse non è sempre conosciuto o convincente. E comunque a Silvio l’ho detto: la mia disponibilità c’è. Vedere che in Veneto ha vinto Checchin, che è della sua parte, mi dà coraggio.

Continui a parlare di altro ciclismo…

Io credo che la Federazione ciclistica italiana e in genere tutte le federazioni nazionali debbano occuparsi di sport agonistico di alto livello. Non confondiamo piani che devono essere necessariamente separati. Agli amatori devono pensare gli Enti di promozione sportiva e va benissimo che lo facciano. Il Coni esiste perché esistono le Olimpiadi, ma questo concetto in apparenza è stato abbandonato.

Si ricorda abbastanza chiaramente la massiccia presenza della nazionale italiana degli amatori ai mondiali di Hamilton, in Canada, con tanto di villaggio di partenza…

Una cosa voluta da Maurizio Camerini, colui che chiese a Ceruti di scegliere fra me e la rielezione. Ceruti vedeva bene le cose e mi chiese di tenerlo a bada, ma alla fine si arrese. E di quel che cominciò allora paghiamo le conseguenze ancora oggi. La situazione non è buona, bisogna che chi si candida alla presidenza parta dal giusto presupposto.