L’ultima corsa di Remco Evenepoel è a tutt’ora il Giro di Lombardia, nel giorno di Ferragosto del 2020. Si concluse con la paura per quel volo giù dal ponte e le relative fratture. La corsa del rientro sarà il Giro d’Italia: 8 mesi e 20 giorni dopo. Nel mezzo, come abbiamo visto, ci sono state una rieducazione frettolosa e nuovamente interrotta, quindi la seconda ripresa.
«Esci dal campo dopo un colpo vincente – diceva anni fa l’allenatore di tennis – perché se esci con un colpo in rete, nella tua mente resterà un’impronta negativa».
Quale impronta ci sarà nella mente del giovane belga al rientro in gruppo? Durante il recupero ha avuto accanto uno psicologo? Va bene andar forte in allenamento, ma quando sei nella tua comfort zone di certo non ti trovi a fronteggiare gli imprevisti della competizione.
La ripresa mentale
Abbiamo provato ad approfondire la sensazione di partenza con Erika Giambarresi, laureata con lode in “Psicologia per il benessere, l’empowerment e tecnologie positive” all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel suo curriculum c’è però anche un Master in Psicologia dello Sport. E il debutto è subito incoraggiante.
«Avete pescato uno spunto molto interessante – dice – perché ho studiato molto l’infortunio e la relativa componente psicologica, cogliendo il fatto che spesso ci si limita a curare il recupero atletico, senza rendersi conto che la ripresa mentale non corrisponde a quella fisica».
Erika è di Milano, collabora con la Figc e segue individualmente dei nuotatori, essendolo stata a sua volta.
Non basta riattaccare il numero e partire, quindi…
L’infortunio è un evento traumatico da rielaborare. Ha portato a un periodo di inattività. E’ un trauma bio-psico-sociale perché coinvolge l’identità dell’atleta in modo completo, per se stesso e per il suo rapporto con la squadra. Pertanto va trattato con un approccio integrato, coinvolgendo il benessere fisico, ma anche quello emotivo per la gestione dell’ansia. Poi il benessere sociale per quel che riguarda il ruolo dell’atleta nel team. Quindi l’area del sé tramite l’attenzione all’immagine corporea. Di fatto se da un lato l’atleta va resettato fisicamente, lo stesso lavoro va fatto psicologicamente.
Il ragazzo in questione è una macchina da guerra. Ha terminato la rieducazione in tempi rapidissimi, poi però lo hanno fermato di nuovo.
I tratti di personalità influenzano. Se è molto motivato, aveva una gran voglia di ripartire e lo hanno fermato di nuovo, ha dovuto affrontare una nuova ripartenza. In altre parole non c’è solo una gestione del momento, ma vanno osservate tre fasi, di cui il rientro è l’ultima.
La più delicata?
E’ sicuramente complessa per tante variabili. L’età. Lo status dell’atleta rispetto alla carriera. Se il recupero fisico è stato buono, una percentuale di atleti fra il 30 e il 60 per cento non sarà comunque in grado di riprendere come prima. Quelli motivati, quindi probabilmente lo stesso Evenepoel, tornano bene e con un buon aspetto mentale. Ma le risposte emotive influenzano tutti, anche i più determinati.
Risposte emotive?
C’è sicuramente il peso delle aspettative dell’atleta, verso se stesso e verso gli altri, come sponsor e team. Se le aspettative sono irrealistiche, dietro l’angolo c’è la frustrazione. Per questo con i nostri atleti facciamo anche un lavoro di riprogrammazione per adeguare le aspettative.
Vuole dire quindi che rientrare in una gara di minore importanza sarebbe servito?
Direi proprio di sì, il Giro d’Italia dopo tutto quel tempo non è forse il debutto migliore.
Una domanda forse stupida, abbia pietà. Che cosa succederà la prima volta che il ragazzo si troverà ad affrontare una discesa stretta con un ponte e un dirupo in fondo?
Sono le situazioni dell’incidente? Quando subisci un infortunio, che non è stato uno scontro di gioco ma proprio un incidente, se ti ritrovi in circostanze simili, basta uno stimolo nervoso e scatta l’irrigidimento muscolare e… vedi buio. C’è da lavorare tanto anche sulla gestione della paura. Non per caso lavoriamo sulla kinesiofobia, sapete cos’è?
Il greco suggerisce qualcosa legato alla paura del movimento?
Esatto, la paura che ci si possa far male di nuovo. Lo facciamo con l’imagery, la visualizzazione. Ripercorri il cammino di guarigione e simuli anche le situazioni di gara al rientro. Così che quando sei nuovamente in competizione, sei pronto per quello che dovrai fronteggiare. Non è come affrontarlo davvero, ma la mente sa cosa deve aspettarsi. Allenarsi non è mai la stessa cosa, non vai a cercarti le situazioni di stress che solo la gara può darti.
Il caso Jakobsen
Aveva ragione l’allenatore di tennis. E proprio nel giorno in cui abbiamo deciso di affrontare il tema Evenepoel, una conferenza stampa virtuale della Deceuninck-Quick Step ci ha mostrato Fabio Jakobsen alla vigilia del rientro dopo la devastante caduta del Polonia. L’olandese, di 24 anni, ha raccontato di aver avuto più volte paura di morire e di come un prete sia andato più volte a casa sua per pregare insieme. Ed ha anche ammesso di avere un po’ di paura per il debutto che avverrà domami al Presidential Tour of Turkey. Avrà lavorato con uno psicologo su questa paura? Troverà il coraggio di buttarsi ancora in volata o rivedrà ancora a lungo la scena di quel macello al Giro di Polonia?